La conservazione delle specie animali e vegetali attraverso la “catalogazione” dei loro genomi è stata oggetto nell’ultimo anno di numerosi progetti, alcuni dei quali hanno suscitato molte critiche. Tra questi, ad esempio, l’
Archangel Ancient Tree Archive in cui
David Milarch conserva genomi di specie vegetali a rischio di estinzione per poterle eventualmente recuperare.
L’editoriale intitolato “Conservation and the Microbiome” scritto da Kent H. Redford e colleghi per la rivista Conservation Biology affronta il problema della conservazione animale da un nuovo punto di vista ovvero da una prospettiva microbiomica. Secondo quanto proposto da Redford, si dovrebbe rivedere il modo in cui viene pianificata la biologia della conservazione applicando alle specie a rischio la stessa visione ecologica che oggi abbiamo dell’uomo. Così come la salute dell’uomo deriva dal suo microbioma e l’alimentazione ne influenza la composizione, allo stesso modo deve essere considerata una dimensione microbiomica per pianificare adeguatamente la reintroduzione di una specie animale.
Come Redford e colleghi scrivono nel loro articolo: “Per diversi motivi, molti tentativi di reintroduzione di specie non sono andati a buon fine. Una ragione che spesso non viene considerata è che il microbioma degli individui reintrodotti può differire da quelli presenti nel loro ambiente naturale, così che gli individui reintrodotti possono avere scarse possibilità di sopravvivere”.
Come mostrato da recenti esperimenti sui topi, cambiamenti di dieta portano a rapidi cambiamenti del loro microbioma. Alla luce di questi risultati, si devono adeguatamente pianificare le condizioni di vita in cattività prima della reintroduzione di un animale facendo attenzione anche all’alimentazione e alle variazioni della dieta. La dieta, influenzando il microbioma, può infatti influenzare le capacità metaboliche degli animali da reintrodurre.
Un altro aspetto di interesse, che però l’editoriale tocca in modo marginale, è legato alle specie invasive. Le specie invasive possono colonizzare nuovi ambienti rimanendo per molto tempo presenti in popolazioni date da pochi individui e distribuite in diverse località. A questa fase generalmente segue in una singola località una sorta di esplosione demografica da cui partirà la vera e propria invasione. Quale ruolo ha il loro microbioma? Non può essere escluso che tra le diverse popolazioni di specie esotiche che arrivano in un dato luogo, il successo di alcune possa derivare anche da un rapido adattamento/variazione del loro microbioma. Inoltre, la presenza contemporanea di specie autoctone e invasive in uno stesso areale potrebbe comportare la presenza di batteri “esotici” nell’ambiente in grado di alterare il microbioma delle specie autoctone danneggiandole ulteriormente..
Bibliografia
Redford, K., Segre, J., Salafsky, N., del Rio, C., & McAloose, D. (2012). Conservation and the microbiome Conservation Biology, 26 (2), 195-197
Biologo e genetista all’Università di Modena e Reggio Emilia, dove studia le basi molecolari dell’evoluzione biologica con particolare riferimento alla citogenetica e alla simbiosi. Insegna genetica generale, molecolare e microbica nei corsi di laurea in biologia e biotecnologie. Ha pubblicato più di centosessanta articoli su riviste nazionali internazionali e tenuto numerose conferenze nelle scuole. Nel 2020 ha pubblicato per Zanichelli il libro Nove miliardi a tavola- Droni, big data e genomica per l’agricoltura 4.0. Coordina il progetto More Books dedicato alla pubblicazione di articoli e libri relativi alla teoria dell’evoluzione tra fine Ottocento e inizio Novecento in Italia.
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