Svelato uno dei segreti della visione notturna
In tutte le cellule non in fase di divisione attiva, il DNA è organizzato in una forma “impacchettata”, chiamata cromatina: in generale, nella periferia del nucleo si dispone la più condensata eterocromatina, mentre nella regione centrale la meno compatta eucromatina. Questo pattern di organizzazione del DNA è praticamente universale e lo si ritrova in quasi tutti i tipi di cellule […]
In tutte le cellule non in fase di divisione attiva, il DNA è organizzato in una forma “impacchettata”, chiamata cromatina: in generale, nella periferia del nucleo si dispone la più condensata eterocromatina, mentre nella regione centrale la meno compatta eucromatina. Questo pattern di organizzazione del DNA è praticamente universale e lo si ritrova in quasi tutti i tipi di cellule degli organismi eucarioti.
Un recente studio, pubblicato sulla rivista Cell, ha evidenziato come a questa generalizzazione ci sia un’importante e diffusa eccezione, che riguarda l’organizzazione della cromatina nelle cellule rod, cellule coinvolte nella percezione della luce di notte, di alcuni mammiferi. In questo caso, infatti, la disposizione del DNA all’interno del nucleo è praticamente opposta a quella sopradescritta, con l’eucromatina che si dispone in periferia e l’eterocromatina nella parte più centrale. Questa diversa forma di organizzazione della cromatina in un gruppo di cellule fondamentali per la visione notturna la si ritrova in svariate specie attive di notte e filogeneticamente distanti, come il gatto, il cervo o il topo, mentre è completamente assente nelle specie diurne, anche se strettamente imparentate.
Vi è dunque una forte correlazione tra la visione notturna e questo pattern di disposizione della cromatina. Ma in che modo l’organizzazione del DNA può facilitare la visione notturna, in modo tale da ritrovarsi in specie così filogeneticamente distanti? Secondo i ricercatori, questa disposizione dei nuclei delle cellule rod costituirebbe una sorta di microlente in grado di catturare e convogliare nella direzione esatta la poca luce disponibile durante le ore notturne. Una simulazione al computer ha infatti mostrato che una colonna di nuclei così costituiti è in grado di incanalare in maniera molto efficiente la luce verso le strutture fotosensibili presenti sulla porzione esterna delle medesime cellule.
Secondo lo studio questa organizzazione della cromatina nel nucleo non si sarebbe evoluta indipendentemente in tutti i phyla, bensì fu una conquista molto importante fin dalle origini dei primi mammiferi, che probabilmente avevano abitudini notturne. D’altro canto, nelle specie che non vivono di notte, invece, si è ristabilito il pattern usuale e molto conservato negli eucarioti, in quanto consente una maggiore flessibilità nell’arrangiamento dei cromosomi e la disposizione dei fattori regolativi all’interno del nucleo.
Un piccolo accorgimento a livello cellulare con un grande impatto sulla vita e le prestazioni delle specie notturne.
Andrea Romano
Riferimenti:
I. Solovei, M. Kreysing, C. Lanctôt, S. Kösem, L. Peichl, T. Cremer, J. Guck, B. Joffe. Nuclear Architecture of Rod Photoreceptor Cells Adapts to Vision in Mammalian Evolution. Cell, 2009; 137 (2): 356 DOI: 10.1016/j.cell.2009.01.052
Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons
Un recente studio, pubblicato sulla rivista Cell, ha evidenziato come a questa generalizzazione ci sia un’importante e diffusa eccezione, che riguarda l’organizzazione della cromatina nelle cellule rod, cellule coinvolte nella percezione della luce di notte, di alcuni mammiferi. In questo caso, infatti, la disposizione del DNA all’interno del nucleo è praticamente opposta a quella sopradescritta, con l’eucromatina che si dispone in periferia e l’eterocromatina nella parte più centrale. Questa diversa forma di organizzazione della cromatina in un gruppo di cellule fondamentali per la visione notturna la si ritrova in svariate specie attive di notte e filogeneticamente distanti, come il gatto, il cervo o il topo, mentre è completamente assente nelle specie diurne, anche se strettamente imparentate.
Vi è dunque una forte correlazione tra la visione notturna e questo pattern di disposizione della cromatina. Ma in che modo l’organizzazione del DNA può facilitare la visione notturna, in modo tale da ritrovarsi in specie così filogeneticamente distanti? Secondo i ricercatori, questa disposizione dei nuclei delle cellule rod costituirebbe una sorta di microlente in grado di catturare e convogliare nella direzione esatta la poca luce disponibile durante le ore notturne. Una simulazione al computer ha infatti mostrato che una colonna di nuclei così costituiti è in grado di incanalare in maniera molto efficiente la luce verso le strutture fotosensibili presenti sulla porzione esterna delle medesime cellule.
Secondo lo studio questa organizzazione della cromatina nel nucleo non si sarebbe evoluta indipendentemente in tutti i phyla, bensì fu una conquista molto importante fin dalle origini dei primi mammiferi, che probabilmente avevano abitudini notturne. D’altro canto, nelle specie che non vivono di notte, invece, si è ristabilito il pattern usuale e molto conservato negli eucarioti, in quanto consente una maggiore flessibilità nell’arrangiamento dei cromosomi e la disposizione dei fattori regolativi all’interno del nucleo.
Un piccolo accorgimento a livello cellulare con un grande impatto sulla vita e le prestazioni delle specie notturne.
Andrea Romano
Riferimenti:
I. Solovei, M. Kreysing, C. Lanctôt, S. Kösem, L. Peichl, T. Cremer, J. Guck, B. Joffe. Nuclear Architecture of Rod Photoreceptor Cells Adapts to Vision in Mammalian Evolution. Cell, 2009; 137 (2): 356 DOI: 10.1016/j.cell.2009.01.052
Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons
Ecologo e docente di Etologia e Comportamento Animale presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università di Milano. Ha scritto di animali ed evoluzione su Le Scienze, Mente e Cervello, Oggiscienza e Focus D&R . Collabora con Pikaia, di cui è stato caporedattore dal lontano 2007 al 2020.