Suggestioni da una mostra

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Visita alla mostra di Torino “I primi custodi della memoria. Le sepolture nel paleolitico” e inizio di un viaggio alla scoperta di memorie e di storie.

Ho visitato “I primi custodi della memoria” il giorno stesso in cui è apparsa su Pikaia la segnalazione della mostra di Torino. Mi ero ripromessa di andare a vederla dopo aver mancato l’occasione dell’inaugurazione del 16 gennaio scorso.

La Sala Principe d’Acaia, dove è allestita la mostra, si trova al piano terreno dello splendido Palazzo del Rettorato di Torino, con entrata dall’aulico cortile interno. Uno dei tanti splendidi cortili storici di Torino.

Al cortile si accede sia dai portici di via Po 17 sia dall’opposta via Verdi 8. Dal cortile, i pannelli indicatori della mostra indirizzano all’ingresso dell’ampia Sala che, essenziale e austera nell’architettura, consente di non distrarsi da quanto è esposto. Dall’ingresso, a colpo d’occhio, si coglie l’insieme dell’allestimento e il percorso di visita. Ma se si avessero dei tentennamenti su come procedere, i gentili e premurosi volontari dell’Associazione Solidarietà Insieme 2010 vi verranno incontro senza indugi.

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L’ingresso della mostra. Foto: Carmen Dirita

Già dal varco della porta, si intravedono – sulla sinistra – le teche poggiate a pavimento che custodiscono i preziosi calchi delle sepolture. Dieci teche con calchi e non scheletri veri, si è raccomandato di dire il prof. Giacomo Giacobini, uno dei principali promotori e curatori dell’esposizione, per rassicurare i visitatori più impressionabili. Calchi accurati di dieci sepolture, scelte per rappresentare una parte dell’ampia collezione torinese di tombe preistoriche. Ogni calco è accompagnato da uno o più cartellone didascalico. In totale 18 cartelloni numerati, alcuni doppi (4.1 e 4.2, 14.1 e 14.2) che raccontano la mostra.

La visita inizia con i primi cartelloni a destra dell’ingresso alla Sala, quelli introduttivi. Poi prosegue sul lato sinistro dell’entrata dove, in senso orario, si percorre l’intera Sala trovando in successione le due sepolture neandertaliane, la “più famosa” di La Chappelle-aux-Saints e l’ultima scoperta in ordine di tempo, almeno fino ad oggi, quella di Kebara 2 (scoperta nel 1983). Seguono le teche con i calchi delle sepolture Sapiens, da quella più antica, la sepoltura doppia di Qafzeh (tra 115 e 92 mila anni fa) a quella più recente di Romito 1 e 2 (circa 11.000 anni fa) presentata come “Insieme per sempre”, passando per le sepolture più citate nei comunicati stampa della mostra, quelle della “Dama del Caviglione” (24.000 anni fa) e del “Giovane Principe” (circa 23.400 anni fa).

Ogni pannello didascalico fornisce informazioni tecniche, notizie storiche principali e qualche aneddoto su ogni reperto, un assaggio di contenuti e di storie che ogni sepoltura potrebbe raccontare ma che una mostra, da sola, non può che sintetizzare.

Ogni reperto riprodotto nei calchi esposti, ha più storie da raccontare. Ma occorre avvicinarsi a ognuna delle teche, farsi rapire e suggestionare da ciò che si vede e si legge e poi, mossi dalla curiosità e dalla voglia di sapere, cercare altro. Si scopre tanto anche solo navigando in internet, su fonti autorevoli e non campate in aria. Si trovano i resoconti, i racconti e le storie delle scoperte e dei scopritori, delle vicende e delle persone che sono state ritrovate.

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Il calco della Dama del Caviglione esposto alla mostra. Foto: Carmen Dirita

Un esempio per tutti? La “Dama del Caviglione”, quinta teca da sinistra e pannello n.12 della mostra. Leggendo le note si apprende che veniva chiamato l’Uomo di Mentone e che fu scoperto nel 1872 da un francese. Si apprende anche altro.

Il resto si trova facilmente in internet, se la curiosità e la voglia di sapere si accendono nel visitatore. In me si sono accese e qualcosa in più sapevo perché ho visitato, nel 2023, sia la Grotta del Caviglione sia il Museo dei Balzi Rossi che si trova ai suoi piedi.

Il calco della sepoltura di Torino mostra che si trattava di un individuo alto e dall’ossatura robusta, caratteristiche sufficienti a far pensare che si era al cospetto di un uomo. Non ebbe dubbi, infatti, lo scopritore francese Émile Riviére che trovò la tomba nel 1872. Abitava a Mentone e per questo al reperto fu dato il nome di L’Homme de Mentone. Tale rimase fino alla fine del XX secolo. Grazie a una donna, la paleantropologa Marie-Antoinette de Lumley, a nuovi e accurati studi iniziati alla fine degli anni ottanta del XX secolo e svolti con metodologie all’avanguardia da parte di un’equipe internazionale, nel 2016 l’identità dell’Uomo di Mentone fu cambiata nella Dama del Caviglione, dal nome della Grotta italiana in cui fu trovata. Grotta del Caviglione situata nella falesia dei Balzi Rossi in Liguria, vicino al confine francese.

Il reperto originale si trova a Parigi, al Musée de l’Homme, ma sia a Torino sia al Museo preistorico dei “Balzi Rossi” di Ventimiglia sono presenti i calchi perfetti della tomba e, a Ventimiglia, anche la ricostruzione del volto di questa antica e importante donna.

Il cranio era ricoperto da più di 300 conchiglie e da denti di cervo forati, che dovevano essere infilati in una specie di rete che copriva la testa. Lo scheletro fu oggetto di un rituale funebre con numerose offerte: lame di selce, ematite, conchiglie, premolari di cervo, ecc.

Lo scheletro, le cui ossa sono rimaste in connessione anatomica, era ricoperto di ocra e sepolto sul lato sinistro, con la schiena appoggiata al muro su cui era inciso un cavallo. La sua datazione si stima abbia 24.000 anni.

L’età stimata dell’individuo alla morte era di 37 anni. La sua statura, piuttosto alta – al punto da farlo passare un tempo come un uomo – doveva essere di 1,72 m, e il suo peso di 67,5 Kg. Il radio sinistro presenta una frattura consolidata.

La Dama del Caviglione viveva vicino alla costa, in un clima fresco e secco. L’ambiente era costituito da steppe attraversate da mandrie di cavalli e uri e da foreste popolate da cervi. Il suo gruppo viveva di caccia, pesca e raccolta. La sua dieta, come testimonia l’usura dei denti, mostra un elevato consumo di carne e pesce.

Non c’è dubbio che, come in altri siti contemporanei, questa “signora” abbia beneficiato dell’attenzione delle persone a lei vicine riguardo al suo futuro dell’aldilà. (estratti dal sito internet del Musée de L’Homme, Dame du Cavillon, traduzione dal francese di Carmen Dirita).)

Come già detto, a Torino sono in mostra dieci sepolture, ognuna in grado di suscitare suggestioni affascinanti, tutte insieme in grado di far viaggiare con la mente in epoche preistoriche attraverso antiche persone che sono state sepolte dai loro cari e che sono arrivate fino a noi a raccontarci le loro storie.

Suggestioni da una mostra. A ognuno le proprie.

Riferimenti:

Chevalier, T., Guipert, G., Stalens, H., & Voisin, J.-L. (2016). Une nouvelle étude anatomique du squelette de la « Dame du Cavillon ». . Retrieved from https://shs.hal.science/halshs-02399914

aa.vv., Dame du Cavillon, www.museedelhomme.fr