Why science needs philosophy

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Un recente studio ha evidenziato la centralità di un approccio filosofico alla ricerca scientifica


Nel marzo 2019, su PNAS, è stato pubblicato un articolo dal titolo ‘Perché la scienza ha bisogno della filosofia’. A firma di scienziati e filosofi, fra cui il fisico Carlo Rovelli e il filosofo della biologia Elliott Sober, l’articolo evidenzia come sia auspicabile una interazione fra due discipline che per molto tempo sono rimaste traloro indipendenti. Se, infatti, per secoli è stata tradizione che coloro che si occupavano di scienza avessero a che fare anche con questioni filosofiche, a causa della crescente specializzazione in ambito scientifico negli ultimi duecento anni si è assistito ad  un progressivo allontanarsi della scienza dalla filosofia, e viceversa, una separazione che spesso è stata foriera di incomprensioni fra i due ambiti.

È per questo che negli ultimi anni si è ravvisata la necessità di rendere espliciti i punti di contatto tra scienza e filosofia.  Discipline di lunga tradizione come la filosofia della fisica sono state aggiornate alla luce delle più recenti scoperte scientifiche, e ne sono state  fondate di nuove , come la filosofia della biologia nella seconda metà del secolo scorso. A proposito di quest’ultima, gli autori dello studio notano come ‘l’esemplificazione concettuale’, apportata dalla filosofia, ‘non solo migliora la precisione e l’utilità dei termini scientifici ma conduce anche a nuovi esperimenti, poiché la scelta di un determinato sistema concettuale condiziona fortemente il modo in cui gli esperimenti vengono ideati (p.3949)’.

Ad esempio, la staminalità o potenziale staminale (stemness, la proprietà assegnata alle cellule staminali), può assumere differenti proprietà a seconda del contesto in cui si analizzano le cellule staminali stesse. Per dirla con gli autori dell’articolo: ‘A seconda del tipo di tessuto, al potenziale staminale può essere attribuita una proprietà categorica (una proprietà intrinseca della cellula staminale, indipendente dal suo ambiente), una proprietà disposizionale (una proprietà intrinseca della cellula staminale, dipendente dal microambiente), una proprietà relazionale (una proprietà estrinseca che può essere conferita a cellule non staminali dal microambiente, o una proprieta sistemica (una proprietà che è mantenuta e controllata al livello della popolazione di cellule), p. 3549’. Da tutto ciò ne consegue che, ad esempio, dall’analisi delle proprietà del potenziale staminale, i ricercatori potrebbero essere in grado di sviluppare farmaci efficaci nel contrastare lo sviluppo di tumori.

La filosofia ha fornito utili applicazioni anche nel campo dell’immunologia, specialmente nella definizione di individuo biologico. Invece di essere pensato come un tutt’uno omogeneo, l’individuo è ora studiato come ‘un complesso ecosistema (pp.3949)’ le cui funzioni sono fortemente influenzate dall’interazione con i microorganismi che lo abitano. Una tale prospettiva può aiutare a definire più accuratamente eventuali malfunzionamenti al livello dell’organismo, e le modalità con cui  esso risponde agli stimoli esterni.

Per quanto riguarda le neuroscienze, la filosofia della scienza può fornire gli strumenti concettuali adeguati per definire concetti come quello di coscienza, intelletto, e mente. Quello delle scienze cognitive si rivela essere un terreno fertile dove applicare le più recenti nozioni filosofiche. Basti pensare alla teoria della modularità di Jerry Fodor (p.3950; di alcune delle criticità della teoria Pikaia ne ha parlato qui), attraverso cui è stato possibile ottenere un quadro comprensivo seppur incompleto del funzionamento della mente umana. Secondo tale teoria, il nostro cervello è strutturato e diviso in aree modulari, alcune delle quali più specifiche ed altre più generali. Gli enigmi ancora presenti nello studio della coscienza, possono così essere analizzati alla luce di teorie che permettono di formulare e testare previsioni sui meccanismi cognitivi.

Alla luce di questi ed altri esempi, l’ultima parte dell’articolo è dedicata ad una discussione su come sia possibile integrare scienza e filosofia. Se molti filosofi si sono dedicati allo studio della storia della scienza, raramente scienziati di professione hanno approfondito gli aspetti filosofici della propria disciplina. Gli autori si soffermano dunque sull’importanza di fornire agli studenti una formazione sia scientifica che filosofica, al fine di spronarli a formulare concezioni più elaborate sulla realtà sotto indagine. Questo può avvenire attraverso la creazione di corsi universitari dove si insegnano entrambe le discipline, o la supervisione dei dottorandi sia da parte di scienziati che di filosofi, per citare alcuni suggerimenti. Insomma, ogni modalità per far interagire le due discipline è di fondamentale importanza per sviluppare al meglio nuove idee sia sul lato teorico che su quello empirico.

David Hull, Elliott Sober, Ernst Mayr, Michael Ruse sono solo alcuni degli studiosi che hanno focalizzato le proprie ricerche su un’analisi filosofica dei metodi filogenetici, del concetto di cooperazione, di gene, di livelli di selezione, di organismo e molto altro ancora. Sarebbe riduttivo parlarne in questa sede, ma questi brevi riferimenti fanno comprendere quanto possa essere vasto il campo di applicazione della filosofia alle scienze, si tratti di fisica, biologia, neuroscienze o matematica (si vedano a tal proposito le ricerche di Imre Lakatos sulla crescita della conoscenza). Parafrasando il genetista Theodosius Dobzhanksy, si potrebbe concludere che ‘nulla ha senso nella scienza se non alla luce della filosofia’.


Riferimenti:
Laplane, L., Mantovani, P., Adolphs, R., Chang, H., Mantovani, A., McFall-Ngai, M., Rovelli, C., Sober, E., Pradeu, T., Why science needs philosophy, PNAS, vol. 116, n. 10, pp. 3948-3952