Suoni sottomarini: la produzione musicale di delfini, orche e capodogli

Jack a harbour porpoise at Vancouver Aquarium

Sotto la superficie dell’acqua, in ambienti vaste sconfinati i mammiferi marini percepiscono i dintorni e comunicano grazie alla produzione di suoni. I biologi Peter T. Madsen, Coen Elemants e Ursula Siebert hanno analizzato la meccanica dietro a questo fenomeno.

Il suono non è altro che vibrazione, particelle che oscillano in un mezzo fluido e giungono all’ascoltatore. Siamo costantemente sottoposti a questo fenomeno, rumori di ogni tipo attraversano l’aria, ma non ci viene spontaneo pensare a quello che accade sotto la superficie dell’acqua, un ambiente distante dalla nostra quotidianità. Delfini, orche e capodogli, tra gli odontoceti più conosciuti, sfruttano diversi registri vocali per l’ecolocalizzazione e la comunicazione, producendo rumori, suoni e canti affascinati e magici.

L’utilizzo dei suoni per la percezione dell’ambiente circostante

Per ecolocalizzazione negli odontoceti si intende l’emissione di una serie di “click” prodotti al fine di esaminare i dintorni, percepire ostacoli e prede. Ciò avviene tramite l’analisi delle tempistiche del ritorno degli echi dall’ambiente, che permette agli animali di avere una stima della distanza dell’ostacolo incontrato dal suono. Il team composto dai biologi danesi Peter T. Madsen, Coen Elemants e dalla tedesca Ursula Siebert ha osservato inoltre l’utilizzo di registri diversi per la comunicazione, paragonabili a quelli dell’essere umano e gli esiti di questo studio sono stati pubblicati su Science. Secondo la prima ipotesi, la produzione dei suoni partiva dalla laringe, ma, grazie a una serie di analisi è stato possibile osservare come la vera origine della comunicazione sia a livello delle cosiddette labbra foniche, strutture simili alla cavità nasale nell’uomo e situate nel cranio, affiancate da corpi adiposi chiamati bursae. Questa ipotesi è stata verificata tramite l’osservazione in vivo grazie a un endoscopio, durante la produzione del “click”, delle labbra foniche in esemplari addestrati di tursiopi (Tursiops truncatus) e di focene comuni (Phoecoena phoecoena). Nello stesso momento è stata misurata la pressione dell’aria sia sopra che sotto le labbra foniche ed è stato osservato come delfini e focene producano il suono solo con un aumento della pressione nella zona sottostante queste ultime.

Dolphin head sound production

Testa di delfino schematizzata, che mostra le regioni coinvolte nella produzione del suono. Questa immagine è stata ridisegnata basandosi sul Cranford (2000). Immagini di Achim Raschka CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons


Per comprendere la meccanica dietro la produzione del “click” sono state fotografate le labbra foniche durante la produzione sonora in una preparazione in vitro di un complesso nasale di focene morte. Inducendo la produzione di sequenze di “click” a pressioni di soglia nasale maggiori a 5 kPa, si è potuto osservare come il suono fosse prodotto dalla collisione dell’aria sulle labbra foniche e non dalla loro apertura. Si tratta quindi di un fenomeno dovuto alla pressione esercitata su questi organi in seguito ad un flusso di aria, piuttosto che a una serie di veloci contrazioni muscolari. Osservando e registrando i tempi di apertura e chiusura delle labbra in corrispondenza dei suoni emessi fino a profondità di 1800 m e analizzando anche il fenomeno in vitro, gli studiosi hanno notato come gli odontoceti riducano l’ampiezza dell’apertura per aumentare l’accelerazione delle labbra, aggiungendo potenza ai “click” emessi ai fini dell’ecolocalizzazione.

Anche gli odontoceti “parlano” tra loro

Oltre ai fini dell’ecolocalizzazione, gli odontoceti producono una serie di suoni a bassa intensità e bassa frequenza per comunicare, descritti come scoppi, grugniti e fischi, anche questi originanti dalle labbra foniche. Negli esseri umani è possibile identificare tre registri distinti, in base all’ampiezza dell’apertura delle corde vocali che vibrano a differenti frequenze al passaggio del flusso d’aria. Il registro più basso (M0) è chiamato “vocal fry” seguito dalla voce di petto (M1), con suoni a frequenze maggiori, fino ad arrivare al falsetto (M2), padroneggiato dai cantanti. Per osservare come questo avvenga negli odontoceti, i ricercatori hanno utilizzato la tecnica della DiceCT, ovvero una particolare tomografia computerizzata con contrasto. Dalle osservazioni risulta come le bursae siano funzionalmente analoghe alle corde vocali e sono stati riscontrati due adattamenti morfologici per ottimizzare l’emissione di suoni con registro M0, ovvero una posizione più elevata, paragonata a quella delle corde vocali, riduce l’ampiezza dell’apertura tra le labbra foniche. Inoltre queste sono ricoperte da creste a livello dello strato superficiale, fattore che comporta un’anisotropia, ovvero una reazione differente in base alla direzione del flusso d’aria, permettendo di produrre sonorità distinte. Le osservazioni hanno quindi condotto a comprendere come gli odontoceti producano suoni direzionati, potenti e ad alta frequenza per ottenere un quadro dell’ambiente circostante, mentre per comunicare si affidano a suoni con frequenze inferiori. Grazie allo sviluppo di queste strutture anatomiche suoni e canti sono riproducibili anche sott’acqua, una magia che emoziona chi è in ascolto.

Riferimenti: “Toothed whales use distinct vocal registers for echolocation and communication” Peter T. Madsen, Coen Elemants, Ursula Siebert, proceedings of Science, 2 Mar 2023,Vol 379, Issue 6635, pp. 928-933
Doi: 10.1126/science.adc9570

Immagine: Marcus Wernicke, 4.0 International, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons