Zampa d’orso? No, piede umano: le “altre” orme di Laetoli
Delle orme fossili scoperte a Laetoli, Tanzania, nel 1976, sono state finalmente identificate. Non le ha lasciate un orso, ma una specie di ominino che condivideva l’antica savana con Australopithecus afarensis
Laetoli, in Tanzania, è una località straordinaria per i ritrovamenti legati agli antichi ominini, in particolare le orme fossili. È dal Sito G di questa località che, nel 1978, Mary Leakey, insieme alla sua squadra, ritrovò una serie di impronte datate a 3,66 milioni di anni fa e largamente accettata come la più antica e inequivocabile prova di bipedalismo obbligato sulla linea evolutiva umana. Tra le varie serie di impronte ritrovate in quella località, una rinvenuta nel 1976 dal cosiddetto Sito A venne invece rapidamente scartata in quanto probabilmente lasciata da un orso. Studi recenti hanno invece provato che le orme fossili sono state lasciate da antichi esseri umani, con alcune caratteristiche interessanti. I risultati sono stati pubblicati su Nature, e possono essere consultati in questo articolo.
Le orme del Sito A, per questa ricerca, sono state ritrovate e ripulite del loro riempimento come non era stato fatto nel 1976, cosa che ha permesso di produrre un archivio digitale usando fotogrammetria 3d e laser scanner. Le orme sono state quindi confrontate con quelle di esseri umani, orsi neri (Ursus americanus) e Scimpanzé (Pan troglodites) per determinare una volta per tutte se fossero state lasciate da ursidi od ominini.
Inoltre, le orme di Laetoli hanno un tallone relativamente largo rispetto al resto del piede, un tratto che le differenzia sia da quelle di scimpanzé che di orso. Un tratto in comune a entrambe le specie è infatti il tallone relativamente stretto. Oltretutto, le impronte del Sito A possiedono un alluce di grosse dimensioni e un secondo dito più piccolo, un tratto comune sia agli umani che agli scimpanzé, ma non agli orsi.
Sia ursidi che scimpanzé sarebbero incapaci di camminare con un’andatura simile a quella presentata dalle orme del Sito A, la forma del loro bacino e dei loro arti lo rende impossibile. Questo è vero anche per il passo incrociato, una delle caratteristiche più curiose della breve pista fossile. Non è mai stato riscontrato all’interno del campione di confronto, ma gli umani lo fanno a volte, solitamente come compensazione per ristabilire l’equilibrio su di una superficie instabile.
Tutte queste analisi hanno portato alla determinazione che le impronte del Sito A di Laetoli siano di origine umana. Il loro autore dev’essere stato un ominino alto tra 101 e 104 centimetri. La morfologia e l’andatura, però, sono decisamente diverso rispetto a quella di Australopithecus afarensis; il piede dell’ominino del Sito A aveva un piede dalla forma diversa e più primitiva.
Questo vuol dire che, a Laetoli, erano presenti più specie di ominini in grado di camminare bipedi, anche se con andature e piedi diversi. Una scoperta avvenuta quasi 50 anni fa, che ha atteso fino ad ora per essere compresa appieno.
Riferimenti: E.J. McNutt et al. Footprint evidence of early hominin locomotor diversity at Laetoli, Tanzania. Nature, published online December 1, 2021; doi: 10.1038/s41586-021-04187-7
Immagini: dalla pubblicazione
Impronte dimenticate
Le impronte fossili scoperte nel 1976 nel Sito A, una pista di cinque orme, vennero subito attribuite a un mammifero bipede plantigrado (cioè che camminava su tutta la pianta del piede, diversamente dagli animali digitigradi che invece camminano “in punta di piedi”). Furono però notate anche per la forma particolare, al punto da essere definite “enigmatiche”, e per l’andatura a passo incrociato, cioè con il piede che passava oltre alla linea mediana del corpo prima di toccare terra. Vennero avanzate tre ipotesi: distorsione del substrato, che si trattasse di un giovane orso o che fosse una nuova specie di ominino. Orme di confronto, appartenenti a un orso nero proveniente da un circo, vennero definite somiglianti anche se con delle differenze. Il problema dell’attribuzione delle orme del Sito A venne lasciato pendente, e con la scoperta del Sito G nel 1978, e le sue impronte attribuite ad Australopithecus afarensis (la stessa specie della famosa Lucy), la pista fossile del Sito A fu pressoché dimenticata.Le orme del Sito A, per questa ricerca, sono state ritrovate e ripulite del loro riempimento come non era stato fatto nel 1976, cosa che ha permesso di produrre un archivio digitale usando fotogrammetria 3d e laser scanner. Le orme sono state quindi confrontate con quelle di esseri umani, orsi neri (Ursus americanus) e Scimpanzé (Pan troglodites) per determinare una volta per tutte se fossero state lasciate da ursidi od ominini.
L’ipotesi dell’orso non regge ai nuovi dati
A questo scopo sono state registrate quasi 51 ore di comportamento di un orso nero. La postura e locomozione bipede non supportata sono ammontate allo 0,09% del tempo totale; di questo tempo, il 59% è stato statico e solo nel 41% c’è stata un’autentica camminata. Considerando questi dati come generalizzabili a tutti gli ursidi, la probabilità di osservare quattro passi consecutivi è dello 0,003%. Inoltre, dei 25.000 fossili rinvenuti a Laetoli, attribuiti a 85 specie diverse di mammiferi, neanche uno è stato determinato come orso; quindi gli ursidi, se presenti, dovevano essere molto rari.Inoltre, le orme di Laetoli hanno un tallone relativamente largo rispetto al resto del piede, un tratto che le differenzia sia da quelle di scimpanzé che di orso. Un tratto in comune a entrambe le specie è infatti il tallone relativamente stretto. Oltretutto, le impronte del Sito A possiedono un alluce di grosse dimensioni e un secondo dito più piccolo, un tratto comune sia agli umani che agli scimpanzé, ma non agli orsi.
Sia ursidi che scimpanzé sarebbero incapaci di camminare con un’andatura simile a quella presentata dalle orme del Sito A, la forma del loro bacino e dei loro arti lo rende impossibile. Questo è vero anche per il passo incrociato, una delle caratteristiche più curiose della breve pista fossile. Non è mai stato riscontrato all’interno del campione di confronto, ma gli umani lo fanno a volte, solitamente come compensazione per ristabilire l’equilibrio su di una superficie instabile.
Tutte queste analisi hanno portato alla determinazione che le impronte del Sito A di Laetoli siano di origine umana. Il loro autore dev’essere stato un ominino alto tra 101 e 104 centimetri. La morfologia e l’andatura, però, sono decisamente diverso rispetto a quella di Australopithecus afarensis; il piede dell’ominino del Sito A aveva un piede dalla forma diversa e più primitiva.
Questo vuol dire che, a Laetoli, erano presenti più specie di ominini in grado di camminare bipedi, anche se con andature e piedi diversi. Una scoperta avvenuta quasi 50 anni fa, che ha atteso fino ad ora per essere compresa appieno.
Riferimenti: E.J. McNutt et al. Footprint evidence of early hominin locomotor diversity at Laetoli, Tanzania. Nature, published online December 1, 2021; doi: 10.1038/s41586-021-04187-7
Immagini: dalla pubblicazione
Dopo la laurea magistrale in Quaternario, Preistoria e Archeologia, conseguita presso l’Università di Ferrara, si iscrive al master in Giornalismo e Comunicazione istituzionale della Scienza, grazie al quale inizia a collaborare con Pikaia. Con l’intenzione di continuare la divulgazione della scienza, in particolare della paleontologia, ha partecipato alla fondazione dell’associazione La Lampada delle Scienze.