L’uomo che scoprì l’anello mancante
La storia dell’uomo che ‘inventò’ il concetto (ora ritenuto sbagliato) di anello mancante
A dispetto del fatto che mille volte è stato spiegato da esperti studiosi (ad esempio qui o Giorgio Manzi qui) che l’idea stessa di “anello mancante” è priva di senso, vediamo usare correntemente quell’espressione, soprattutto sui quotidiani. La storia dice che il primo ad usarla fu William Hopkins, matematico e geologo, che fu anche presidente della Geological Society, in una recensione critica dell’Origine delle specie. Scrive Hopkins (1860) “…dovremmo trovare, fra le forme organiche esistenti, o in quelle che sono esistite in periodi storici, indicazioni di queste graduali transizioni fra una forma e la successiva. […] Ma allora, dove sono gli anelli mancanti nella catena degli esseri intellettuali e morali? Che ne è stato degli aspiranti alla dignità umana il cui sviluppo si arrestò infelicemente a punti intermedi fra uomini e scimmie?”. L’anello mancante non era affatto, naturalmente, un’espressione di Darwin, quanto piuttosto un’estrapolazione dei lettori di Darwin a partire dalla sua idea del gradualismo dominante. Ma tant’è: sappiamo che ciò che è stato tramandato dell’evoluzionismo darwiniano è, in molti punti, una caricatura delle sue idee.
L’origine dell’idea di anello mancante va probabilmente fatta risalire all’idea di un’evoluzione lineare e progressiva, che affonda le sue radici nel concetto, vecchio come il mondo, di scala della natura. Tuttavia noi sappiamo bene, naturalmente, che l’evoluzione somiglia più a un cespuglio che a una scala. Poiché noi di quel cespuglio possediamo solo, a causa dell’imperfezione dei resti fossili, alcuni nodi e alcuni rametti, basta mettere in fila il poco che possediamo, et voilà, abbiamo una scala. Ma poiché spesso i gradini della scala sono distanti, ecco nascere l’idea del gradino (=anello) mancante. Non è facile liberare la nostra visione dell’evoluzione dall’idea della progressiva complessificazione, e quindi della scala. Questo è un esempio tratto da una lezione di Canestrini, professore a Padova e traduttore di Darwin (1866) “Se poi collochiamo in fila i cranii di un macaco, di una scimmia antropomorfa, del Neanderthal, di Engis, di un etiope e di un caucasico, non possiamo non vedere come il cranio bestiale della scimmia meno perfetta si congiunga mediante graduati passaggi con il cranio eminentemente umano [!] della razza caucasica”. Gli alberi filogenetici presentati da Haeckel – quegli alberi “reali” che collegano le specie viventi che mai Darwin produsse – che sono gli antenati degli alberi che decorano molti dei libri sui quali abbiamo studiato, avevano una forte componente direzionale. E quando Haeckel disegna alberi filogenetici dell’uomo, non si dimentica mai di inserire un ipotetico “anello mancante” fra uomo e scimmie, e lo battezza “Pitecanthropus”, ossia uomo-scimmia.
A questo punto entra in scena un personaggio rilevante: Eugène Dubois. Nasce in una buona famiglia cattolica del Sud dell’Olanda (il padre era un ricco farmacista e fu sindaco del paese) il 28 gennaio 1858, 18 mesi dopo la scoperta del primo fossile di Neanderthal e 21 mesi prima della pubblicazione dell’Origine. Studente brillante e appassionato di scienze, sembra, ci insegna la sua biografa (Shipman, 2002) che a dieci anni fosse già acceso fautore dell’evoluzione. Alle superiori legge Darwin, Huxley, ma soprattutto Haeckel e la sua Storia Naturale dalla Creazione. Lì scopre le predizioni sull’esistenza del pitecantropo e sulle sue caratteristiche (Haeckel, 1868, p.416 trad.it.): “Sebbene i progenitori umani dello stadio precedente siano già cosi affini ai veri uomini che quasi non vi ha bisogno di ammettere ancora un grado intermedio che colleghi questi con quelli, noi possiamo tuttavia considerare ancora come tale quello degli uomini primitivi senza favella (alali). Questi pitecantropi od uomini-scimmie vivevano verosimilmente già verso la fine dell’età terziaria. Essi nacquero dagli antropoidi o scimmie-uomini pel completo abituarsi all’incesso eretto e pel corrispondente maggior differenziamento delle due paia di estremità. La «mano anteriore» degli antropoidi divenne in essi «la mano dell’uomo», la «mano posteriore» invece divenne piede ambulatore. Sebbene questi pitecantropi non solo per la forma esterna del loro corpo, ma anche pel loro interno sviluppo intellettuale debbano già essere stati molto più vicini all’uomo propriamente detto che non gli antropoidi, mancava ad essi tuttavia il vero carattere principale dell’uomo, la lingua umana articolata, formata di parole e l’annesso sviluppo superiore della coscienza e del pensiero.” Per Haeckel, dunque, ciò che distingue l’uomo dalle scimmie sono due principali caratteristiche: la stazione eretta e la parola, così quando Dubois riesce a convincere il padre che non farà il farmacista, ma il medico ricercatore, si tuffa nello studio prima e nella ricerca, pubblicando uno studio dettagliatissimo sulla laringe sull’Anatomischer Anzeiger.
Ma in mente ha sempre il pitecantropo, l’uomo scimmia, anello di congiunzione. E’ una specie di ossessione, che guiderà tutta la sua vita. A quei tempi non si conoscevano resti fossili umani, con l’eccezione dell’uomo di Neanderthal, che fu fin da subito respinto da molti con interpretazioni fantasiose (un caso di rachitismo, un soldato cosacco dell’esercito russo che ha inseguito Napoleone…), e Dubois si dà il compito di trovarli.
Dove cercare? Tutti erano d’accordo sui tropici (in fondo è lì che abitano le scimmie antropomorfe), e Darwin ragionevolmente elabora nell’ Origine dell’uomo (1871, p. 131 trad. it.) ”È quindi probabile che l’Africa fosse abitata primieramente da scimmie estinte strettamente affini al gorilla ed allo scimpanzè; e siccome queste due specie sono ora i più prossimi affini dell’uomo, è in certo modo più probabile che i nostri primi progenitori vivessero nel continente africano che non altrove.” Altri autori – incluso anche Wallace, il co-scopritore della selezione naturale con Darwin – puntano il dito sull’Asia. Fra questi anche Haeckel (1868, p. 436 trad. it.): “In questo caso, fra le diverse parti del mondo in cui si potrebbe cercare il «paradiso», il luogo d’origine del genere umano, rimane come di gran lunga la più probabile l’Asia meridionale e precisamente la sua parte occidentale, l’Indostan. Emergenze storiche e scoperte preistoriche, relazioni antropologiche e mescolamenti etnografici, scoperte paleontologiche e comparazioni pitecologiche rendono in alto grado verosimile che l’Indostan ed i territori adiacenti […]. Ancora oggidi vivono nelle montagne dell’Indostan diverse stirpi selvagge che stanno all’infimo gradino fra le viventi razze umane […] Forse queste sono le più affini all’ «uomo primitivo» da gran tempo estinto.”
Il nostro Dubois – che nel frattempo si è laureato (1888), lavora all’Università in anatomia, e ha messo su famiglia – non può certo ambire, lui olandese, all’Indostan, terra sotto il dominio inglese, ma naturalmente c’è l’Indonesia, colonia olandese dove potrebbe essere facilmente mandato come medico dell’esercito. Dubois è un uomo meticoloso, e dunque nelle sue note abbiamo la registrazione rigorosa dei suoi passi logici (in Shipman, 2002). Non è convinto che scimpanzé e gorilla siano gli antenati giusti (troppo specializzati). Come Haeckel ci insegna, i gibboni sono meno specializzati, più generalisti, presentano meno dimorfismo sessuale, vivono in coppie, quando sono in terra camminano. Sono stati trovati molti fossili a Giava, e la logica dice che anche a Sumatra, ricca di grotte calcaree… E così Dubois, dopo aver inutilmente cercato un finanziamento per le ricerche, si arruola come medico nell’esercito olandese nel 1887, e si fa spedire a Sumatra con la moglie e una figlioletta di sette mesi. E naturalmente nel tempo libero dagli incarichi ospedalieri si mette a frugare come un forsennato nelle grotte di Sumatra, aiutato da tecnici e da una cinquantina di lavoratori forzati (!) fornitigli dal governatore olandese. Dubois trova subito moltissimi fossili: rinoceronti, tigri, porcospini … e infine scimmie – oranghi e gibboni (molto rari come fossili!). E’ convinto di aver trovato il posto giusto. Dove ci sono le scimmie ci saranno gli uomini-scimmia! E dopo qualche tempo il governatore, colpito da tali ritrovamenti, gli concede un piccolo finanziamento regolare: finalmente è pagato per cercare l’anello mancante! Ma poi tutto vira verso il peggio: le grotte non producono più fossili, si ammala di malaria, i lavoratori sono pigri…
In dicembre 1888, Dubois riceve per posta, da un ingegnere minerario che lavorava a Giava, un cranio umano fossile. Dopo aver superato la rabbia che un ritrovamento simile fosse stato fatto da un ingegnere, mentre lui, arrivato lì apposta, non trovava fossili umani, Dubois esamina a fondo il cranio, e conclude che non è l’anello mancante: cranio troppo grande e faccia troppo piccola. “Sembra un cranio di Papua, sono quasi certo che rappresenti una popolazione primordiale di Giava” – risponde all’ingegnere. Ma tanto basta per accendere la fantasia di Dubois, che nel 1890 si trasferisce a Giava con tutta la famiglia, andando ad abitare nella zona dove era stato trovato il cranio che aveva esaminato. Lì, Dubois si dota di un piccolo esercito di “operai” che spedisce in giro nelle varie grotte, accompagnati da “ingegneri”, incaricati di riportargli tutti i fossili; le squadre ne trovano subito moltissimi, antiolopi, rinoceronti, maiali, due scimmie, un porcospino, e infine un altro “cranio primitivo”, sicuramente umano. I resti sono un po’ più antichi di quelli di Sumatra.
Dubois si sente sempre più vicino alla meta, ma le grotte a Giava non sono frequenti. Per caso si imbatte in alcuni fossili che escono dai sedimenti dei fiumi nella stagione secca, così decide di spostare lì i sui sforzi. Spinto da uno strano presentimento, nel 1891, indirizza gli scavatori ad una penisoletta sul fiume Solo, nei pressi del villaggio di Trinil, e se ne torna a casa in attesa che gli inviino il materiale. E in settembre gli mandano un molare che lui identifica come quello di una scimmia fossile, Anthropithecus sivalensis. Finalmente, in ottobre 1891, arriva il primo cranio, che Dubois associa alla stessa scimmia. La stagione delle piogge è alle porte, e così il nostro ha tempo tutto l’inverno per approfondire le osservazioni e ripulire il cranio.
Quando la ricerca riprende l’anno successivo, gli scavatori trovano a poche decine di metri da dove era stato trovato il cranio un intero femore. E la notizia è che è un femore di un animale che camminava con stazione eretta! Dubois scrive ai suoi finanziatori a fine ‘92: “Anthropopithecus di Giava, che ha un cranio più umano di quello di tutte le scimmie antropomorfe conosciute, aveva già una postura decisamente eretta, una caratteristica che è stata sempre considerata peculiare dell’uomo. Dunque, questa antica scimmia pleistocenica della nostra isola è la prima forma di transizione conosciuta che collega l’uomo con i suoi parenti animali più prossimi”.
Al momento di battezzare il suo fossile con un nome specifico nuovo, come si merita, pensa ad Anthropopithecus erectus, ma poi ha un ripensamento, come se si domandasse se per caso la meta di tutta la sua vita di ricercatore non fosse raggiunta, e il fossile diventa Pithecanthropus erectus. Il cerchio di è chiuso, ma per Dubois inizia una battaglia che durerà per molti anni. All’inizio, quasi nessuno accettò la sua interpretazione, un destino condiviso con altri fossili umani, ma poi nel 1927 inizia la scoperta di fossili a Zhoukudian, presso Pechino, che vengono riconosciuti simili a quelli di Giava, e von Koenigsvald nel ’29 trova a Giava altri fossili simili a quelli di Dubois. Ma naturalmente, come succede da sempre nell’antropologia, ognuno dà un nome diverso ai fossili che trova, e si dovette aspettare il 1950 quando Ernst Mayr in un convegno a Cold Spring Harbor suggerisce che tutte queste forme siano raggruppate sotto la denominazione di Homo erectus.
La storia del pitecantropo e di Dubois ci dovrebbe far riflettere. E’ tutta costellata di “errori”: Dubois parte dall’idea che debbano esistere forme di transizione che stanno a metà strada fra una specie e l’altra, che prende da Haeckel, e che noi sappiamo essere scorretta; va nel posto “sbagliato”, cioè in Asia e non in Africa, a cercare l’ “anello mancante”. E trova il primo fossile significativo della storia passata umana. Quanto spesso nella storia della scienza presupposti sbagliati e procedure sbagliate hanno portato a risultati giusti?
Canestrini, G. L’antichità dell’uomo. Lezione popolare detta in Modena il 22 marzo 1866. Modena, Vicenzi, 1866.
Darwin, C. L’origine dell’uomo e la selezione sessuale. Grandi tascabili Economici newton, 2002.
Haeckel, E. Storia Naturale della creazione. UTET, 1892.
Hopkins, W. 1860. Physical Theories of the Phenomena of Life. Fraser’s Magazine 61 (June): 739-752; 62 (July): 74-90.
Shipman, P. The Man Who Found the Missing Link:
Eugène Dubois and His Lifelong Quest to Prove Darwin Right. Simon & Schuster, 2002.
È stato Professore Ordinario di Evoluzione Biologica presso l’Università degli Studi di Milano. Ha svolto ricerche nel campo della riproduzione e filogenesi in diversi gruppi di invertebrati. È stato presidente della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica e si è occupato attivamente della divulgazione di temi evoluzionisti e di traduzioni di testi di autori importanti. Ha curato il testo “Evoluzione, modelli e processi” per Pearson Italia. Ha diretto per 20 anni la Biblioteca Biologica dell’Università