Un Chihuaua e un San Bernardo fanno parte della stessa specie…

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Cosa differenzia, a livello genetico, le diverse razze canine?

Questa domenica, complice il bel tempo, sono andata a fare un giretto a Monza. Da amante degli animali, il mio sguardo si è soffermato più sui cani al guinzaglio dei passanti che sulle vetrine del centro. Questa fauna cittadina varia e scodinzolante comprendeva un beagle intento a fiutare chissà quale pista, tre chihuahua con cappottino rosa legati insieme come la muta di una slitta, un maestoso bovaro del Bernese, un numero imprecisato di meticci di varia estrazione, più o meno entusiasti di trovarsi in mezzo a tanta folla.

Non è strano che più  di uno scienziato si sia chiesto quale sia l’origine della straordinaria variabilità intraspecifica del cane. Lo stesso Darwin l’aveva notata, facendo osservare, tra l’altro, come i nostri amici pelosi presentino una eccezionale varietà anche per quanto riguarda il carattere e gli istinti, che sono in gran parte ereditabili. Per questo, molte recenti ricerche si sono concentrate sull’analisi del genoma di Fido.

Le razze canine sono il frutto della selezione da parte dell’uomo, che di volta in volta ha scelto di far riprodurre solo gli individui con le caratteristiche estetiche e caratteriali che più gli interessavano. La datazione dei primi eventi di domesticazione del cane è un tema tutt’ora dibattuto: alcuni dati molecolari suggerirebbero di farla risalire addirittura a 135.000 anni fa, mentre ossa di lupo sono state ritrovate associate con quelle degli ominidi fin dal medio Pleistocene (400.000 anni fa). Tuttavia, la maggior parte delle razze come le conosciamo oggi nascono a partire dall’800. Le tracce di questa storia possono essere lette confrontando il genoma del lupo con quello di cani di diverse razze. In questo modo si riesce a ricostruire una storia evolutiva segnata da due “colli di bottiglia” (ovvero drastiche riduzioni della variabilità genetica, che si riscontrano quando la popolazione si riduce per poi tornare a crescere a partire da pochi individui) causati prima dalla domesticazione e poi dalla formazione della razza. La selezione artificiale non sembra tuttavia in grado, da sola, di spiegare perché il cane sia probabilmente il mammifero che presenta la maggiore variabilità morfologica sulla faccia della terra. Molti altri animali domestici hanno subito lo stesso processo di domesticazione e sono presenti in moltissime varietà, che tuttavia non arrivano a essere così diverse tra loro come due razze canine (pensiamo, per esempio, che il peso di un San Bernardo può essere 60 volte quello di un Chihuahua!). Il “materiale grezzo” su cui la selezione lavora, portando alla luce di volta in volta le caratteristiche prescelte, è la variabilità genetica.

Se ne deduce che i nostri migliori amici devono essere dotati di una variabilità genetica fuori dal comune. I ricercatori hanno proposto diversi meccanismi che potrebbero generarla.

In primo luogo abbiamo i microsatelliti, sequenze di basi ripetute (per esempio ATATAT…) che troviamo disperse nel genoma degli eucarioti. L’enzima preposto alla replicazione del DNA (la DNA polimerasi) può “confondersi” in corrispondenza di questi siti, aggiungendo o togliendo delle ripetizioni nel filamento neosintetizzato. Se questo succede nelle cellule germinali, la prole erediterà magari un “ATAT” o un “ATATATAT” al posto delle tre ripetizioni di partenza. Sembra che questi errori avvengano a frequenze più elevate nella famiglia dei Canidae (che comprende i cani, i lupi, le volpi, gli sciacalli…) rispetto agli altri Carnivori e anche rispetto ai primati.

Un altro meccanismo di variabilità  genetica è costituito dalle sequenze corte intersperse o SINE, dei retrotrasposoni (Pikaia ne ha parlato nell’articolo “l’invasione degli ultracorpi”). In sostanza si tratta di pezzetti di DNA in grado di replicarsi autonomamente, generando delle copie che vanno a inserirsi in altri punti del genoma in modo casuale. In questo modo possono interrompere, disattivare o modificare altri geni, producendo delle variazioni anche evidenti: per esempio la colorazione merle in alcune razze canine (che conferisce un aspetto screziato e maculato, simile a quello di alcuni pastori australiani) è determinata dall’inserzione di un elemento SINE all’interno di un gene fondamentale per la pigmentazione. Le sequenze SINE nei cani non solo sono abbondanti, ma possono trovarsi in siti differenti a seconda delle razze, e questo le rende un eccellente candidato per spiegare le differenze morfologiche osservate.

I ricercatori si sono anche divertiti a cercare i geni e le varianti alleliche responsabili di singole caratteristiche morfologiche dei cani. Scopriamo così che le differenze di taglia sono in gran parte imputabili a un singolo gene, che codifica per IGF-1, un ormone della crescita. IGF-1 è fondamentale anche per l’uomo: è nota per esempio una forma di nanismo dovuta all’insensibilità delle cellule verso questa molecola (sindrome di Laron). Nei cani esiste una particolare variante di IGF-1 condivisa da tutte le razze di piccola statura (pechinese, barboncino nano…) e altre due varianti caratteristiche dei cani molto grandi. L’allevatore che ha scelto di far riprodurre solo i cani più piccoli per ottenere dei teneri batuffolini da compagnia ha quindi in realtà selezionato un allele meno attivo di del gene di IGF-1.

Per quanto riguarda l’aspetto del pelo, sembra che sia fondamentalmente determinato dalla combinazione di alleli di soli tre geni. Una delezione di 160 paia di basi nel gene RSPO2 è responsabile delle folte sopracciglia e dei “baffi” tipici, per esempio, degli Schnauzer. Il cambiamento di un amminoacido in un altro fattore di crescita (FGF5, un fattore di crescita dei fibroblasti) distingue i cani a pelo lungo da quelli a pelo corto. Infine, una differenza di un singolo nucleotide nel gene KRT 71, che codifica per una cheratina, (la proteina di cui sono composti peli, unghie e anche i nostri capelli) è in grado di spiegare la differenza tra un mantello riccio e uno liscio.

Ogni proprietario di cane è  segretamente convinto che il suo amico quadrupede sia unico al mondo e totalmente diverso da qualunque altro… da oggi anche i genetisti sembrano dargli ragione!


Riferimenti:
Abigail L. Shearin, Elaine A. Ostrander Canine Morphology: Hunting for Genes and Tracking Mutations, PLoS Biol. 2010 March; 8(3): e1000310. doi:10.1371/journal.pbio.1000310 Link

Vilà C, Savolainen P, Maldonado J E, Amorim I R, Rice J R, Honeycutt R L, Crandall K A, Lundeberg J, Wayne R K Multiple and Ancient Origins of the Domestic Dog,  Science. 1997 Jun 13;276(5319):1687-9. Link

L’immagine è di Erica Prosdocimi