Successo riproduttivo nei lieviti e sottofondo platonico della natura

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La vita ‘sessuale’ del lievito: una storia platonica

Per la stragrande maggioranza degli organismi viventi la riproduzione sessuata rimane una scelta obbligata: essendo collegata a livello cellulare col processo del crossing-over, cioè il rimescolamento del materiale genetico durante il processo di divisione meiotica della cellula, essa è in grado di garantire una maggiore variabilità genetica nella discendenza, ma comporta anche un certo dispendio in termini energetici;  in effetti ci sono specie viventi – tra cui insetti, lucertole e piante – che se la cavano benissimo anche senza il sesso. Per i biologi rimane oggetto di discussione come si sia potuta evolvere la sessualità e come mai non sia regredita. Sotto certi aspetti la riproduzione sessuata è una scelta perdente, tuttavia i comportamenti legati alla ricerca ed alla conquista di un partner sono responsabili di alcuni dei fenomeni più sorprendenti dalla natura, dalle esibizioni canore di alcune specie di uccelli ai combattimenti tra cervi, dall’esplosione di forme, profumi e colori nei fiori dei vegetali, fino  – secondo alcuni biologi – a molte forme di espressione artistica nella specie umana.

Per scoprire quali siano le variabili che regolano la scelta del partner con cui accoppiarsi, alcuni ricercatori stanno conducendo le loro ricerche con uno degli organismi eucarioti più semplici: il lievito Saccharomyces cerevisiae. Infatti, se l’accoppiamento può comportare un notevole dispendio energetico e anche una certa dose di rischio, ciò lo è ancor più di per un organismo unicellulare,  dove ciascun individuo ha una sola possibilità di accoppiarsi. È difficile sfuggire alla tentazione di paragonare questo come altri aspetti del ciclo vitale di specie differenti dalla nostra, ad alcune leggende di creature mitologiche.

Platone fu uno dei maggiori filosofi dell’antichità e non manca chi sarebbe disposto ad ammettere che tutta la storia della filosofia occidentale non sia che una serie di note a margine sul pensiero di Platone; questi,  per spiegare la natura dell’amore, raccontò in un suo celebre dialogo – Il Simposio – che originariamente il genere umano era costituito da individui i cui corpi erano in realtà un doppio sferoidale, formato da due individui uniti tra loro, con due teste e quattro paia di arti. Era dato avere quindi tre sessi: una coppia di maschi, una coppia di femmine e l’androgino, per metà maschio e per metà femmina; questa loro unione perenne era fonte di felicità e di una grande potenza che li spinse al punto di sfidare gli dei; questi furono non poco indispettiti dalla loro insolenza, tanto da decidere di dividerli in due. Ora, gli uomini e le donne attuali non fanno che cercare la loro metà per riappropriarsi della forza e della felicità insita in quella unità perduta, questa tensione genererebbe ciò che comunemente va sotto il nome amore.

Per quanto possa sembrare straordinario, in natura esistono organismi il cui ciclo vitale ricorda alcuni aspetti del mito platonico sull’origine dei generi. Uno di questi è il lievito, che può vivere tanto come organismo unicellulare diploide, dotato cioè di un corredo cromosomico duplicato, sia come organismo unicellulare aploide, con numero cromosomico dimezzato. Il ciclo cellulare in questi casi viene detto aplodiplonte, pertanto le cellule diploidi possono dare origine regolarmente ad altre cellule diploidi per gemmazione, un tipo particolare di mitosi dove la cellula “madre” originaria, genera una cellula” figlia” ellissoidale più piccola che normalmente rimane attaccata alla madre. Nel momento in cui le cellule diploidi si trovano ad attraversare un periodo di penuria alimentare, allora vanno incontro meiosi: un processo che porta alla formazione di cellule aploidi: come nell’umanità primordiale, le cellule aploidi possono essere considerate organismi dimezzati, dal momento che il loro numero cromosomico risulta essere la metà rispetto a quello delle cellule diploidi, ma a differenza di quanto accade nel mondo fantastico del mito di Platone, da una cellula diploide si possono ottenere ben quattro cellule aploidi invece che due, a riprova di quanto la realtà possa superare la fantasia.

Nei lieviti i quattro prodotti meiotici  maturano poi in quattro spore racchiuse da un sacco microscopico detto asco. Le spore rimangono quiescenti  fintanto non trovano un ambiente favorevole: avvertendo la presenza di nutrienti nell’ambiente, germinano formando quattro cellule aploidi metabolicamente attive che riprendono a moltiplicarsi per gemmazione. Ci sono fattori ambientali che interrompono il ciclo vegetativo: uno di questi potrebbe essere la vicinanza di un’altra cellula  con cui accoppiarsi. Ma ciò non basta, in quanto i lieviti esibiscono anche una elementare differenziazione sessuale che distingue due tipi cellulari (mating type) che possono essere a o α, determinati da un singolo locus genico. Se cellule di lievito con tipo cellulare opposto si trovano in prossimità l’una dell’altra, si determina prima un blocco del ciclo cellulare, poi l’avvio del processo di fusione cellulare che ricostituisce uno zigote diploide, riconquistando quindi quello stato che, secondo il mito dell’Androgino, gli dei preclusero  all’umanità.

Un altro aspetto sorprendente dei lieviti è che, a differenza dei generi maschile e femminile, i loro tipi cellulari a e α possono cambiare[i]: ci sono cellule aploidi che nel momento in cui incontrano un’altra cellula con lo stesso tipo cellulare, invertono il loro. Questo processo, detto omotallismo, comporta anche la possibilità nello stesso ceppo di auto-diploidizzare: una proprietà che senz’altro avrebbe attratto l’interesse di un filosofo greco  antico.

Al contrario, Carl Smith et al.[ii] In un lavoro pubblicato in Behavioral Ecology, si sono concentrati sulla capacità dei lieviti di riprodursi in ambienti differenti, scoprendo che su terreni poveri di nutrienti le cellule più piccole sembrano avvantaggiate, mentre i terreni ricchi di nutrienti favoriscono le cellule più grandi. Per spiegare questo effetto bisogna ricordare che quando una cellula si accresce, il suo volume aumenta molto più rapidamente della superficie poiché il volume dipende dal cubo del raggio, mentre la superficie è legata al quadrato del raggio. Perciò, in una cellula di notevoli dimensioni, la superficie che è responsabile degli scambi con l’ambiente circostante, non sarebbe in grado di sopperire alle necessità metaboliche dell’intera massa cellulare;  quando i nutrienti sono un fattore limitante anche piccoli aumenti di volume potrebbero  comportare una messa in pericolo dell’equilibrio interno della cellula. Mentre in caso di abbondanza di nutrienti piccoli aumenti di volume potrebbe determinare una migliore capacità di competere e di fronteggiare le avversità.

Ma c’è di più: gli autori dell’articolo sopra menzionato hanno scoperto una sorta di selezione sessuale già a livello unicellulare. Infatti, sembra che una data cellula aploide preferisca accoppiarsi con una cellula più grande su un terreno ricco di nutrienti, mentre su un terreno povero di nutrienti preferisca una cellula di più piccola taglia, dando origine in ogni caso a cellule diploidi più adatte alle condizioni ambientali del momento. Se al posto di microrganismi avessimo Vertebrati, si parlerebbe di preferenza per l’individuo dominante nel suo ambiente: una scelta che sembrerebbe decisamente dettata dall’opportunismo, e quindi molto lontana dall’orizzonte esplicativo delineato nel Simposio; all’osservatore occidentale del 21° secolo, tutto il meccanismo sembrerà mirare alla sopravvivenza della discendenza, piuttosto che alla ricostruzione di una condizione ancestrale.

Tuttavia l’opportunismo come l’amore sono categorie del linguaggio umano e l’ipotesi suggerita dagli autori è molto prosaica. Il tipo cellulare, l’equivalente dei generi sessuali, è determinato essenzialmente da due geni, codificanti rispettivamente per un feromone e per un recettore trans-membrana specifico per il feromone del tipo cellulare opposto. L’ipotesi è questa: le cellule con una fitness migliore in un dato ambiente producono una quantità maggiore di feromone o lo fanno più velocemente, pertanto su un terreno ricco di nutrienti le cellule più grandi sembreranno avere un miglior successo riproduttivo, mentre su un terreno povero le cellule più piccole essendo avvantaggiate da un punto di vista metabolico finiranno per esserlo anche da un punto di vista riproduttivo. In altre parole quella che vista dall’esterno sembrerebbe la “scelta” del più adatto, non è che la conseguenza di cinetiche molecolari incanalate da scarti temporali, il prodotto di rapporti tra spazi e volumi regolati da relazioni numeriche: nessun mito dunque, solo matematica. Finisce così per sbiadire anche tutto ciò che sembra legato al mondo concreto della materia, oltre che alla dimensione fluttuante delle passioni. Non ha tutto questo qualcosa di vagamente platonico?

Cosimo Leuci



Riferimenti:

[i] Ira Herskowitz (1988) Life cycle of the budding yeast Saccharomyces cerevisiae. Microbiol Rev. 52(4): 536–553 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC373162/pdf/microrev00047-0150.pdf

[ii] Carl Smith, Andrew Pomiankowski, and Duncan Greig (2014) Size and competitive mating success in the yeast Saccharomyces cerevisiae. Behavioral Ecology 25(2), 320–327. http://beheco.oxfordjournals.org/content/25/2/320.full.pdf


Credit image: Masur, via Wikimedia Commons