Wood wide web: la simbiosi con i funghi permette davvero alle piante di comunicare tra loro?

wood wide web funghi

Secondo una recente analisi della letteratura scientifica esperti e media hanno equivocato la diffusione e il ruolo delle reti micorriziche frutto della simbiosi tra piante e funghi

Avete mai sentito dire che gli alberi possono parlare e comunicare tra loro grazie ai funghi? Dalla fine degli anni novanta si è diffusa l’idea, tra scienziati ma anche tra non esperti, che sottoterra le piante siano connesse. Una fitta rete di ife fungine che vivono in simbiosi con le radici permettono agli alberi di trasmettersi segnali chimici per comunicare, proteggersi e nutrire la prole. Questa idea si è diffusa anche nella cultura popolare ed è stata citata in libri, serie TV e popolari TED talks. È nato persino un termine per descrivere questo fenomeno: il Wood Wide Web.
C’è solo un piccolo problema: le prove scientifiche alla base di questo fenomeno non sono molto solide.

Non fraintendiamoci: la simbiosi tra le radici e i funghi esiste e si chiama micorriza. Quando un fungo colonizza due piante, si può formare una rete micorrizica attraverso cui si trasferiscono sostanze come carbonio, azoto e fosforo. 
Da quando è stata scoperta l’esistenza di questo network gli scienziati hanno cominciato a studiarlo e a descriverne le caratteristiche e le sue funzioni.
Secondo i ricercatori delle Università dell’ Alberta, British Columbia e del Mississippi però ci sono state almeno un paio di storture. 
La prima è che all’interno della letteratura scientifica esiste un pregiudizio positivo nei confronti del ruolo che ha questa rete in natura. La seconda è che i media hanno trasferito queste informazioni creando slogan distaccati dall’evidenza scientifica.
Per dimostrare questa ipotesi i ricercatori hanno esaminato gli studi scientifici pubblicati sul tema negli ultimi 25 anni. Il loro obbiettivo è stato quello di valutare le prove a supporto di tre idee molto diffuse sulle micorrize:

1) Le reti micorriziche sono diffuse nelle foreste
2) Le risorse vengono trasferite tramite la rete e questo aumenta lo sviluppo delle nuove piante
3) Gli alberi inviano segnali di difesa e risorse alla prole preferibilmente attraverso la rete

Cosa dicono gli studi
Sul primo punto esiste un problema metodologico. Per poter osservare il network sul campo bisognerebbe scavare. In questo modo però si finirebbe per distruggere inevitabilmente la connessione tra radici e funghi. Per superare questo ostacolo solitamente si eseguono analisi del DNA dei funghi e delle piante. Mappare i geni di questi organismi permette di ricostruire in maniera solida quanto a lungo si diffonde una ifa e se la distanza che copre è tale da unire le radici di due alberi. Nella letteratura però sono presenti analisi su tre specie di alberi sulle 73300 che si stima esistano in tutto il mondo. Troppo poco per dire che questi network siano diffusi e comuni nelle foreste.

Leccinum aurantiacum

Leccinum rufus, uno dei funghi che crea micorrize. Immagine: di © Hans Hillewaert, CC BY-SA 4.0

Per quanto riguarda la seconda affermazione questa implica che le reti fungine sono una specie di estensione fisica delle radici. Una sorta di canale che passivamente trasporta ciò che le radici si scambiano. Questa interpretazione non tiene conto del fatto che i funghi non hanno sempre questo comportamento. A volte infatti, soprattutto nelle foreste boreali, limitano l’azoto a disposizione delle piante con cui sono in simbiosi. Inoltre analizzando gli studi sul tema i ricercatori hanno concluso che ogni volta che si è osservata una trasmissione di sostanze verso le nuove piante questa può essere spiegata anche con meccanismi differenti dalla rete micorrizica. Ad esempio le sostanze potrebbero migrare attraverso il suolo; altre volte è la composizione dei batteri e funghi che potrebbe essersi modificata andando a impattare positivamente sulla crescita delle piantine. 
Insomma, non c’è una dimostrazione chiara e univoca che la rete micorrizica migliori lo sviluppo delle piante giovani.

Sul terzo punto punto invece i ricercatori non sono riusciti a trovare nessuno studio sottoposto a peer-review a supporto. 

Il bias positivo nella letteratura scientifica
Ma come hanno fatto queste informazioni a diffondersi anche tra gli esperti?
Per capirlo i ricercatori hanno analizzato 18 studi ritenuti influenti sul tema in quanto contano almeno cinquanta citazioni ciascuno. 
Hanno diviso le citazioni tra quelle che citano dati supportati da evidenze scientifiche e quelle che citano dati non così certi o in cui esistono soluzioni alternative al ruolo della rete micorrizica. 
Il risultato è che nel tempo le citazioni di dati non così solidi aumentano. Gli scienziati hanno sovrastimato il ruolo dei funghi o hanno mal interpretato i risultati dei paper originali.
Per esempio in alcuni casi lo studio dimostrava semplicemente che ci sono le condizioni perché si formi una rete micorrizica eppure nelle citazioni lo studio diventa la prova della diffusione delle reti nelle foreste. 
Altre volte negli studi si spiega che le ife sono solo una delle possibili spiegazioni della trasmissione di molecole tra piante ma nelle citazioni questa diventa l’unica spiegazione possibile. 

Nell’individuare questo problema i ricercatori hanno anche stilato una lista di consigli su come si debbano eseguire gli esperimenti che analizzano la struttura e la funzione delle reti micorriziche. La speranza è che in questo modo si eviterà di trasmettere sia nella comunità scientifica che ai media delle informazioni lontane dall’evidenza scientifica.

Riferimenti:
Karst, J., Jones, M.D. & Hoeksema, J.D. Positive citation bias and overinterpreted results lead to misinformation on common mycorrhizal networks in forests. Nat Ecol Evol (2023). https://doi.org/10.1038/s41559-023-01986-1

Immagine: di Eugene Deshko su Unsplash