Una nuova ricerca internazionale rivela l’importanza degli studi sugli ecosistemi del passato per misurare lo stato di salute del nostro pianeta
Una nuova ricerca internazionale coordinata dal MUSE – Museo delle Scienze di Trento e dal Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige mostra quanto lo studio di un ecosistema risalente a 260 milioni di anni fa possa essere rilevante per comprendere il mondo di oggi
I risultati dello studio del team guidato dal paleontologo Massimo Bernardi del MUSE, supportato dall’Euregio Science Fund, sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Earth-Science Reviews.
Lo studio mette in luce come gli ecosistemi equatoriali del tardo Permiano, seppure molto diversi dalle attuali foreste pluviali, ospitassero un’eccezionale diversità di specie, tra cui sia gruppi ancestrali, estinti altrove, sia gruppi di recente comparsa, caratteristiche tipiche degli ecosistemi equatoriali odierni. Solo dopo pochi milioni di anni questa diversità venne decimata dalla più profonda crisi ecosistemica della storia del pianeta, l’estinzione di fine Permiano, una fase di intenso cambiamento climatico e alto tasso di estinzione, proprio come quella che stiamo vivendo oggi. Queste scoperte assumono quindi particolare rilevanza e sono testimonianza di una nuova direzione di sviluppo degli studi paleontologici.
Circa 260 milioni di anni fa, il nostro pianeta era popolato da animali bizzarri, compresi gli antenati dei dinosauri e dei mammiferi che sarebbero comparsi solo alcune decine di milioni di anni dopo. Una nuova ricerca condotta da un team internazionale di paleontologi e geologi mostra che, nel Permiano, la fascia equatoriale era un’area chiave: per la maggior parte coperta da un deserto apparentemente inospitale, ospitava tuttavia una ricca diversità di specie terrestri, in particolare di rettili e piante.
In un nuovo articolo pubblicato sulla rivista Earth-Science Reviews, il team di ricerca guidato dal paleontologo Massimo Bernardi del MUSE e supportato dall’Euregio Science Fund, ha elaborato una comparazione a scala globale di siti fossiliferi, tra i quali spicca il giacimento italiano del Bletterbach, sito parte delle Dolomiti UNESCO a metà strada tra Bolzano e Trento, che mostra inattesi elementi di somiglianza tra gli ecosistemi terresti di allora e quelli di oggi.
“I tropici furono una fucina per la biodiversità, nel lontano Permiano così come oggi” spiega Massimo Bernardi. “Con questo studio abbiamo dimostrato l’importanza, anche nel passato, delle aree a basse latitudini sia come “culle della biodiversità”, cioè luoghi di rapida evoluzione, sia come “musei della biodiversità”, rifugi dove sopravvivono specie estinte altrove”.
Mentre è ormai assodato che le foreste pluviali calde e umide d’oggi ospitino un’incredibile diversità, può sembrare controintuitivo che gli aridi deserti del Permiano ospitassero una moltitudine eccezionale di specie. “Tuttavia – aggiunge Fabio Massimo Petti, uno dei coautori – questo studio dimostra come la fascia equatoriale rivestisse un ruolo chiave per la biodiversità del pianeta anche in tempi antichissimi e nonostante nel corso della storia abbia visto succedersi una varietà di ecosistemi molto diversi tra loro”.
Parte rilevante del lavoro è stata condotta a partire dai dati raccolti nel sito paleontologico del Bletterbach, in Alto Adige. L’attuale area dolomitica, infatti, nel Permiano si trovava in prossimità dell’equatore. Come chiarisce Evelyn Kustatscher del Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige: “il Bletterbach è un luogo unico oggigiorno, che nel Permiano occupava una posizione geografica chiave. Le associazioni fossili rinvenute nel Bletterbach – continua la ricercatrice – mostrano un’abbondanza di specie superiore alla maggior parte dei siti della stessa età noti in tutto il mondo”.
Secondo gli autori per comprendere il funzionamento degli ecosistemi d’oggi, quale sia il loro funzionamento “naturale”, cosa sia “normale” in assenza dell’intervento umano, è fondamentale guardare al passato e dunque alla documentazione fossile.
Considerato il cambiamento climatico in atto e l’effetto sugli ecosistemi di tutto il globo, sempre più comparabile a quello che portò all’estinzione di fine Permiano, studi come questo contribuiscono a misurare lo stato di salute del nostro Pianeta.
Lo studio è parte del progetto di ricerca “The end-Permian mass extinction in the Southern and Eastern Alps” sviluppato dal Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige, il MUSE – Museo delle Scienze di Trento e il dipartimento di geologia dell’Università di Innsbruck in collaborazione con il geoparco Bletterbach.
Riferimenti:
Massimo Bernardi, Fabio Massimo Petti, Evelyn Kustatscher, Matthias Franz, Christoph Hartkopf-Fröder, Conrad C. Labandeira, Torsten Wappler, Johanna H.A. van Konijnenburg-van Cittert, Brandon R. Peecook, Kenneth D. Angielczyk. Late Permian (Lopingian) terrestrial ecosystems: A global comparison with new data from the low-latitude Bletterbach Biota. Earth-Science Reviews, 2017; 175: 18 DOI: 10.1016/j.earscirev.2017.10.002
Immagine credit: Davide Bonadonna
Lo studio mette in luce come gli ecosistemi equatoriali del tardo Permiano, seppure molto diversi dalle attuali foreste pluviali, ospitassero un’eccezionale diversità di specie, tra cui sia gruppi ancestrali, estinti altrove, sia gruppi di recente comparsa, caratteristiche tipiche degli ecosistemi equatoriali odierni. Solo dopo pochi milioni di anni questa diversità venne decimata dalla più profonda crisi ecosistemica della storia del pianeta, l’estinzione di fine Permiano, una fase di intenso cambiamento climatico e alto tasso di estinzione, proprio come quella che stiamo vivendo oggi. Queste scoperte assumono quindi particolare rilevanza e sono testimonianza di una nuova direzione di sviluppo degli studi paleontologici.
Circa 260 milioni di anni fa, il nostro pianeta era popolato da animali bizzarri, compresi gli antenati dei dinosauri e dei mammiferi che sarebbero comparsi solo alcune decine di milioni di anni dopo. Una nuova ricerca condotta da un team internazionale di paleontologi e geologi mostra che, nel Permiano, la fascia equatoriale era un’area chiave: per la maggior parte coperta da un deserto apparentemente inospitale, ospitava tuttavia una ricca diversità di specie terrestri, in particolare di rettili e piante.
In un nuovo articolo pubblicato sulla rivista Earth-Science Reviews, il team di ricerca guidato dal paleontologo Massimo Bernardi del MUSE e supportato dall’Euregio Science Fund, ha elaborato una comparazione a scala globale di siti fossiliferi, tra i quali spicca il giacimento italiano del Bletterbach, sito parte delle Dolomiti UNESCO a metà strada tra Bolzano e Trento, che mostra inattesi elementi di somiglianza tra gli ecosistemi terresti di allora e quelli di oggi.
“I tropici furono una fucina per la biodiversità, nel lontano Permiano così come oggi” spiega Massimo Bernardi. “Con questo studio abbiamo dimostrato l’importanza, anche nel passato, delle aree a basse latitudini sia come “culle della biodiversità”, cioè luoghi di rapida evoluzione, sia come “musei della biodiversità”, rifugi dove sopravvivono specie estinte altrove”.
Mentre è ormai assodato che le foreste pluviali calde e umide d’oggi ospitino un’incredibile diversità, può sembrare controintuitivo che gli aridi deserti del Permiano ospitassero una moltitudine eccezionale di specie. “Tuttavia – aggiunge Fabio Massimo Petti, uno dei coautori – questo studio dimostra come la fascia equatoriale rivestisse un ruolo chiave per la biodiversità del pianeta anche in tempi antichissimi e nonostante nel corso della storia abbia visto succedersi una varietà di ecosistemi molto diversi tra loro”.
Parte rilevante del lavoro è stata condotta a partire dai dati raccolti nel sito paleontologico del Bletterbach, in Alto Adige. L’attuale area dolomitica, infatti, nel Permiano si trovava in prossimità dell’equatore. Come chiarisce Evelyn Kustatscher del Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige: “il Bletterbach è un luogo unico oggigiorno, che nel Permiano occupava una posizione geografica chiave. Le associazioni fossili rinvenute nel Bletterbach – continua la ricercatrice – mostrano un’abbondanza di specie superiore alla maggior parte dei siti della stessa età noti in tutto il mondo”.
Secondo gli autori per comprendere il funzionamento degli ecosistemi d’oggi, quale sia il loro funzionamento “naturale”, cosa sia “normale” in assenza dell’intervento umano, è fondamentale guardare al passato e dunque alla documentazione fossile.
Considerato il cambiamento climatico in atto e l’effetto sugli ecosistemi di tutto il globo, sempre più comparabile a quello che portò all’estinzione di fine Permiano, studi come questo contribuiscono a misurare lo stato di salute del nostro Pianeta.
Lo studio è parte del progetto di ricerca “The end-Permian mass extinction in the Southern and Eastern Alps” sviluppato dal Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige, il MUSE – Museo delle Scienze di Trento e il dipartimento di geologia dell’Università di Innsbruck in collaborazione con il geoparco Bletterbach.
Riferimenti:
Massimo Bernardi, Fabio Massimo Petti, Evelyn Kustatscher, Matthias Franz, Christoph Hartkopf-Fröder, Conrad C. Labandeira, Torsten Wappler, Johanna H.A. van Konijnenburg-van Cittert, Brandon R. Peecook, Kenneth D. Angielczyk. Late Permian (Lopingian) terrestrial ecosystems: A global comparison with new data from the low-latitude Bletterbach Biota. Earth-Science Reviews, 2017; 175: 18 DOI: 10.1016/j.earscirev.2017.10.002
Immagine credit: Davide Bonadonna