A pochi giorni dalla schiusa zebrafish sa “contare”

zebrafish

Un esperimento italiano dimostra che anche le larve di zebrafish sanno discriminare le numerosità, suggerendo un’origine comune delle abilità numeriche nei vertebrati

Pulcini, rane, cani, tartarughe, pesci rossi: in tutte le classi dei vertebrati troviamo animali che hanno abilità numeriche. Sono probabilmente capacità geneticamente programmate, selezionate nel corso dell’evoluzione: possibile che allora dipendano da antichi circuiti cerebrali che si sono conservati nel cervello di ogni vertebrato? Un nuovo studio su Communications Biology firmato da ricercatori delle Università di Ferrata e Padova (Tyrone Lucon-Xiccato, Elia Gatto, Camilla Maria Fontana e Angelo Bisazza) aggiunge peso a questa ipotesi: persino un pesce allo stadio larvale, cioè non completamente sviluppato, sa discriminare le quantità.

Acquari “zebrati” per pesci che contano

I ricercatori hanno usato il famoso zebrafish (Danio rerio), un organismo modello. In questa specie l’uovo, una volta fertilizzato, in pochi giorni diventa una larva mobile. A questo stadio non è ancora un avannotto, cioè un piccolo pesciolino indipendente, ma ci vede bene e sa nuotare. Se davvero le abilità numeriche sono radicate profondamente nel cervello dei vertebrati, allora dovrebbero manifestarsi a livello comportamentale anche in questa fase. 

A sinistra, la vasca usata per indurre l’attrazione verso le barre, a destra il primo test su un individuo per verificare la preferenza. Immagine: dalla pubblicazione

I ricercatori hanno allevato 180 larve appena schiuse (3 giorni dalla fertilizzazione) in vasche di plexiglas con le pareti rese completamente bianche da fogli di carta applicati all’esterno. Altre 180 larve sono invece state allevate in vasche “zebrate”, con tante righe verticali alle pareti (stampate sulla carta). Dopo 4 giorni, hanno selezionato 30 larve di ogni gruppo e ognuna è stata trasferita in una vasca individuale con 3 barre verticali su una sola parete.
Le larve di zebrafish allevate negli acquari “zebrati” erano naturalmente attratte da questo stimolo, passando molto più tempo dal lato delle barre rispetto agli altri settori. Questo, invece, non succedeva con le larve allevate nelle vasche bianche. 

Questa preferenza acquisita è stata sfruttata dai ricercatori per testare le loro capacità numeriche. Hanno quindi cominciato a trasferire gli individui rimanenti in vasche in dove c’erano due gruppi di barre di numerosità diversa (1 vs 4, 1 vs 3, 1 vs 2, 2 vs 4 barre) ai lati opposti: come si sarebbero comportate questa volta le larve?

Esaminando le registrazioni video si è scoperto che gli individui che avevano ricevuto l’ “imprinting” delle barre alla schiusa preferivano poi spostarsi dal lato dell’acquario col maggior numero di barre. Anche quando i ricercatori hanno cominciato a cambiare le dimensioni delle barre, facendo in modo che l’area nera complessiva fosse la stessa nei due settori, le larve sceglievano comunque il gruppo con più barre, non con più nero

I ricercatori hanno ripetuto il test controllando l’area complessiva coperta dalle barre. Immagine: dalla pubblicazione

Un’origine profonda per le capacità numeriche?

Naturalmente sapevamo già che anche i pesci, zebrafish incluso, sapevano contare. E altri esperimenti avevano notato che queste abilità si manifestano molto presto nello sviluppo. Su questo punto però, osservano gli autori, gli esperimenti condotti finora si sono concentrati su specie precoci, come le galline e i guppy (un pesce, Poecilia reticulata). Alla nascita gli individui di queste specie sono già ben formati, e non così diversi da un adulto. Questo esperimento invece dimostra che persino il cervello poco sviluppato di una larva ha già quello che gli serve per contare, anche se probabilmente non gli serve a molto in quella fase.

A questo proposito il professor Angelo Bisazza, nel cui laboratorio a Padova è stato condotto lo studio, spiega a Pikaia che le barre verticali sono state scelte come stimolo perché simili alla vegetazione acquatica. Zebrafish vive in una quantità di ambienti diversi (con e senza vegetazione), e molto probabilmente la prima parte dell’esperimento (quello con le 3 barre) dimostra che le larve tendono a preferire un ambiente simile a quello in cui sono state allevate. Questa preferenza è sicuramente adattiva e la troviamo in molte altre specie, spiega il professore, ma non lo è la capacità di discriminare la numerosità dimostrata dall’esperimento successivo. 

Un parallelo eccellente riportato nello studio riguarda una specie totalmente diversa: Homo sapiens. Nella nostra specie lo sviluppo prosegue a lungo dopo la nascita. Non nasciamo “larve”, ma le nostre capacità sono limitate. Eppure non solo i neonati contano, ma dalla magnetoencefalografia fetale sembra che lo sappia fare persino un feto al terzo trimestre. Zebrafish e Homo sapiens, pur così diverse, dimostrano quindi di saper contare ancora prima che questo serva a qualcosa.

Quindi, da dove viene la capacità di contare diffusa nei vertebrati? Spiega Bisazza a Pikaia:

Riguardo all’origine evolutiva delle capacità numeriche i ricercatori fanno due ipotesi. La prima è che ogni volta che le pressioni selettive tendono a favorire la comparsa di qualche specifica funzione ecologica (per esempio contare i compagni sociali, i pezzi di cibo o il numero di competitori) si evolvano de novo specifici circuiti che la supportano. La seconda, quella che questo lavoro sembra supportare, che si tratti di meccanismi neurali filogeneticamente molto antichi che ciascuna specie coopta di volta in volta quando l’ambiente in cui si evolve richieda una qualche funzione di tipo numerico. Sarebbero un po’ come i mattoni, che sono uguali per tutti ma ognuno poi fa una casa diversa.

Dalla ricerca di base allo studio dei disturbi dell’apprendimento

Lo studio è uscito alcune settimane e diverse testate ne hanno parlato. Fiorello, al suo programma mattutino Viva Rai 2 ha colto l’occasione per fare un po’ di ironia leggendo la notizia. L’intrattenitore ha esordito dicendo che all’Università di Ferrara, quando non sanno che fare, vanno a scoprire cosa fanno i pesci. La presa in giro è bonaria, ma cogliamo l’occasione per domandare a Bisazza a cosa ci servono questi studi. Perché studiare le capacità numeriche degli animali?

Bisazza, che anche prima di passare alla psicobiologia si è sempre occupato di evoluzione, spiega che questi studi hanno un valore in sé. Vogliamo sapere come funzionano gli animali sulla base di esperimenti, e capire a che cosa sono dovuti certi comportamenti: è ricerca di base. D’altro canto, se i vertebrati condividono i circuiti cerebrali che rendono possibili le abilità numeriche, allora gli studi sugli animali possono offrire la possibilità di capire meglio anche la nostra specie. Il fine ultimo è trovare la relazione tra genetica, meccanismi neurobiologici e comportamento. 

Questo ci darebbe la possibilità di studiare in modo più approfondito le basi genetiche e neurali della discalculia, un disturbo specifico dell’apprendimento relativo alle abilità matematiche. La discalculia è molto spesso è associata alla dislessia, e per questo alcuni ipotizzano che condividano fattori comuni. Sappiamo ancora pochissimo di questi disturbi, che sono molto diffusi e in gran parte ereditari.

Spiega il professore:
“La discalculia e la dislessia sono state spesso descritte in termini di “deficit”, e rispetto a quello che è richiesto nella nostra società lo sono sicuramente. Tuttavia sono disturbi specifici, e non riflettono in alcun modo disabilità cognitive. A livello biologico è ancora più problematico parlare di “deficit”, perché svolgere complesse operazioni o leggere era del tutto inutile nell’ambiente in cui ci siamo evoluti. Infatti ci sono comunità di cacciatori-raccoglitori che usano pochissime cifre. C’è addirittura la possibilità che siano in realtà tratti adattativi, che rendono più facili altre attività che non siano leggere e contare

Immagine: Nikita Tsyba in cooperation with Azamat Bashabayev, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons