Uno, nessuno e centomila

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Nel corso degli ultimi dieci anni numerosi gruppi di ricerca hanno focalizzato la propria attenzione sulla simbiosi portando ad evidenziarne con sempre maggior forza l’importanza nell’evoluzione dei viventi. Le interazioni simbiotiche sono spesso talmente specializzate e reciprocamente essenziali che, secondo alcuni autori, l’ospite e i suoi simbionti dovrebbero essere visti non come oggetti separati, ma come un’unica unità evolutiva, che potrebbe […]

Nel corso degli ultimi dieci anni numerosi gruppi di ricerca hanno focalizzato la propria attenzione sulla simbiosi portando ad evidenziarne con sempre maggior forza l’importanza nell’evoluzione dei viventi.
 
Le interazioni simbiotiche sono spesso talmente specializzate e reciprocamente essenziali che, secondo alcuni autori, l’ospite e i suoi simbionti dovrebbero essere visti non come oggetti separati, ma come un’unica unità evolutiva, che potrebbe essere definita olobionte. Un aspetto di grande interesse di questo approccio deriva dal fatto che la variabilità genetica utile a conseguire un adeguato adattamento all’ambiente potrà quindi essere presente sia nel genoma dell’ospite che in quello dei simbionti, tanto che si potrebbe parlare di ologenoma per indicare l’insieme di tutti i genomi presenti. Questo approccio è di sicuro interesse poiché rispecchia un aspetto chiave ovvero che l’evoluzione del genoma dell’ospite e dei simbionti deve essere concertato al fine di assicurare un corretto funzionamento della relazione simbiotica e quindi buone possibilità evolutive ad ospite e simbionti.

In un recentissimo articolo intitolato “The hologenome theory of evolution contains Lamarckian aspects within a Darwinian framework”, pubblicato sul numero di dicembre della rivista Environmental Microbiology, Eugene Rosenberg, Gil Sharon e Ilana Zilber-Rosemberg riassumono in modo molto efficace la teoria dell’ologenoma e suggeriscono che questa teoria sia di grande interesse anche perché viene ad inserire in un framework tipicamente darwiniano alcuni elementi che sono classicamente considerati lamarckiani, quali l’uso ed il disuso e l’eredità dei caratteri acquisiti.

Lamarck riletto oggi presenta indubbiamente aspetti di grande interesse, poiché già all’inizio dell’ottocento aveva intuito che le specie cambiano nel tempo attraverso un processo lento ed impercettibile e che tale evoluzione avviene per adattamento all’ambiente. Nelle opere di Lamarck troviamo inoltre l’idea della discendenza comune dei viventi e dell’origine della vita dalla materia inanimata, aspetti che lo rendono indubbiamente un gigante del pensiero scientifico. Come sottolineato infine dal Professor Pietro Omodeo (in “Opere di Jean Baptiste Lamarck”, a cura di Pietro Omodeo. UTET, 1969), “Charles Darwin espresse giudizi molto duri ed ingiusti su Lamarck, negando di avere ricavato alcuna idea utile dalle loro opere. Egli era indubbiamente sincero quando così scriveva, ma evidentemente non si rendeva conto che le idee non si assimilano soltanto attraverso la consapevole accettazione delle teorie lette nei libri o ascoltate nelle lezioni, ma anche attraverso discorsi e letture fatte occasionalmente, attraverso il tacito lavorio intimo attorno ad una problematica proposta per insistenza, anche se non in modo convincente”.

Ma in che modo la teoria dell’ologenoma può dare nuovo sostegno ad idee lamarckiane? Secondo Eugene Rosenberg è necessario tenere in considerazione che l’olobionte non è un’entità statica, ma è estremamente dinamica poichè i diversi simbionti possono essere presenti in quantità diverse. Questo aspetto non è secondario poiché quantità diverse di alcune specie di simbionti possono avere effetti fenotipici importanti sull’ospite andando a modificare, ad esempio, la disponibilità di alcune molecole che possono essere implicate in diversi processi. Questo significa che in determinate condizioni alcuni simbionti possono diventare prevalenti rispetto agli altri per poi tornare a diminuire in modo controllato durante, ad esempio, lo sviluppo oppure in risposta a stimoli di tipo ambientale, quali la temperatura e la disponibilità di determinati nutrienti e antibiotici.

A questo si deve aggiungere che nuovi simbionti possono essere acquisiti nel corso dell’evoluzione, così come vecchi simbionti possono essere persi perché non più utili, aspetto che secondo Rosenberg e colleghi andrebbe ad introdurre una componente lamarckiana nell’evoluzione dell’olobionte: i simbionti sarebbero quindi usati e dimessi nel corso dell’evoluzione dell’ospite in base ad un principio lamarckiano di suo e disuso.

I simbionti hanno inoltre la peculiarità di avere evoluto precise modalità di trasmissione dall’ospite alle generazioni filiali, passaggio che è essenziale per assicurare la vitalità di tali generazioni, oltre che ovviamente dei simbionti stessi (che non sarebbero più in grado di vivere al di fuori dell’ospite!). In questo però verrebbe a celarsi il secondo aspetto Lamarckiano della teoria dell’ologenoma, poiché un simbionte acquisito da un genitore può passare alla prole realizzando quindi la trasmissione di un carattere acquisito. Questo non è sicuramente un elemento di scarsa importanza se si considera che l’acquisizione di un nuovo simbionte può avere un enorme impatto sull’evoluzione dell’ospite che potrebbe divenire in grado di colonizzare nuove nicchie ecologiche grazie all’aiuto del nuovo simbionte. Ad esempio, molti insetti possono vivere in ambienti in cui hanno una dieta inadeguata grazie al fatto che alcuni simbionti producono per l’ospite tutto ciò che non è possibile recuperare dall’ambiente con l’alimentazione. In questo caso quindi ereditare dai genitori un batterio acquisito nel corso della vita ha un forte valore adattativo, aspetto di chiaro ricordo Lamarckiano.

La teoria dell’ologenoma quindi sembra introdurre elementi di convergenza tra il lavoro di Lamarck e quello di Darwin, convergenza che altri autori (tra cui ad esempio Eva Jablonka e Marion Lamb in “Evoluzione in quattro dimensioni”) hanno suggerito anche in altri ambiti quali, ad esempio, l’epigenetica e l’RNA interferenza. Sebbene si possa sollevare numerosi dubbi sul fatto che l’epigenetica abbia, o meno, una componente lamarckiana, rimane il fatto che la simbiosi presenta aspetti che potrebbero richiamare principi lamarckiani sebbene, quando Lamarck si riferiva ad un carattere acquisito, indubbiamente pensava a qualche cosa di ben diverso e che non può essere invece spiegato in modo lamarckiano.

Questo non significa che la teoria dell’evoluzione debba essere vista come indebolita, poiché il nucleo centrale della teoria di Darwin rimane assolutamente inalterato e solidamente posto al centro della moderna biologia evoluzionistica. Tuttavia, la teoria dell’ologenoma rappresenta un ulteriore stimolo a rivedere la Sintesi Moderna, che rappresenta attualmente il paradigma di base della biologia evoluzionistica. E’ quindi forse giunto il momento, come già suggerito da numerosi biologi evoluzionisti, di fare qualche aggiornamento alla luce delle nuove conoscenze e proporre una sorta di Sintesi Estesa o Sintesi Moderna Estesa, che integri anche alcuni concetti divenuti parte irrinunciabile della biologia evoluzionistica moderna, tra cui quelli di evolvibilità, plasticità fenotipica, eredità epigenetica, teoria della complessità e teoria dell’ologenoma.

Mauro Mandrioli


Fonte immagine: sito web “Living in the now