Tutte giù dagli alberi! Quando l’attività umana costringe le scimmie alla terrestrialità
Un recente studio ha investigato i fattori ecologici alla base del passaggio da vita arboricola a vita terrestre di numerosi gruppi di primati americani e del Madagascar
– copertura della canopea forestale (il manto rappresentato dalle chiome degli alberi);
– il rischio di predazione al suolo;
– la temperatura massima raggiunta dall’habitat in cui le scimmie vivono;
– il livello medio delle precipitazioni, legato alla temperatura dell’habitat;
– l’abbondanza di specie di primati presenti, fattore di potenziale concorrenza;
– la densità delle popolazioni umane vicino agli habitat considerati;
– la distanza da eventuali strade.
Allo stesso tempo, il gruppo di ricerca si è focalizzato anche su fattori indipendenti da fattori ambientali e più specifici delle singole specie osservate, come:
- la taglia corporea delle specie osservate;
– la dimensione dei gruppi;
– l’incidenza dell’alimentazione frugivora, tipica della vita arboricola;
I primati possono condurre vita terrestre, semiterrestre o arboricola, quest’ultima considerata una strategia di comportamento ancestrale da numerosi studi fin qui pubblicati. La terrestrialità è prevalente tra molte scimmie africane e asiatiche (le cosiddette scimmie Catarrine), ma per lo più assente tra le scimmie Platirrine americane e tra i lemuri del Madagascar. Fino ad oggi diverse ricerche hanno investigato le condizioni di passaggio alla terrestrialità di scimmie prevalentemente arboricole ma, come fanno notare gli autori all’inizio del loro studio, molte di queste ricerche si sono focalizzate su un numero di specie limitato o di fattori ristretto alle sole condizioni ambientali o a quelle biologiche. L’intenzione del gruppo di ricerca era invece di investigare quali fattori, sia ambientali che biologici, combinati con la pressione delle attività umane, abbiano potuto giocare un ruolo nell’assunzione della terrestrialità come strategia di sopravvivenza alternativa. Come spiegano gli autori stessi:
“Nello specifico, non siamo interessati agli adattamenti alla vita al suolo, bensì a quei tratti ecologici, anatomici e comportamentali che possano rendere la terrestrialità una possibile opzione per i primati arboricoli.”
Gli autori enucleano tre fattori fondamentali che potrebbero aver guidato la discesa al suolo. Innanzitutto, sebbene in generale sia complesso quantificare se sia più rischioso vivere sugli alberi o al suolo, la terrestrialità espone al rischio di predatori nuovi per chi è abituato a vivere sugli alberi.
Inoltre studi diversi sembrano mostrare che le specie adattate a vivere in habitat dalla scarsa copertura forestale scendano al suolo più frequentemente. La stessa pressione umana, sotto forma di cambiamenti climatici e di deforestazione, potrebbe fungere da catalizzatore per esplorare la vita al suolo, anche come conseguenza di una riduzione delle risorse.
Infine, l’aumento delle temperature medie potrebbe aver spinto alcune specie di primati ad abbandonare la vita arboricola per approdare al suolo, senz’altro più fresco della chioma degli alberi. E’ noto che i primati arboricoli scendano già frequentemente al suolo per abbeverarsi durante il caldo torrido della stagione estiva.
Vi sono poi altri fattori, meno climatici e più legati alle diversità di specie. Le specie simpatriche, evolutesi in continuità geografica e senza che le popolazioni siano state divise da barriere geografiche, tendono a mantenere nicchie separate per ridurre la competizione. In habitat densamente popolati, con elevata ricchezza di specie, scendere al suolo potrebbe rappresentare uno stratagemma per alleviare la competizione. La perdita di habitat causata dalla pressione umana potrebbe quindi fungere da ulteriore catalizzatore per questo processo.
Altri fattori specifici delle specie che possano influire su questa transizione sono legati alla varietà della dieta. Specie stagionali potrebbero essere spinte a scendere al suolo durante le stagioni di magra. Le specie già terrestri o semiarboricole tendono inoltre a vivere in gruppi grandi per proteggersi meglio dai predatori. Dunque la taglia dei gruppi delle specie arboricole può aver agevolato la transizione al suolo.
Le osservazioni hanno confermato queste ipotesi?
La preponderanza dei fattori ecologici
I risultati mostrano innanzitutto che la terrestrialità tende ad aumentare per quei primati che vivono in habitat congestionati, magari aggravati anche da una progressiva diradazione della copertura forestale.
La ricerca ha osservato una correlazione positiva tra aumento delle temperature e tendenza alla terrestrialità, sia che si tratti di individui della stessa specie che di specie diverse. L’accesso al suolo si configurerebbe come un adattamento della termoregolazione di queste scimmie.
Gli autori si aspettavano inoltre che laddove la copertura forestale fosse più rada la tendenza a scendere dagli alberi sarebbe stata maggiore. Le osservazioni hanno confermato questa ipotesi, soprattutto per quegli habitat maggiormente disturbati dalle attività umane.
L’abbondanza di specie di primati in uno specifico habitat ha invece mostrato risultati contrastanti a seconda che si considerassero primati di una stessa specie o di specie diverse: non determinante per queste ultime, con una maggiore correlazione per le prime. Gli autori si aspettavano, e le osservazioni sembrerebbero suffragare l’ipotesi, che un’ampia copertura forestale non avrebbe costituito un deterrente a scendere al suolo se la competizione sugli alberi fosse troppo grande. In ogni caso gli autori stessi mantengono un punto interrogativo su questa osservazione, poiché la pressione predatoria è un concetto difficile da quantificare e misurare.
L’impatto delle caratteristiche biologiche
I fattori specificamente legati alla struttura biologica e sociale dei primati osservati sembrano mostrare un impatto meno netto sulle possibilità di un cambio di comportamento.
Ad esempio, la taglia corporea delle scimmie, contrariamente a quanto previsto dagli autori, non sembra mostrare una correlazione diretta con l’accesso al suolo. In altri termini, essere più grandi o più piccoli di altri primati che affollano gli alberi non sembra essere specificamente legato alla discesa al suolo. È un fattore che gli autori si ripromettono di investigare ulteriormente, ostacolati dalla varietà di taglie corporee dentro la stessa specie e tra le specie osservate.
Gli autori osservano che anche la dieta gioca un ruolo. Specie che tendono a cibarsi solo di frutti non sembrano avere un buon rapporto col suolo. La disponibilità alimentare è dunque un fattore importante nelle scelte di questi primati, fungendo da elemento di pressione per l’acquisizione della terrestrialità.
La ricerca mostra risultati simili anche per la taglia dei gruppi sociali osservati: maggiori le dimensioni, maggiore sembra essere la tendenza a lasciare gli alberi.
L’invadenza umana
Gli autori concludono che le attività umane sembrano essere, direttamente ed indirettamente, uno dei fattori propulsivi di questo cambio di comportamento. Vivere al suolo, abbandonare gli alberi, sembra essere una strategia alternativa soprattutto in quegli habitat e per quelle specie fortemente condizionati dai cambiamenti dell’attività umana.
Allo stesso tempo, gli autori concludono ipotizzando che questa fuga dagli alberi per alcune specie potrebbe rappresentare un bilanciamento contro il pericolo di estinzione:
“Quanto più l’attività umana provoca cambiamenti nel clima, degrada gli habitat dei primati e condiziona la distribuzione arboricola, tanto più le popolazioni di primati devono fronteggiare sfide che minacciano, a un livello senza precedenti, la loro esistenza. Ci aspettiamo che un più frequente accesso al suolo da parte di specie che abitano habitat caldi, dalla scarsa copertura forestale ma capaci di una dieta più varia, possa rappresentare un contrappeso al rischio di estinzione.”
Ulteriori e ancora più vaste indagini saranno necessarie per convalidare questa interessante ipotesi. Riferimenti: Factors influencing terrestriality in primates of the Americas and Madagascar – Timothy M. Eppley et al., PNAS Vol. 119 No. 42 October 2022; DOI: https://doi.org/10.1073/pnas.2121105119 Immagine: Sannse at English Wikipedia, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons
Mi sono laureato in Biodiversità ed evoluzione biologica all’Università degli Studi di Milano ed ho conseguito un master in Giornalismo scientifico e comunicazione istituzionale della scienza all’Università degli studi di Ferrara. Mi appassiona la divulgazione e lo studio della storia delle idee scientifiche.