Storia ed evoluzione tra Darwin, salmoni e cambiamenti climatici
Pikaia ha letto per voi “Storia ed evoluzione” dello storico Edmund Russell, recentemente pubblicato in edizione italiana da Bollati Boringhieri.
Da ormai moltissimi anni condivido con i lettori di Pikaia una grande passione per la storia naturale, così come sono da sempre attratto dalla storia della tecnologia. Ma cosa intendiamo quando usiamo la parola storia? Come si intersecano storia ed evoluzione tecnologica umana con l’evoluzione biologica degli altri viventi? Possiamo ritenere la nostra evoluzione tecnologica una causa di evoluzione di altri esseri viventi?
La lettura di Storia ed evoluzione, scritto dallo storico Edmund Russell (edito in Italia da Bollati Boringhieri con traduzione di Leonardo Ambasciano), può essere un modo decisamente interessante per trovare le risposte a queste domande. Il libro di Russell ha, a mio avviso, il merito di portare alla tavola alta dell’evoluzione la storia umana. Per fare ciò, Russell propone l’introduzione di quella che chiama storia evoluzionistica, un ambito interdisciplinare in cui le azioni umane diventano elementi in grado di determinare in varie modalità l’evoluzione delle specie viventi che ci circondano.
Anche la storia è un prodotto dell’evoluzione
La storia nella proposta di Russell cessa di essere una mera narrazione di fatti per divenire l’insieme dei fatti umani, nel senso dei prodotti culturali e tecnologici dell’uomo. Nell’opera di Russell si percepiscono gli echi di opere affini a quelle del filosofo italiano Antonio Labriola. In un saggio dal titolo Del materialismo storico Labriola infatti scriveva che la storia è tutto ciò che viene fatto dall’uomo, ossia ciò che l’uomo ha costruito, “in quanto che l’uomo può creare e perfezionare i suoi strumenti di lavoro e con tali strumenti crearsi un ambiente artificiale”. Il corollario tradizionale è che la storia dell’uomo smette di essere una storia naturale nel momento in cui vengono adottate le prime innovazioni tecnologiche. A differenza delle schiere di storici che hanno a lungo sostenuto che “la Storia abbia avuto inizio con l’invenzione della scrittura (relegando tutto quello che è avvenuto prima nella preistoria)”, Russell vede la scrittura come un mero prodotto secondario dell’evoluzione tecnologica.
Dalla prospettiva della storia evoluzionistica, lo spartiacque che segna il passaggio a una maggiore complessità sociale e istituzionale è invece la domesticazione di piante e di animali. L’agricoltura rappresenta, infatti, la più importante transizione della storia dell’umanità. Potremmo dire che la maggior parte di quella che viene considerata storia con la S maiuscola non sia nient’altro che un prodotto secondario dell’evoluzione antropogenica (ossia causata dall’uomo) iniziata con l’agricoltura. Dalla scoperta dell’agricoltura e dell’allevamento sono infatti derivate tecnologie, forme di scrittura e di archiviazione, economie, istituzioni, organizzazioni sociali e praticamente tutto ciò di cui si occupano tradizionalmente gli storici.
Spesso diamo l’agricoltura e la domesticazione per scontate e le consideriamo attività ovvie se non addirittura banali. Pensiamo, ad esempio, alle modificazioni ambientali che sono state favorite fin dalla diffusione delle prime pratiche legate all’agricoltura. Gli esseri umani hanno determinato i percorsi evolutivi sia delle stesse popolazioni umane sia delle altre specie animali e vegetali oggetto della domesticazione. Se da un lato questo ha avuto un effetto incredibile sulla storia degli esseri umani, dall’altro le interazioni tra uomo e alcune specie animali e vegetali hanno portato a profondi cambiamenti (anche genetici) in quelle specie che noi abbiamo addomesticato.
Ripensare la selezione artificiale
Nulla di nuovo, diranno alcuni di voi, è semplicemente l’effetto della selezione artificiale. Certamente ci siamo abituati a definire molti di questi processi come frutto di artifici (ossia non naturali), ma è realmente questo il modo più corretto di farlo (anche da un punto di vista storico)? Secondo Russell no. L’Autore propone invece ai suoi lettori di sostituire il termine selezione artificiale con selezione antropogenica così da recuperare da un lato una maggiore chiarezza riguardo alle modalità con cuil’uomo può operare e dall’altro riproporre le idee già darwiniane di selezione metodica (“la natura fornisce variazioni successive e l’uomo le accumula nelle direzioni che gli sono utili”) e di selezione inconscia, quest’ultima basata su un processo di scelta, ma senza alcun intento o piano a lungo termine per modificare o migliorare una specie, razza, varietà o cultivar. La domesticazione (sia animale che vegetale) diventa quindi il risultato di una sequenza di azioni secondarie condotte a scopi puramente immediati e diversi da quelli che noi pensiamo che i primi allevatori possano aver avuto.
Dividere la selezione artificiale in selezione metodica e selezione inconscia ci permette da un lato di tornare alla valenza darwiniana di tali processi e dall’altro di ricostruire in modo più fedele le azioni realizzate dall’uomo e le loro conseguenze. Da un punto di vista storico è una proposta interessante perché sebbene “gli studiosi [siano] soliti attribuire il termine selezione artificiale allo stesso Darwin, vale la pena chiarire subito che l’evoluzionista inglese non vi era particolarmente affezionato”, tanto da usarlo in rare occasioni. Come ricordato da Russell, “selezione artificiale compare due volte nell’Origine delle specie e una volta nei due volumi della Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico. Considerato che quest’ultima opera è completamente dedicata a quella che noi oggi chiamiamo selezione artificiale, l’assenza di questo termine è veramente straordinaria”. Al contrario, Darwin predilige i termini selezione metodica e inconscia che usa in modo ricorrente.
Se ben ci pensiamo, noi attribuiamo indiscriminatamente alla selezione artificiale tanto gli eventi di selezione effettuata per favorire la diffusione di un carattere da noi scelto, quanto gli effetti non consapevoli delle nostre azioni. Quando, ad esempio, sono state introdotti determinati tipi di reti da pesca è stata fatta una selezione a favore di merluzzi e salmoni di ridotte dimensioni, ma non certo perché questo fosse il risultato voluto. Allo stesso modo, la richiesta dell’avorio delle zanne degli elefanti ha causato un aumento della caccia di frodo, la quale a sua volta ha inciso inconsapevolmente sulla selezione di elefanti privi di zanne. La nostra selezione potrà anche essere inconscia, ma è tutt’altro che poco rilevante.
Peraltro, utilizzare il termine artificiale potrebbe farci pensare che le nostre azioni e i loro effetti siano radicalmente diversi dal resto della natura, idea che sarebbe del tutto sbagliata. Al contrario, Russell mira ad enfatizzare invece la rilevanza della storia umana e l’interdipendenza degli ecosistemi naturali dalle molteplici pressioni selettive umane motivate da ragioni commerciali, economiche, culturali e istituzionali. Si tratta di proposte che sarebbero sicuramente piaciute a Darwin perché lui stesso suggeriva che per capire appieno l’evoluzione dei viventi dobbiamo guardare con attenzione a ciò che noi stessi abbiamo causato.
Agricoltori per caso e necessità
Il libro di Russell è anche una stimolante occasione per rileggere le fasi iniziali della nostra storia perché “alla fine gli esseri umani sono diventati allevatori (e agricoltori, n.d.a.), ma non credo proprio che questo fosse l’obiettivo iniziale”. In questa ottica, la domesticazione diventa il risultato di una sequenza di azioni secondarie condotte a scopi puramente immediati. Ora, non ce ne vogliano i nostri antenati se da questa revisione ne usciranno un po’ meno intrepidi, ma come riporta Russell un crescente numero di ricercatori ritiene che all’origine della domesticazione animale e vegetale vi sia stata, in linea con i suggerimenti di Darwin, una selezione inconsapevole, piuttosto che una scelta metodica. Si può infatti ipotizzare che la diffusione di piante con spighe sia stata favorita dal fatto che queste erano semplicemente preferite, anche per il solo fatto di essere più facili da raccogliere. Per alcune piante anche l’incremento nelle dimensioni del seme (altra caratteristica ricorrente durante la domesticazione) potrebbe derivare non tanto da una specifica selezione a favore, ma semplicemente dal fatto che i semi più grandi avevano tempi più ridotti di germinazione e sono quindi divenuti più comuni.
Al contrario, vedere la domesticazione come una selezione metodica sin dalle primissime fasi vorrebbe dire accettare il fatto che Homo sapiens sia stato perfettamente in grado di immaginare con precisione un carattere specifico in una specie selvatica priva di tale peculiarità. Significa, inoltre, accettare l’idea che i nostri antenati sapessero di poter rendere più comune il carattere immaginato facendo riprodurre piante specifiche dando per scontato che queste ultime presentavano una serie di variazioni ereditarie trasmissibili da una generazione all’altra. In secondo luogo, enfatizzare il fatto che le scelte dei nostri antenati, per quanto effettuate inconsapevolmente, abbiano avuto effetti molto rilevanti sugli esseri viventi che li circondavano, può essere anche uno stimolo a valutare in modo diverso la portata delle nostre azioni.
L’impatto delle attività umane sulle altre specie è cambiato nel corso della nostra storia al variare delle tecnologie usate. Oggi, tra le cause inconsapevoli più gravi delle nostre azioni economiche e tecnologiche figurano senza ombra di dubbio i cambiamenti climatici. Le nostre scelte economiche sono da sempre una vera e propria forza evolutiva, che ha imposto alle specie con cui viviamo di adattarsi a nuovi ambienti, di migrare altrove o di estinguersi: “il nostro impatto va ben al di là delle specie che influenziamo direttamente. Le piante e gli animali vivono all’interno di catene trofiche e di rapporti ecologici complessi”.
Come si tutela un ambiente che cambia?
A seguito dei processi di riscaldamento globale, le strategie tradizionali di tutela dell’ambiente e della fauna (come ad esempio la creazione di parchi o aree di conservazione) perdono purtroppo di utilità perché quegli ambienti da noi rigorosamente delimitati, seppure liberi da attività umane, si dimostreranno drammaticamente inadeguati nel medio periodo a causa del cambiamento di temperature e della disponibilità locale di acqua e risorse: come nota Russell, “a meno di non creare lunghi corridoi longitudinali, le piante e gli animali tenderanno ad abbandonare i parchi naturali e ad affrontare tutti i pericoli dai quali i parchi cercavano di proteggerli”.
La tutela dell’ambiente non è però l’unico ambito a richiedere una rinnovata attenzione da parte degli storici e degli studiosi di scienze naturali. Grazie alle tecnologie genetiche avanzate oggi possiamo attuare una selezione metodica molto efficace in quanto supportata dalla possibilità di verificare la presenza di tratti di DNA utili per noi stessi e modificare sia noi stessi che altri esseri viventi. Se questi aspetti non rappresentano una novità assoluta in sede di analisi storiografica, gli strumenti con cui possiamo effettuare queste ricerche cambiano radicalmente. Gli storici e i biologi del futuro imminente dovranno quindi essere sempre più capaci di padroneggiare un linguaggio multidisciplinare.
Il principale contributo alla storia di Homo sapiens
La storia evoluzionistica di Russell ci fornisce i rudimenti di questo linguaggio comune, dimostrando come i modi in cui abbiamo costruito la nostra nicchia ecologica hanno plasmato in modo inconsapevole anche noi stessi. Il filosofo Umberto Galimberti è solito dire che la tecnica governa il mondo e che l’uomo è ridotto a funzionario dei suoi apparati. In realtà, la storia evoluzionistica ci insegna che la tecnologia è da sempre parte di noi perché noi stessi siamo il frutto di continue rivoluzioni tecnologiche.
Sapremo capire la portata e la gravità delle nostre azioni? Riusciranno a comprenderlo i nostri politici e amministratori? Difficile fare previsioni, e alcuni diranno che questa è tutt’altra storia. In realtà il messaggio di Russell è proprio questo: dobbiamo capire che le nostre scelte attuali sono storia in tutto e per tutto e far fronte da subito ai cambiamenti climatici potrebbe essere il nostro contributo principale alla storia di Homo sapiens, la storia dei fatti e non dei continui rimandi.
Biologo e genetista all’Università di Modena e Reggio Emilia, dove studia le basi molecolari dell’evoluzione biologica con particolare riferimento alla citogenetica e alla simbiosi. Insegna genetica generale, molecolare e microbica nei corsi di laurea in biologia e biotecnologie. Ha pubblicato più di centosessanta articoli su riviste nazionali internazionali e tenuto numerose conferenze nelle scuole. Nel 2020 ha pubblicato per Zanichelli il libro Nove miliardi a tavola- Droni, big data e genomica per l’agricoltura 4.0. Coordina il progetto More Books dedicato alla pubblicazione di articoli e libri relativi alla teoria dell’evoluzione tra fine Ottocento e inizio Novecento in Italia.