W i creazionisti!
Le recenti analisi sul fossile Australopithecus sediba hanno attivato la macchina del fango dei creazionisti con risultati tragicomici
Quasi ogni persona razionale sicuramente non vorrebbe più sentir parlare di creazionismo: del Paleolitico basta e avanza lo studio dei fossili. Eppure, paradossalmente, un mondo senza creazionisti sarebbe, forse, un po’ più noioso. Un po’ come un mondo senza oroscopi da poter leggere in spiaggia, o senza i sensitivi dalle marcate connotazioni dialettali che si vedono sulle TV locali.
Perché, anche se a volte si fatica ad ammetterlo, ogni articolo creazionista è realmente un piccolo capolavoro. Gli errori si nidificano l’uno dentro l’altro in uno splendido frattale di assurdità. Leggerne uno è un’esperienza che ha del mistico.
Qui, al Parco delle bufale, non ci siamo mai soffermati molto sull’argomento, ma gli ultimi studi su Australopithecus sediba ci permettono di colmare la lacuna. Da sempre infatti ogni fossile, qualunque esso sia, è impugnato dai creazionisti come prova che smentisce l’evoluzione. Vuoi perché falso (nelle forme di creazionismo più primitive) vuoi per una creativa interpretazione in completo contrasto con quello che effettivamente dicono i dati (nelle forme più moderne).
Parliamo allora di come la notizia è stata accolta dalla UCCR, Unione dei Cristiano Cattolici Razionali.
La scoperta delle ossa di uno scheletro di “Australopithecus sediba” ritrovato in Sudafrica ha fatto letteralmente esultare i neo-darwinisti di mezzo mondo, proprio a conferma del grande bisogno di prove per veder confermate le loro radicali teorie (con ovvi interessi filosofici).
Nell’incapacità di comprendere esattamente questo pensiero (è un nostro limite), passiamo oltre.
La questione degli “anelli mancanti” tra la scimmia e l’uomo è in realtà un grande problema per chi sostiene che anche la macro-evoluzione abbia seguito gli stessi meccanismi della micro-evoluzione, processi che non possono essere messi minimamente in dubbio (questo per non illudere troppo il movimento creazionista). Non a caso nel novembre 2010 l’Università di New York, attraverso il geologo Michael Rampino, ha dichiarato che «l’evoluzione non è più sostenuta dalla geologia» (cfr. Ultimissima 19/11/10), proprio perché il gradualismo formulato da Charles Darwin non è oggi più compatibile con la storia geologica. E questo è un altro dato di fatto.
Ovviamente siamo di fronte alla forma più recente di Creazionismo, quella che cioè a volte aborrisce il termine stesso preferendo definirsi antievoluzionismo, o con altre declinazioni ugualmente vuote. Per quanto riguarda gli anelli mancanti, la questione è già stata affrontata nel nostro articolo sul fossile: non esistono, e pertanto non sono né un piccolo né un grande problema. Accanto alla storia che ci raccontano i genomi, abbiamo molte forme di transizione che ci testimoniano i passaggi evolutivi che hanno preparato il terreno alla nostra specie, ma sappiamo che non potremo mai averle tutte (e non certo abbastanza da convincere un qualsiasi creazionista). Rampino: come questi sia diventato portavoce dell’intera comunità scientifica con una pubblicazione su una rivista di storia della biologia è un mistero degno di Voyager, in ogni caso, naturalmente, Rampino non ha detto nulla del genere, ma questo non ha impedito ai “veri” creazionisti americani di citarlo, come da prassi consolidata, a vanvera.
Il gradualismo è da sempre terreno di discussione in biologia, ma ciò che esalta in particolare l’intellighenzia creazionista è il fatto che nei decenni scorsi alcuni paleontologi sono saliti alla ribalta dipingendo le grandi modificazioni morfologiche che a volte troviamo nel record fossile come incompatibili con una visione dell’evoluzione vicina a quella a quella di Darwin, ovvero lenta, costante e graduale. I fossili ci raccontano una storia diversa, fatta di lunghi periodi di stasi e rapidissimi (su scala geologica) cambiamenti morfologici, in un’altalena di estinzioni di massa e successive radiazioni adattative.
In realtà persino Darwin era consapevole che la velocità dell’evoluzione non era una costante (anche se attribuiva le discontinuità nel record fossile principalmente alla sua intrinseca incompletezza), ma anche i sostenitori della Teoria degli equilibri punteggiati non hanno mai messo in dubbio che i grandi cambiamenti, anche quando repentini, avvengano in modo graduale, cioè di generazione in generazione. Malgrado le mistificazioni creazioniste secondo le quali non abbiamo idea di cosa sia successo tra un “salto” (nella loro visione) e l’altro, di fatto è tutto nei confini dell’odiato neo-darwinismo.
L’analisi, quindi non certo originale, di Rampino è appunto che il record fossile mal si adatti al gradualismo ipotizzato da Darwin, mentre è più vicino all’interpretazione data da Patrick Matthew, che abbozzò la selezione naturale prima dello stesso Darwin ma che, in quanto catastrofista, riteneva che i viventi venissero comunque spazzati via da grandi estinzioni alle quali seguivano nuove creazioni. Quello che potrebbe passare inosservato, e che vale la pena di sottolineare, è che la selezione naturale alla fine esce indenne da questo macello, ovvero è bastato attaccare il gradualismo per attaccare l’intero impianto della sintesi neodarwiniana, e infatti si prosegue con:
La scoperta dello scheletro di cui stanno parlando oggi i quotidiani, utilizzando pure titoloni imbarazzanti come “L’anello mancante nell’evoluzione umana” (cfr. Il Corriere della Sera 9/11/11), è paradossalmente un’ennesima prova contro la tesi gradualista, e quindi contro il perno dell’evoluzionismo darwiniano.
Su una cosa, almeno, siamo d’accordo: i titoli che si sono visti sono imbarazzanti.
Come riporta correttamente Enzo Pennetta dal suo sito web, la notizia innanzitutto è vecchia, se n’era già parlato nel 2010.
Forse si tratta di un complotto ordito dai media materialisti, ma per semplicità segnaliamo che nel 2010 era uscita la notizia del ritrovamento con le primissime analisi, mentre la copertina del 9 settembre 2011 su Science A. sediba se l’è guadagnata con cinque nuovi paper. Per quanto ad alcuni possa sembrare incomprensibile la ricerca scientifica si ostina a proseguire, il più delle volte gradualmente.
Ad esempio su “Pikaia”, il portale dell’evoluzione di Telmo Pievani, si informava della presenza di pareri discordanti. Tim White, paleoantropologo dell’University della California e tra i più esperti in materia, ha considerato questo scheletro solo un esponente tardivo di Australopithecus africanus e ne spiega la motivazione. La stessa posizione pare averla presa anche John Hawks, antropologo dell’Università del Wisconsin-Madison. Dunque l’A. sediba non sarebbe affatto un anello di congiunzione con l’uomo.
A parte il solito anello di congiunzione, il resto viene da Pikaia ed è ovviamente è corretto. Anche noi abbiamo parlato della controversia.
Ma se questi scienziati si sbagliassero, andrebbe ancora peggio per i neodarwinisti. Come riporta un equilibrato articolo apparso su “Le Scienze” i risultati di questa ricerca «pongono così in dubbio la teoria di un graduale ampliamento del cervello durante la transizione da Australopithecus a Homo». Dove sembrava di vedere la definitiva consacrazione del meccanismo neo-darwiniano, emerge invece un grande ostacolo: si allontana l’ipotesi di uno sviluppo gradualistico del cervello. E i biologi, ricorda Pennetta, sanno che il gradualismo è un punto centrale del neo-darwinismo.
Purtroppo l’algoritmo creazionista, per quanto meraviglioso nella sua inanità, ha delle falle. Il campo visivo era qui totalmente occupato dalla parola “graduale”, e i colleghi di Le Scienze ne hanno fatto le spese. Un conto è l’organizzazione del cervello, un conto sono le sue dimensioni. Nel dubbio, sarebbe bastato leggere l’abstract per avere un’idea più precisa di quanto proposto dagli autori:
These results are consistent with gradual neural reorganization of the orbitofrontal region in the transition from Australopithecus to Homo, but given the small volume of the MH1 endocast, they are not consistent with gradual brain enlargement before the transition.
Il mosaico di caratteri moderni e arcaici indicherebbe una gradualità nello sviluppo di una struttura cerebrale di tipo umano, cosa che però cozza con l’ipotesi piuttosto quotata che questo sviluppo sia andato di pari passo con un aumento graduale delle dimensioni del cranio. A ogni modo (ma c’è da specificarlo?) il significato di “graduale” qui inteso dai ricercatori è molto diverso da quello che assume nel pensiero creazionista, e non c’entra nulla coi processi alla base dell’evoluzione. La controversia è sui rapporti filogenetici e sulla significatività di alcuni dettagli anatomici. Come alcune innovazioni morfologiche debbano inserirsi nel quadro dell’evoluzione umana è un quesito che è ancora senza una risposta definitiva, e questo nuovo fossile ha riacceso il dibattito.
Sintetizzando: 1) l’Australopithecus sediba è una specie di A. Africanus, e allora niente “anello” di congiunzione con Homo. 2) l’Australopithecus sediba è un anello di congiunzione con Homo, e allora la sua scoperta comporta molte difficoltà per l’evoluzionismo neo-darwiniano a causa del suo cervello che non mostra un’evoluzione graduale.
Come sempre si deve porre l’accento sul fatto che esistono diversi tipi di evoluzionismo, in particolare due: quello “ortodosso” e quell’altro là, qualunque esso sia. Ma è nelle pennellate finali che si rivela il genio: una specie che è una specie di un’altra specie, misteriosamente sottratta alle regole di Linneo.
W i Creazionisti.
Stefano Dalla Casa
Da OggiScienza
Giornalista e comunicatore scientifico, mi sono formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrivo o ho scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Curo la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collaboro dalla fondazione con Pikaia, dal 2021 ne sono caporedattore.