Allergia da Neanderthal
L’ibridazione tra la nostra specie, i neanderthal e i denisovani ha permesso all’uomo moderno di sviluppare un più efficace sistema immunitario innato, ma ha portato all’evoluzione di alcune allergie
Una volta usciti dall’Africa, i nostri antenati anatomicamente moderni hanno dovuto adattarsi per sopravvivere ai nuovi ambienti che incontravano, facendo anche i conti con virus, batteri e funghi che in parte differivano da quelli a cui erano adattati dal punto di vista immunitario. Davanti a questa sfida gli antichi emigranti avevano due possibilità: l’evoluzione del loro sistema immunitario, oppure l’acquisizione per via orizzontale di nuovi geni già adattati ai nuovi microorganismi. Il primo metodo parte da mutazioni spontanee del DNA destinate poi alla selezione dell’ambiente: se offrono un vantaggio, esse consentono a chi le esprime di sopravvivere e riprodursi con più successo. Questo sistema ha un grave difetto: richiedere tempo per sortire i suoi effetti positivi. Il secondo modo presenterebbe l’indubbio vantaggio di inserire geni già selezionati per il compito che dovranno svolgere nel genoma ricevente, ma si scontra con il problema per individui di specie differenti di incrociarsi fra loro in condizioni naturali (limite che definisce il concetto stesso di specie). Solo quando i membri di due specie strettamente imparentate generano ibridi che sono, almeno in qualche misura, fertili, i geni provenienti da una specie possono essere trasferiti a un’altra. Se poi questi geni sono molto utili alla specie ricevente, il vantaggio che ne viene può compensare la bassa fertilità che affliggerà i loro portatori durante le prime generazioni.
Un fenomeno di questo genere, definito introgressione, sembra essersi verificato quando i primi Homo sapiens arrivati dall’Africa incontrarono i loro cugini Homo neanderthalensis in Europa e i Denisoviani in Asia. Alcuni lavori scientifici hanno evidenziato che dall’1 al 4 per cento del genoma degli attuali umani, dei gruppi etnici caucasici e asiatici, sarebbe stato ereditato da antenati Neanderthaliani (Pikaia ne ha parlato qui, qui e qui), mentre tra il 4 e il 6 per cento del genoma degli attuali melanesiani deriverebbe dall’uomo di Denisova (Pikaia ne ha parlato qui). Ma non esistevano, almeno fino a poco tempo fa, prove dirette di conseguenze sul fenotipo mediate da questa introgressione negli esseri umani moderni (Pikaia ne ha parlato qui e qui); anche se si era ipotizzato che una piccola percentuale di geni, molto diffusi nelle popolazioni tibetana e utili nel favorire la vita ad alta quota nei suoi membri, fossero il risultato di antichi incroci con uomini di Denisova (Pikaia ne ha parlato qui).
Un po’ di neanderthal in noi
Ricercatori del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia (Germania), Michael Dannemann, Aida M. Andrés e Janet Kelso, hanno tuttavia recentemente pubblicato sulla rivista America Journal of Human Genetics i risultati di una ricerca, che si è focalizzata sui geni che codificano per i tre recettori del tipo Toll (o TLR dall’inglese toll like receptors): TLR6, TLR1 e TLR10, presenti sul cromosoma 4 umano. Molte linee cellulari nei mammiferi sono dotate di recettori propri di questo gruppo, specialmente i globuli bianchi in cui quali contribuiscono all’avvio di quella importante parte della risposta immunitaria innata chiamata infiammazione. L’immunità innata contiene gli attacchi dei nuovi microorganismi con cui un individuo entra in contatto, mentre si attiva il più efficiente sistema immunitario specifico; quindi una continua selezione dei recettori TLR è stata estremamente importante, in passato, per garantire la sopravvivenza della nostra (e di tutte le) specie. Il segno evidente lasciato da questo processo è la grande ricchezza in varianti, e sottovarianti, che caratterizza i geni che codificano per i TLR nelle diverse popolazioni umane diffuse nel pianeta. Gli autori della ricerca hanno raggruppato queste variazioni geniche in sei grandi gruppi o aplotipi, tre dei quali sono presenti solo in individui che vivono al di fuori dell’Africa. L’estrema somiglianza rilevata fra gli aplotipi non africani e le sequenze corrispondenti estratte dai resti di uomini di Neanderthal e di Denisova, confrontate con quelle moderne per mezzo di potenti algoritmi statistici, ha convinto Dannemann e colleghi che l’ipotesi della loro origine introgressiva è molto più consistente di una loro ipotetica evoluzione a partire dagli aplotipi africani (due degli aplotipi non sapiens deriverebbero dall’incrocio con neanderthaliani; il terzo, trovato solo in persone originarie del sudest asiatico, dall’incrocio con denisoviani).
Vantaggi e svantaggi
Anche se non producono variazioni nella sequenza aminoacidica dei TLR, le varianti genetiche derivate dalle tipologie umane ancestrali sono molto più sensibili ai fattori di trascrizione. Per questo motivo i TLR sono iper-espressi quando i geni non sapiens sono inseriti transgenicamente in linee di linfociti umani privi di recettori propri. I geni introgressivi sono inoltre più comuni negli individui i cui anticorpi mostrano pochi segni di aver combattuto contro infezioni batteriche nel corso della vita, come gli autori hanno dimostrato nel caso del comune batterio Helicobacter pylori. È possibile che in questi individui, un’energica risposta immunitaria innata si sia liberata dal batterio prima di dover scomodare la risposta immunitaria specifica. Questa stessa energica risposta innata, però, potrebbe anche essere la causa dell’ipersensibilità immunologica che caratterizza i portatori di questi geni, evidenziata confrontando la presenza di varianti aplotipiche non sapiens con la predisposizione ad allergie o a malattie autoimmuni. Ringraziamenti, e qualche rimprovero, quindi, per questi nostri cugini da cui abbiamo preso in prestito diversi geni.
Riferimenti:
Dannemann M, Andrés AM, Kelso J. Introgression of Neandertal and Denisovan-like Haplotypes Contributes to Adaptive Variation in Human Toll-like Receptors. Am J Hum Genet. 2016 Jan 7;98(1):22-33. doi:10.1016/j.ajhg.2015.11.015.