Una fonte esogena di variabilità genetica?

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Il phylum dei rotiferi (Rotifera) è costituito da piccoli organismi molto diffusi nelle acque dolci di tutto il mondo: tra questi, gli appartenenti alla classe Bdelloidea hanno sempre suscitato l’interese dei biologi in quanto si riproducono esclusivamente per via asessuale. In particolare, esistono solamente individui di sesso femminile che si sviluppano da uova non fecondate prodotte dalle femmine della generazione […]

Il phylum dei rotiferi (Rotifera) è costituito da piccoli organismi molto diffusi nelle acque dolci di tutto il mondo: tra questi, gli appartenenti alla classe Bdelloidea hanno sempre suscitato l’interese dei biologi in quanto si riproducono esclusivamente per via asessuale. In particolare, esistono solamente individui di sesso femminile che si sviluppano da uova non fecondate prodotte dalle femmine della generazione precedente.

Questo modo di riprodursi, chiamato partenogenesi, non consente quel fenomeno di ricombinazione genica che avviene durante la meiosi nelle specie che praticano riproduzione sessuale e che dunque promuove la variabilità genetica e la conseguente maggiore capacità di adattarsi ai cambiamenti ambientali. Nonostante i rotiferi bdelloidei pratichino la partenogenesi da circa 80-100 milioni di anni, continuano a proliferare nelle acque di tutto il mondo, costituendo più di 500 specie diverse.

Qual’è dunque il loro segreto? Recenti studi hanno dimostrato che le due copie alleliche di ciascun gene possono essere molto differenti tra loro e codificare per proteine adibite a diverse funzioni, facilitando i processi di adattamento (Pikaia ne ha parlato qui), ma, secondo uno studio pubblicato sull’ultimo numero di Science, ci sarebbe molto di più…

Questi animali presenterebbero infatti all’interno del proprio DNA numerosi frammenti del genoma di altre specie: quello che risulta ancora più incredibile è che questo DNA alieno non solo non appartiene ad altri rotiferi, o almeno non esclusivamente, ma nemmeno ad altri invertebrati. Un gruppo di ricercatori della Harvard University ha infatti rinvenuto nelle porzioni telomeriche dei cromosomi (le regioni terminali dei cromosomi, in genere costituite da DNA altamente ripetuto) tratti di DNA di cui non esistono ortologhi tra i metazoi. Apparterrebbero infatti ai più svariati gruppi di organismi conosciuti, dai funghi ai batteri, fino alle piante.

Ma in che modo i rotiferi avrebbero incorporato così tanti frammenti di DNA estraneo? I ricercatori puntano il dito verso un’altra delle caratteristiche uniche di questi animali: la capacità di entrare in uno stato di dormienza (o criptobiosi), una fase di completo disseccamento, in cui il metabolismo viene ridotto al minimo e grazie alla quale sono in grado di sopravvivere a periodi sfavorevoli, come quelli di siccità. Durante questa fase di “vita sospesa”, avviene la rottura delle membrane cellulari e la frammentazione del materiale genetico: sarebbe proprio in seguito al ritorno delle condizioni ottimali e alla ricostituzione del DNA che questi organismi incorporerebbero il DNA alieno.

Lo studio non entra nel merito dell’importanza adattativa di questi frammenti genici, tuttavia non esclude che l’assimilazione di geni esogeni funzionali possa aver giocato un ruolo determinate nei processi evolutivi di questi unici animali, sostituendo, almeno in parte, la riproduzione sessuale.

Andrea Romano

Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons