Strumenti simili, tecnologie diverse: innovazioni culturali indipendenti tra Vicino Oriente ed Europa
Un recente studio condotto dal dott. Armando Falcucci dell’Università di Tübingen e dal prof. Steven L. Kuhn dell’Università dell’Arizona mette in discussione l’ipotesi, finora ampiamente accettata, di un’origine levantina della cultura materiale del Paleolitico superiore iniziale nota come Protoaurignaziano
Per lungo tempo gli archeologi hanno ritenuto che la cultura Protoaurignaziana fosse comparsa in Europa circa 42.000 anni fa come risultato della dispersione di Homo sapiens dal Levante. Questa visione si basava sulle somiglianze tra gli strumenti in pietra del Protoaurignaziano e quelli dell’Ahmariano levantino. Una collaborazione tra le Università di Tübingen e dell’Arizona ha permesso di verificare in modo sistematico questa ipotesi attraverso un’analisi tecnologica, qualitativa e quantitativa, delle industrie litiche. I risultati ottenuti, pubblicati sulla rivista Journal of Human Evolution mostrano che, al di là di alcune analogie nella forma finale degli strumenti, sono poche le affinità nelle strategie produttive adottate. Questo importante lavoro di revisione non solo mette in discussione l’origine levantina del Protoaurignaziano, ma pone enfasi sul ruolo fondamentale che ha avuto la convergenza tecnologica nella diffusione di queste due culture all’inizio del Paleolitico superiore.
L’Europa, tappa finale di un lungo cammino
Le migrazioni umane non rappresentano solo un tema sociale attuale, ma un fenomeno che affonda le sue radici nel tempo profondo. Attraverso analoghi movimenti migratori, Homo sapiens uscì fuori dall’Africa verso il continente euro-asiatico e raggiunse la parte più occidentale dell’Europa tra 55.000 e 40.000 anni fa (Finlayson et al. 2023).
Lungo questo tragitto, il Levante rappresentò un vero e proprio corridoio biogeografico, fondamentale per facilitare le dispersioni umane. Per questa ragione, molti studiosi hanno a lungo ritenuto che proprio da quest’area provenissero le prime culture del Paleolitico superiore iniziale, espressione dei gruppi umani anatomicamente moderni diretti verso l’Europa. Seguendo lo stesso ragionamento, molti ritenevano che il Protoaurignaziano avesse avuto origine dall’Ahmariano levantino.
Eppure, se le recenti e importanti scoperte fatte grazie alla genetica e alla biologia molecolare rivelano la complessità della nostra evoluzione come specie e il mescolamento genetico avvenuto con il Neanderthal e il Denisova, perché dovremmo aspettarci dalle culture materiali – che sono il prodotto di questi stessi individui – una semplicità e linearità che non appartiene né a loro e né a noi?
L’ipotesi dell’origine levantina del Protoaurignaziano
L’idea che il Protoaurignaziano derivi dall’Ahmariano levantino risale all’inizio degli anni 2000, quando alcuni studiosi notarono affinità morfologiche negli strumenti litici realizzati come armature per le armi composite. A sostegno di quest’ipotesi vennero presi come riferimento i siti di Ksar Akil in Libano e Grotta di Fumane in Veneto, entrambi cruciali per la discussione di questo tema.
Negli ultimi anni, tuttavia, nuovi dati cronostratigrafici e tecnologici hanno permesso di riaprire il dibattito.
I siti protoaurignaziani più antichi in Europa si datano intorno a 43.000 anni fa BP nei Pirenei francesi, nella Valle del Rodano e nell’arco ligure-provenzale, mentre non abbiamo cronologie certe per l’Ahmariano. Infatti, in molti siti le datazioni risultano problematiche a causa dell’erosione e dei processi postdeposizionali. Inoltre, alcune cronologie sono risultate incoerenti per la scarsa conservazione del collagene estratto dalle ossa, fondamentale per la datazione al radiocarbonio.
Gli studiosi che sottolinearono queste somiglianze negli strumenti litici vedevano nell’Ahmariano e nel Protoaurignaziano la manifestazione di uno stesso fenomeno culturale, caratterizzato da tecnologie e comportamenti omogenei.
L’Ahmariano levantino
Il termine Ahmariano deriva dal Riparo di Erq el-Ahmar nel deserto di Giudea, dove furono recuperate punte ricavate su lame e lamelle. Successivamente, il termine venne ampliato per includere anche le industrie litiche del Sinai e di altre aree levantine.
Gli studi più recenti hanno, però, evidenziato una notevole variabilità tecnologica interna all’Ahmariano, tanto da indurre gli studiosi a distinguere due gruppi principali: l’Ahmariano settentrionale e l’ Ahmariano meridionale. I siti più importanti per l’Ahmariano settentrionale sono Ksar Akil, Kebara, Üçağızlı, Qafzeh, Yabrud II e Manot, mentre per l’Ahmariano meridionale figurano Abu Noshra, Al-Ansab 1, Boker A, Lagama, Nahal Nizzana XIII e Tor Sadaf.
Le principali differenze riguardano i metodi di produzione delle lame, ovvero schegge allungate caratterizzate da una lunghezza pari almeno al doppio della larghezza (Fig.1). Se l’Ahamariano settentrionale si caratterizza per la presenza di catene operative che vedono una riduzione bidirezionale dei nuclei al fine di ottenere supporti più larghi e lunghi, l’Ahamariano meridionale sfrutta strategie unidirezionali su nuclei a fronte stretto generando supporti molto più sottili.

Ulteriori discrepanze riguardano l’ambiente, mediterraneo a nord e saharo-arabico a sud, e la cronologia. Infatti, si ipotizza che l’Ahmariano settentrionale sia più antico di quello meridionale, ed è con quest’ultimo che alcuni studiosi hanno individuato una maggiore omogeneità con il Protoaurignaziano.
Ahmariano e Protoaurignaziano a confronto
L’analisi tecnologica ha riguardato diverse migliaia di manufatti provenienti dal sito di Ksar Akil per l’Ahmariano e dai siti di Grotta di Fumante (Veneto), Riparo Bombrini (Liguria), Riparo Mochi (Liguria), Grotta di Castelcivita (Campania) e Grotta Paglicci (Puglia) per il Protoaurignaziano europeo (Fig. 2).

I risultati emersi evidenziano una netta separazione tra questi due tecnocomplessi che includono differenze nelle strategie di riduzione dei nuclei, nella preparazione delle convessità e nelle tecniche di scheggiatura. Inoltre, le poche somiglianze che emergono sono state interpretate come convergenze tecnologiche indipendenti piuttosto che come il risultato di una trasmissione culturale diretta.
Se l’Ahmariano mostra maggiori differenze interne, differenziandosi tra Ahmariano settentrionale e Ahmariano meridionale, probabilmente a causa degli ambienti diversi e delle reti di interazione più frammentate, al contrario il Protoaurignaziano mostra una maggiore omogeneità interna, risultato di una rete culturale stabile e condivisa lungo un vasto territorio. Appare evidente che, se tra 41.000 e 38.000 anni fa, il Levante era caratterizzato da una frammentazione culturale, l’Europa viveva una fase più consolidata a livello tecnologico e simbolico che in seguito condurrà alla comparsa dell’Aurignaziano.
In conclusione, le somiglianze che emergono si limitano ad alcune caratteristiche generali, ma differiscono nella più ampia gamma di comportamenti e strategie tecnologiche adottate.
Stesse pressioni ambientali, culture indipendenti
Questo importante riesame di materiali archeologici già noti offre spunti interessanti per una rivalutazione complessiva del rapporto tra Ahmariano e Protoaurignaziano.
I risultati ottenuti dall’equipe internazionale mettono in dubbio una relazione diretta tra Ahmariano e Protoaurignaziano e, di conseguenza, l’idea che il Paleolitico superiore si sia diffuso come risultato di un’espansione diretta di Homo sapiens dal Levante.
L’Ahmariano e il Protoaurignaziano si svilupparono invece parallelamente come risposta alle stesse pressioni ambientali e tecnologiche, ma in contesti ambientali e demografici differenti.
Non mancano casi di convergenza tecnologica, ovvero la comparsa indipendente di soluzioni tecnologiche simili in contesti differenti. Nel caso dell’Ahmariano e del Protoaurignaziano tale convergenza deriva dalla necessità di rispondere agli stessi bisogni, quali la crescente importanza delle armi composite, la necessità di produrre supporti più sottili, leggeri e standardizzati e l’aumento della mobilità. Di conseguenza, queste stesse condizioni ecologiche potrebbero averli portati a adottare comportamenti tecnologici simili seppur in assenza di contatti diretti tra i vari gruppi umani.
Dunque, l’origine del Protoaurignaziano non andrebbe ricercata a Oriente, ma nella stessa Europa e potrebbe rappresentare la sintesi di culture preesistenti: Castelperroniano, Bachokiriano e Bohuniciano.
Abbiamo avuto modo di approfondire alcuni aspetti di questo importante studio con il ricercatore associato dell’Università di Tübingen, nonché primo autore della ricerca, Armando Falcucci.
La vostra ricerca è incentrata su un approccio di tipo tecnologico, ovvero focalizzato sulle strategie produttive dei manufatti in pietra. In che cosa consiste questo tipo di analisi e come si differenzia da un approccio puramente tipologico? Credi che l’analisi tipologica, che privilegia perlopiù la morfologia finale degli strumenti, sia superata oppure fatica ad essere integrata con metodi d’indagine più moderni?
Lo studio tecnologico permette di ricostruire la produzione degli strumenti in pietra, dalla scelta delle materie prime fino all’estrazione dei prodotti desiderati, passando per le tecniche di scheggiatura utilizzate. Questo approccio consente di andare oltre la sola analisi della forma finale, mettendo in luce le diverse fasi di lavorazione e i processi culturali che le sottendono. È stato infatti dimostrato che strumenti con morfologie simili possono essere realizzati con metodi differenti, rivelando così la presenza o l’assenza di eventi di trasmissione culturale tra gruppi di cacciatori-raccoglitori. Ritengo, però, che l’approccio tipologico non sia del tutto superato, ma possa integrarsi con quello tecnologico, soprattutto se supportato da strumenti quantitativi moderni, come la morfometria geometrica tridimensionale, che permette di descrivere in modo oggettivo e continuo la forma degli strumenti.
Considerando le possibili convergenze tecnologiche e i vari e continui contatti tra le diverse specie umane è possibile ipotizzare una presenza maggiore di innovazioni indipendenti, come quella rilevata per il Protoaurignaziano e l’Ahamariano, e un ridimensionamento dei cosiddetti “centri di origine” della modernità comportamentale?
È certamente possibile ipotizzare che durante la preistoria si siano sviluppate numerose innovazioni indipendenti nella produzione di strumenti in pietra. La scheggiatura risponde infatti a esigenze funzionali che possono portare gruppi diversi, in contesti separati, a soluzioni simili. In biologia si parla di “omoplasia” per indicare caratteristiche condivise che non derivano da un antenato comune; pur non essendo direttamente sovrapponibile, un concetto analogo può essere applicato all’evoluzione culturale. Simili pressioni ambientali e demografiche avrebbero potuto favorire l’emergere di innovazioni parallele in regioni e periodi anche molto distanti.
I risultati di questo studio forniscono indirettamente informazioni sulla più ampia discussione della coesistenza e interazione tra Homo sapiens e Neandertal in Europa?
Il nostro studio, pur limitato a un numero ristretto di siti, propone una nuova lettura della transizione tra Paleolitico Medio e Superiore nel Mediterraneo, suggerendo che il Protoaurignaziano possa essere il frutto di processi bioculturali sviluppatisi in Europa. Questo tema è cruciale perché sappiamo ormai che Homo sapiens era presente nel continente prima di 42.000 anni fa, in un periodo in cui i Neandertal erano ancora diffusi in varie regioni. Le ricerche di paleogenetica hanno inoltre dimostrato chiaramente episodi di interbreeding, confermando che è tempo di superare la dicotomia “Sapiens vs Neandertal” per proporre modelli più complessi, basati sull’interazione tra diversi gruppi umani e sul mosaico culturale che caratterizzava l’Europa di quel tempo.
È importante, però, notare che i siti nei quali i resti neandertaliani sono direttamente associati a industrie litiche castelperroniane sono sempre meno, portando diversi ricercatori a interpretare il Castelperroniano come una delle prime culture sapiens nell’Europa occidentale. Il dibattito su questo punto rimane comunque molto acceso.
Anche se i resti diretti dei primi sapiens sono ancora scarsi, i progressi della paleogenetica e l’analisi del DNA nei sedimenti promettono nuove scoperte nei prossimi anni.
Quali sono le implicazioni di questo importante lavoro di revisione e cosa vi aspetta per il futuro?
Questo studio rappresenta solo l’inizio di una revisione più ampia dei contesti archeologici compresi tra 50.000 e 40.000 anni fa. L’obiettivo è integrare e confrontare in modo sistematico i dati relativi a culture come l’Ahmariano, l’Aurignaziano, il Castelperroniano e l’Uluzziano, per riconoscere eventuali episodi di interazione culturale. L’ampliamento del lavoro ci permetterà anche di indagare quali fattori abbiano favorito fenomeni di convergenza tecnologica e come distinguerli da processi di diffusione culturale “a bassa intensità” tra gruppi di cacciatori-raccoglitori distribuiti in ambienti diversi sia dal punto di vista climatico che geologico.
L’articolo è disponibile gratuitamente al link: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0047248425000971
I materiali archeologici delle campagne di scavo del 1947-1948 nel sito di Ksar Akil sono conservati presso il Peabody Museum of Archaeology and Ethnology dell’Università di Harvard (USA).
Riferimenti:
Falcucci, A. & Steven, L. K. (2025). Ex Oriente Lux? A quantitative comparison between northern Ahmarian and Protoaurignacian. Journal of Human Evolution, 103744. https://doi.org/10.1016/j.jhevol.2025.103744
Finlayson, C., Zollikofer, C., de León, M.P., Finlayson, G., Carrión, J., Finlayson, S., Guzmán, F.G. & Shea, J. (2023). Close encounters vs. missed connections? A critical review of the evidence for Late Pleistocene hominin interactions in western Eurasia. Quaternary Science Reviews, 319(108307), 1-11. https://doi.org/10.1016/j.quascirev.2023.108307.

Archeologa preistorica, specializzata in Quaternario, Preistoria e Archeologia, con Laurea Magistrale presso l’Università di Ferrara e una solida esperienza in scavi e ricerche su siti preistorici in diverse regioni italiane. Ha partecipato a progetti di valorizzazione del patrimonio culturale, attività di sorveglianza archeologica e iniziative di divulgazione scientifica e culturale in Abruzzo.

