Un volto per l’antenato diretto di Lucy
La scoperta del cranio di uno tra i più antichi membri del genere Australopithecus, oltre a fornire la prima morfologia cranio-facciale completa del suo genere, suggerirebbe nuove implicazioni evolutive tra le specie progenitrici del genere Homo
Un gruppo internazionale di scienziati, guidato dai paleoantropologi del Cleveland Museum of Natural History dell’Ohio, ha analizzato un cranio rinvenuto a Woranso-Mille in Etiopia, attribuendolo ad un individuo maschio appartenente alla specie Australopithecus anamensis, ritenuto il predecessore diretto di Australopithecus afarensis), la specie a cui appartiene la famosa “Lucy”. La datazione, effettuata tramite misure radiometriche del sedimento circostante, colloca il reperto a circa 3.8 milioni di anni fa.
La peculiarità del ritrovamento, come descritto in due studi pubblicati su Nature, consiste in due aspetti particolarmente rilevanti: fino ad oggi la morfologia facciale di A. anamensis non era chiara. Le attuali informazioni su questa specie derivano dall’analisi morfologica di singole mascelle e denti, mentre la conoscenza delle specie più recenti (datate da 3.5 a 2 milioni di anni fa) è rafforzata dal ritrovamento di una molteplicità di crani e reperti in generale (Pikaia ne ha parlato qui). Gli scienziati hanno classificato il reperto sulla base delle informazioni morfologiche, tassonomiche e filogenetiche dei denti canini, dell’osso temporale e della mascella, fornendo così un primo “assaggio” della morfologia cranio-facciale completa di uno dei primi membri conosciuti del genere Australopithecus.
In secondo luogo, grazie a questo cranio fossile, battezzato con l’acronimo MRD in onore di Miro Dora, nome del sito in cui è stato rinvenuto, gli scienziati hanno formulato l’ipotesi secondo la quale le due specie, A.anamensis e A.afarensis avrebbero convissuto per diverso tempo, nonostante la seconda sia considerata una diretta discendente della prima.
Questa tesi sarebbe corroborata dal confronto di MRD con un osso frontale antico di circa 3.9 milioni di anni, rinvenuto in Etiopia nel 1981. Secondo gli autori, la comparazione con MRD confermerebbe l’appartenenza di questo osso frontale alla specie A. afarensis, retrodatandone la presenza rispetto a MRD stesso (che sappiamo essere antico di circa 3.8 milioni di anni). Se questa scoperta fosse confermata, stando alla datazione dei reperti, significherebbe che la specie A. afarensis avrebbe convissuto con A. anamensis per almeno centomila anni.
L’ipotesi degli autori è quindi che un gruppo di A. anamensis potrebbe essersi isolato dalle altre popolazioni della stessa specie, dando origine ad A. afarensis. In quel caso, altri gruppi di A. anamensis avrebbero comunque vissuto contemporaneamente nella regione dell’Afar, con la specie di “Lucy”. Sebbene interessante, l’ipotesi non convince del tutto la comunità degli esperti. Il solo confronto tra due reperti non sarebbe sufficiente a sostenere l’idea e le differenze tra i due esemplari potrebbero essere il risultato della sola variazione individuale.
L’idea della convivenza tra le specie, necessita dunque di ulteriori conferme. Nel frattempo, le scoperte descritte dai ricercatori aggiungono nuovi elementi al dibattito scientifico sulle nostre origini, in attesa di nuovi risultati che portino ad una comprensione sempre più dettagliata del nostro percorso evolutivo.
Riferimenti:
Yohannes Haile-Selassie, Stephanie M. Melillo, Antonino Vazzana, Stefano Benazzi, Timothy M. Ryan. A 3.8-million-year-old hominin cranium from Woranso-Mille, Ethiopia. Nature, 2019; DOI: 10.1038/s41586-019-1513-8
Beverly Z. Saylor, Luis Gibert, Alan Deino, Mulugeta Alene, Naomi E. Levin, Stephanie M. Melillo, Mark D. Peaple, Sarah J. Feakins, Benjamin Bourel, Doris Barboni, Alice Novello, Florence Sylvestre, Stanley A. Mertzman, Yohannes Haile-Selassie. Age and context of mid-Pliocene hominin cranium from Woranso-Mille, Ethiopia. Nature, 2019; DOI: 10.1038/s41586-019-1514-7
Immagine di apertura: JENNIFER TAYLOR/CLEVELAND MUSEUM OF NATURAL HISTORY/DALE MORI AND LIZ RUSSELL
Immagine nel testo: JOHN GURCHE AND MATT CROW/CLEVELAND MUSEUM OF NATURAL HISTORY