Un “piccolo stagno caldo” marziano: il Gale Carter darebbe ragione a Darwin

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Su Marte il rover Curiosity ha scoperto che il suolo marziano conserva le tracce di un’antica alternanza di cicli umido-secchi, condizioni ritenute favorevoli per l’evoluzione chimica e quindi l’origine della vita

L’evoluzione geologica planetaria di Marte (di cui Pikaia ha già parlato qui, qui e qui) è definita da una sequenza temporale di tre ere. Il periodo più “moderno” è l’Amazzoniano (dai 3 miliardi di anni fa a oggi), caratterizzato da condizioni ambientali aride e da attività atmosferica minima. Questo è preceduto dall’Esperiano (dai 3 ai 3,5 miliardi di anni fa), durante il quale si sono registrati numerosissimi episodi vulcanici. L’era più antica è quella del Noachiano (dai 3.5 ai 4,1 miliardi di anni fa), quando l’acqua ha alterato maggiormente la superficie del pianeta rosso. Tra tutte le indagini svolte per comprendere la storia di Marte, quelle più importanti sono relative all’analisi, al conteggio e alla formazione delle depressioni da impatto; ovvero riguardano i crateri. Tra questi, va citato il Gale Carter che, formatosi 3,6 miliardi di anni fa, ha un diametro di ben 154 km ed è stato selezionato per gli studi sull’evoluzione ambientale e geologica fin dal 2012, anno in cui il rover Curiosity è approdato sul pianeta. I motivi di questa scelta sono principalmente due: la presenza al suo interno di sezioni stratigrafiche ben esposte e l’ipotesi dell’esistenza passata di un lago, nel suo areale. Una recente ricerca pubblicata su Nature riporta specifici pattern poligonali ben conservati, di documentazione sedimentaria di età esperiana rilevati nel sito del cratere Carter. La domanda, che gli scienziati del Mars Science Laboratory (o MSL, la missione esplorativa della NASA su Marte col rover Curiosity) si sono posti, è quali conclusioni si possano trarre sulla episodicità idroclimatica e come questa potrebbe potenzialmente aver influenzato le condizioni necessarie per l’emergere della vita, durante la transizione dal primo al secondo periodo geologico del pianeta.

Le rilevazioni del Curiosity, il robot geologo

Dopo anni di studi geomorfologici, il rover Curiosity ha rivelato, sotto gli strati dominati da rocce fangose del cratere Gale, un’unità di deposizione fortemente arricchita di solfati (la cui composizione è stata rilevata dallo strumento ChemCam, un particolare spettrometro che fornisce analisi chimiche su scala sub – millimetrica e immagini dettagliate), adagiata sopra un substrato basaltico. Questo strato tende a manifestarsi in superficie sotto forma di creste dritte che si intersecano, a livello di triple giunzioni, formando poligoni con angoli di circa 120° (a “Y”). Sembra che queste creste si siano formate a partire dal riempimento, da parte dei solfati e da altri sedimenti ivi trasportati, delle fessure di essicazione del terreno fangoso. Gli scienziati, inoltre, hanno notato che le giunzioni da essiccamento, in un fango ancora malleabile, hanno forme caratteristiche a “T”, mentre quelle che derivano da ripetuti cicli secchi portano a forme esagonali regolari, ovvero con giunzioni “Y”.
Immagine: pattern poligonali nel Gale crater, a destra le creste evidenziate dal computer. Dalla pubblicazione

Immagine: pattern poligonali nel Gale crater, a destra le creste evidenziate dal computer. Dalla pubblicazione

Un’alternanza di condizioni umide e secche

Come accennato, l’aspetto delle creste sembra derivare da un primordiale riempimento delle fratture “giovani” (quelle a “T”). Queste si sono poi evolute durante numerosi cicli di essiccamento, seguiti da cicli di inondazione che hanno portato all’infossamento dei solfati e dei sedimenti lungo le linee di rottura. I poligoni irregolari, tramite cicli di sepoltura dei sali (depositati per esempio grazie all’attività idrica o l’attività vulcanica), di litificazione del substrato e poi risalita dei solfati stessi dallo strato basale, si sono trasformati nei poligoni regolari dai pattern odierni (ovvero quelli a “Y”, ben visibili).
Immagine: ipotesi del processo di formazione delle creste. Disegno: dalla pubblicazione

Immagine: ipotesi del processo di formazione delle creste. Disegno: dalla pubblicazione

In sostanza, le osservazioni chiave fatte durante lo studio, e che hanno portato ad una spiegazione plausibile, sono due: la prima è che le forme esagonali mature a “Y” indicano ripetuti e sostenuti cicli secchi (seguiti dunque da cicli, per lo meno, umidi), mentre la seconda è che l’esistenza di questi pattern, seppur solo su un intervallo di 18 metri, implica che la “stagionalità ambientale” di queste fluttuazioni è persistita, almeno, per episodi verificatesi nel lungo termine.

Un piccolo stagno caldo

Il 1° Febbraio 1871, Charles Darwin scrisse a Joseph Hooker, discutendo la sua ipotesi sull’origine della vita:
“[…] Ma se (e che grande se) potessimo concepire in un piccolo stagno caldo con tutti i tipi di sali di ammonio e fosforo, – luce, calore, elettricità, ecc. – presenti, che un composto proteico fosse chimicamente formato, pronto per subire trasformazioni ancora più complesse, oggi tale materia verrebbe istantaneamente divorata, o assorbita, cosa che non sarebbe avvenuta prima che si formassero gli esseri viventi. […]”

La quantità d’acqua, nei periodi aridi, si riduce di molto, aumentando conseguentemente la concentrazione dei sali residui disciolti in essa. Ciò favorisce i tassi delle reazioni, soprattutto di quelle che ne portano a una indiretta produzione (come, per esempio, la sintesi dei nucleotidi da zucchero, fosfato e una base che rilascia molecole di H2O) o che lavorano meglio quando l’attività dell’acqua è scarsa. Inoltre, va ricordato anche che reazioni di polimerizzazione, come quelle che portano alla formazione di DNA, RNA e proteine, richiedono step di disidratazione per poter procedere ad un tasso ottimale. Ambienti soggetti a cicli umido – secchi vengono considerati favorevoli, anzi addirittura essenziali, per quella che viene chiamata evoluzione chimica. Secondo gli autori, una regolarità idro – climatica come quella ipotizzata nello studio avrebbe potuto favorire l’attività prebiotica, aprendo, potenzialmente, le porte anche alle nuove frontiere dall’astrobiologia. Sembrerebbe dunque che il proverbiale “piccolo stagno caldo” di Darwin (esplicitamente citato nello studio) sia esistito anche su Marte, durante la transizione tra il Noachiano e l’Esperiano. Le prove riportate sulle oscillazioni cicliche umido – secche sul pianeta e le alte concentrazioni di solfati e di altri sedimenti supportano l’ipotesi che il passaggio dal primo al secondo periodo geologico di Marte fosse favorevole ai processi di polimerizzazione prebiotica, e quindi, potenzialmente, all’origine della vita.

Riferimenti

Rapin, W., Dromart, G., Clark, B.C. et al. Sustained wet–dry cycling on early Mars. Nature 620, 299–302 (2023). https://doi.org/10.1038/s41586-023-06220-3

Immagine: Foto di Aynur Zakirov da Pixabay