Sulle tracce di viaggiatori straordinari

Pikaia ha letto per voi “Viaggiatori straordinari. Storie, avventure e follie degli esploratori italiani” del giornalista e saggista Marco Valle

“Alzi la mano chi non ha mai sognato di viaggiare verso terre sconosciute, scoprire città perdute, incontrare popoli misteriosi. Insomma chi non ha fantasticato, almeno per un breve attimo, sul mito dell’esploratore”. Inizia così il bellissimo libro Viaggiatori straordinari. Storie, avventure e follie degli esploratori italiani (Neri Pozza, 2024), scritto dal giornalista e saggista triestino Marco Valle, che racconta i più importanti o insoliti esploratori italiani dal Settecento a oggi. Non pensate però all’immagine stereotipata dell’avventuriero: Valle ci mostra come alla categoria “esploratore” possiamo ascrivere figure molto diverse, talvolta innamorate del viaggio come occasione per sfuggire dalle atmosfere asfittiche e mediocri della madrepatria, piuttosto che animate dal desiderio di conoscere e scoprire.

Di pagina in pagina scoprirete le imprese mirabolanti fatte da personaggi molto diversi l’uno dall’altro non solo per formazione, ma anche per carattere e obiettivi. Tutti però avevano in mano una mappa o un sestante e in mente un luogo lontano da raggiungere. A volte avevano anche un fucile o addirittura un esercito, perché le missioni potevano avere finalità molto diverse. Troverete anche esploratori che si sono avventurati in terre inesplorate senza neanche sapere bene il perché. Gli esploratori sono stati, infatti, personaggi ben più complessi di quanto spesso pensiamo o ricordiamo. Sono stati l’espressione contraddittoria di un’epoca e di una cultura che guardava al resto del mondo con una curiosità interessata. Come ricordano i tanti critici del colonialismo, l’esploratore aveva una precisa funzione sociale e politica, dato che la scoperta portava a una maggiore ricchezza culturale, ma non solo. A volte, infatti, lo scopo era tracciare rotte commerciali e trovare luoghi che custodivano tesori reali o anche solo materie prime importanti o anche solamente luoghi in cui andare per produrre risorse per la madrepatria.

Una galleria di esistenze estreme in cui troviamo un pezzo di memoria italiana. Significativa quanto oggi trascurata, talvolta dimenticata, spesso rimossa. Una piccola, grande epopea scritta e vissuta da scienziati visionari, da coraggiosi missionari, da pionieri scalcagnati, da soldati allergici alle caserme, da tormentati aristocratici, da squattrinati esuli, da strampalati insabbiati su spiagge lontane. Tutti spiriti irrequieti, personaggi irregolari, fascinosi, valorosi e tragici. Una storia o meglio tante storie, da raccontare“.

Gli esploratori che Marco Valle ci porta a conoscere sono uno strano club di viaggiatori che all’inizio del Settecento, per tutto l’Ottocento e per gran parte del Novecento, hanno attraversato deserti infuocati e foreste impenetrabili, hanno scalato montagne inviolate o risalito fumi misteriosi per scoprire l’ignoto e studiarlo, mapparlo, disegnarlo, raccontarlo e comprenderlo. Dimenticate Bougainville, Cook, La Perouse, Dumont d’Urivelle e James Bruce, grazie a Valle andremo in Tibet con Ippolito Desideri (le cui cronache di viaggio venne tenute segrete per numerosi decenni), in Egitto con Giovanni Battista Belzoni o alla scoperta delle fonti del Mississippi con il bergamasco Giacomo Beltrami. Tre nomi oggi quasi dimenticati, che vissero una vita romanzesca, di cui è oggi interessante riscoprire le vicende.

Avventurieri che spesso non fecero ritorno in Italia, sorte che accomunò, ad esempio, il già citato Belzoni e Vittorio Bottego, le cui tombe non sono ancora oggi note o non sono dove avrebbero dovuto essere. Storie ricostruite grazie a diari, appunti o mappe integrate da racconti di testimoni di vicende talvolta tragiche, come la morte di Bottego che venne raccontata molti anni dopo da due dei suoi compagni, Vannutelli and Citerni, che sopravvissero alla battaglia in cui Bottego venne ucciso e che furono imprigionati per due anni dall’imperatore d’Etiopia Menelik II.

“Qui giacciono le ceneri di Gio. Belzoni Esq., il quale fu preso da dissenteria il giorno 26 di novembre nella sua via per portarsi ad Houssa e a Timbuctoo, e morì a Gwato il dì 3 dicembre 1823. Li signori che hanno collocato l’iscrizione presente sopra la sepoltura di questo intrepido ed intraprendente viaggiatore sperano che qualunque viaggiatore europeo, che visiti questo luogo, farà sgomberare questa terra, e mettere in riparo la ringhiera che la circonda, se sarà necessario”.

In questo insolito club troverete figure bene diverse da quelle raccontate da Emilio Salgari, Jules Verne, Rudyard Kipling, Robert Stevenson, Jack London e Joseph Conrad, ma che furono parte di una vera e propria rivoluzione, che determinò una sorta di contrazione delle distanze tra nazioni e da cui derivò una fiducia illimitata nel progresso e nella scienza, tanto quanto una assoluta fede nella supremazia dell’Occidente.

Un mondo che scopriva di essere ben più diverso di quanto si pensasse e che aveva l’occasione per allargare gli orizzonti rispetto a quelli angusti dei secoli precedenti. Non a caso, Marco Valle racconta anche i viaggi e le attività del frate Gugliemo Massaja, che favorí le prime missioni diplomatiche e scientifiche nell’Africa Orientale (tanto da meritarsi di essere nominato dal governo italiano “ministro plenipotenziario” nel trattato d’amicizia e commercio tra l’Italia e lo Scioa), di Orazio Antinori, Carlo Piaggia e Odoardo Beccari (su Pikaia ne abbiamo parlato ad esempio qui), che favorirono lo sviluppo di importanti progetti tra cui alcuni nell’ambito delle scienze naturali.

Viaggi da cui nacque l’avventura coloniale italiana, che se da un lato arricchì i musei italiani di storia naturale di numerosi reperti, dall’altro rappresentò una delle pagine più oscure della nostra storia nazionale. Come raccontato infatti su Pikaia in più occasioni (qui un esempio), molti campioni oggi conservati nei musei naturalistici occidentali provengono da altre nazioni e non sono stati raccolti con accordi internazionali.

Viaggiatori straordinari
può quindi essere una occasione per ricordare che, proprio per la presenza di campioni coloniali, i musei devono divenire piattaforme in cui garantire una pluralità di punti di vista, di approcci, di esperienze, senza la pretesa di ricondurre la complessità a una narrazione unica, inevitabilmente semplificatoria e riduttiva.L’opera di Marco Valle ci ricorda, infine, che molti esploratori italiani, in modo assai differente dai metodi dei loro colleghi inglesi o francesi, abbandonarono l’iniziale sguardo illuminista, positivista ed eurocentrico che aveva caratterizzato la loro partenza per vivere pienamente e a lungo le realtà dei luoghi di cui divennero parte, acquisendo una nuova e diversa coscienza del mondo che rifuggiva dai calcoli di saccheggio dei «geografi da poltrona» che affollavano l’Italia e l’Europa.Oggi ogni luogo sulla terra è raggiungibile e, almeno virtualmente, visitabile. Basta un clic sulla tastiera e si parte. In modo analogo, la rete ci restituisce una ampia serie di vite di esploratori. La galleria che Valle ci propone non pretende d’essere esaustiva, ma ci ricorda che trecento anni di viaggi esplorativi non hanno saziato la curiosità degli esploratori italiani. L’avventura è destinata a continuare guardando però a mete decisamente più lontane.