Darwin ieri e oggi
Il nostro racconto del laboratorio “Darwin, ieri e oggi. Darwinismo e Neodarwinismo tra scienze mediche, politiche e sociali”, che ha visto la partecipazione di Giuliano Pancaldi, Antonello La Vergata e Alessandra Attanasio
Darwin e il suo tempo
Giuliano Pancaldi è uno storico della scienza che ha pubblicato molto su Darwin e la sua ricezione in Italia. Ha tenuto un intervento dal titolo Darwin e il suo tempo: definizione e ricezione della teoria della selezione naturale. Pancaldi ha ribadito che la figura del naturalista inglese non va eroizzata, e che per la storia della scienza è giusto tenere conto di tutte le sfaccettature di Darwin. Tre sono i punti in cui può essere suddivisa la relazione del professore.
Il primo punto è una tesi interpretativa di come Darwin intendeva il fenomeno “vita”. L’invenzione è propria di ogni caratteristica organica e ogni vivente è dimostrazione di questo fatto, dalla conchiglia bivalve alle teorie scientifiche umane. L’invenzione della vita ha anche una connotazione particolare, perché, più che essere un frutto del genio o dell’intelligenza superiore di un’entità, è una sommatoria di una lunga storia, composta di successi, ma anche di errori. In questo senso può essere tracciata, per Pancaldi, un parallelismo tra la costruzione/invenzione della tecnologia umana e il fenomeno dell’evoluzione.
Per avvalorare questa tesi sono stati citati vari passi scritti dal naturalista inglese, tra cui il famoso passo dell’Origine (pp. 510-511 nell’edizione BUR), in cui Darwin pone un doppio parallelo tra le complesse parti di una nave e le strutture dei vari organismi e tra la poca comprensione, che ha un “selvaggio” della nave, e la poca comprensione da parte dei naturalisti del fenomeno vita (la terminologia e l’atteggiamento usati da Darwin nei confronti di culture non europee sono ovviamente, in parte, figli del colonialismo di epoca vittoriana e possono apparire a noi, lontani da questa cultura, strani o offensivi).
Il secondo punto riguarda un’analisi del contesto dell’Inghilterra vittoriana e del network di Darwin, cioè della fitta rete di contatti che il naturalista inglese intratteneva per le sue ricerche e la loro diffusione. Perché uno scienziato potesse avere le basi empiriche e teoriche atte a produrre una teoria come quella di Darwin, andavano soddisfatte certe condizione sociali e materiali da parte della comunità scientifica di appartenenza e della società. Per Pancaldi l’Inghilterra vittoriana, al tempo la maggiore potenza mondiale, aveva le caratteristiche necessarie: alto livello di alfabetizzazione nella popolazione; possibilità di creare una rete di spedizioni, scoperte e archiviazione dati grazie alla vastità dell’impero coloniale; possibilità di ricevere una grande mole di fondi, sia pubblici sia privati. Darwin sfrutta queste grandi risorse per la ricerca, come dimostra la vastissima produzione di lettere (oggetto l’anno scorso anche di una mostra a Cambridge) e la conseguente fitta rete di relazioni che il naturalista inglese intratteneva. Scrive per sapere e per inviare le sue teorie agli esperti più disparati, da naturalisti come lui fino a giardinieri e allevatori, i quali appunto sapevano scrivere, leggere e quindi replicare a Darwin grazie all’alto tasso di alfabetizzazione.
Sarebbe stato possibile nel XIX secolo un Darwin italiano? Per Pancaldi no. Non esisteva una rete di relazioni e comunicazioni come in Inghilterra e quindi non si riusciva ad avere una adeguata mole di informazione e di scambi di opinioni. Non vi era un alto tasso di alfabetizzazione e quindi non vi era comunicazione tra i naturalisti e chi, come gli allevatori, aveva conoscenze più pratiche, le quali sono risultate importantissime per Darwin per comprendere il meccanismo della selezione naturale.
L’ultimo punto è l’analisi dello scambio epistolare tra Darwin e James Torbitt, mercante di Belfast interessato a trovare una soluzione alla “moria delle patate”, provocata da un fungo. Negli anni Quaranta del XIX secolo aveva portato alla “grande carestia”, una tragedia che ha contato più di un milione di morti in Irlanda. La patata è in genere moltiplicata da porzioni di tubero, le piante risultanti sono quindi tutte identiche tra loro; Torbitt invece intendeva partire dai semi, in modo da produrre piante diverse e resistenti al patogeno. Darwin, nelle lettere in risposta al mercante, aveva identificato in questo metodo una sorta di selezione artificiale, e pensava fosse la formula migliore per trovare la soluzione alla moria delle patate.
Lo scambio epistolare e i tentativi di Torbitt per produrre tuberi immuni dal fungo erano, possiamo dedurre, il segno della volontà di applicare le conoscenze dell’evoluzione per creare delle coltivazioni migliori. Era quindi presente, almeno nello stato embrionale, un ragionamento vicino a quello delle odierne biotecnologie. Una delle tesi che discendono da questo punto è, dalle parole di Pancaldi, che «lo stesso darwinismo evoluzionista alimenta la speranza nella possibilità di migliorare la vita». È quindi da trovare nello stesso evoluzionismo, sia per le sue implicazioni positive sia per quelle negative, un ulteriore canale di alimentazione della speranza di poter modificare i viventi per le proprie caratteristiche.
Gli interventi della prima giornata, dopo la relazione di apertura, sono stati per lo più domande, poste da punti di vista e con collegamenti differenti.
Darwinismi sociali
L’intervento di apertura della seconda giornata, dal titolo Darwinismi sociali, è stato tenuto dal professore Antonello La Vergata. Autore di molte ricerche su Darwin e il darwinismo sociale, qui ricordiamo per esempio le monografie Colpa di Darwin? Razzismo, eugenetica e guerra e altri mali (2009) e Nonostante Malthus (1990). Il titolo dell’intervento è al plurale e non è un caso: l’obiettivo fondamentale della relazione è mostrare la complessità e la pluralità delle teorie sociali in questa categoria. L’espressione “Darwinismo sociale” è stata coniata a fine Ottocento dal giornalista Émile Gautier per definite la teoria sociale di Herbert Spencer, basata sulla giustificazione della competizione e del libero mercato. Le teorie proprie del “darwinismo sociale”, come riporta La Vergata, sono nate anche prima di Darwin e tale espressione è andata a definire una serie di teorie sociali, che avevano come sfondo teorie evoluzionistiche anche opposte alla visione del naturalista inglese. Lo stesso Spencer, evoluzionista prima della pubblicazione dell’Origine, non era strettamente darwiniano. Ma sotto il termine darwinismo sociale sono state identificate anche teorie simil-socialiste e teorie nazionaliste, molto dissimili dalla visione spenceriana, in cui la lotta per l’esistenza era tra le classi o tra le nazioni. Vi erano anche darwinismi sociali a seconda della nazione e vi sono state diatribe, per esempio tra darwinisti francesi e tedeschi, su quale tradizione nazionale avesse interpretato bene il darwinismo. Il quadro, che ne emerge, è molto complesso e spesso Darwin e il darwinismo sono utilizzati per giustificare ideologie e azioni politiche già presenti prima delle teorie evoluzionistiche, come nel caso del nazionalismo tedesco. È sbagliato quindi imputare a Darwin l’emergenza del darwinismo sociale, anche se la sua stessa visione politica è complessa e non senza ambiguità. Antischiavista e sempre schivo a trasportare la propria teoria nella società o nelle scienze sociali, non era certo esente dalle influenze del periodo e dalla visione coloniale, al tempo imperante in Inghilterra. A proposito della formazione delle teorie eugenetiche La Vergata propone un quadro complesso. A volte queste avevano uno sfondo “umanitario”, e tutte presupponevano che molti disturbi mentali fossero ereditari. Tra l’Ottocento e il Novecento questa visione era accettata, solo in seguito è stata smentita. Erano presenti anche un femminismo eugenetico, un pacifismo eugenetico, fino alle forme più estreme e disumanizzanti di eugenetica. Se il darwinismo sociale spenceriano era per la non interferenza dello Stato, nel caso dell’eugenetica vi era invece la volontà di un intervento dello Stato, che si basava su determinate teorie scientifiche e una determinata volontà di migliorare la nazione. La Vergata mostra la complessità di queste teorie, di cui possiamo accettare, almeno a livello superficiale, alcune intenzioni, o presunte tali, ma che non accettiamo oggi per tante altre ragioni e per le conclusioni tragiche a cui hanno portato. Lo stesso quadro complesso appare per la lotta dell’esistenza, tradotta e rimaneggiata in molti modi, e per la selezione naturale. Questi termini sono stati definiti e compresi dopo Darwin in molti sensi diversi e sono stati trasposti in molte scienze, quali la sociologia, la filosofia, le neuroscienze. L’intervento di La Vergata ha trattato in maniera rigorosa temi molto delicati, che a volte possono farci paura, e mostra la necessità di analizzare la complessità del fenomeno per comprenderne tutte le sfaccettature, non solo di opporvisi. L’intervento insegna, soprattutto, a non usare i termini in modo indiscriminato, come quelli di eugenetica e di darwinismo sociale. Un punto importante è il rapporto tra scienza e società, in questo caso sotto forma del rapporto tra darwinismo e politica. Da un lato la cultura non è unica causa della formazione di una teoria scientifica e quindi non può esservi una riduzione della natura, delle scienze della natura, alla cultura. Dall’altro lato, le teorie politiche o sociali, che si confrontano con la scienza, non sono una semplice applicazione della scienza. Il rapporto tra scienza e cultura e l’appropriazione delle teorie scientifiche da parte della politica sono fenomeni molto complessi, che possono avere manifestazioni tra loro differenti. Riporto in maniera sintetica i temi più interessanti, trattati o accennati negli interventi e nelle domande successive all’intervento di apertura: la presenza del darwinismo e del razzismo nelle altre culture, la necessità e i problemi della comunicazione pubblica della scienza, l’apporto che la storia della scienza può dare alla scienza.
Darwin filosofo
L’ultima giornata del laboratorio è stata aperta dall’intervento di Alessandra Attanasio: Darwin filosofo della mente tra Hume e le neuroscienze. Attanasio ha condotto vari studi su David Hume e su Darwin, in particolare per quel che riguarda gli istinti e il senso morale, ed è curatrice dell’edizione italiana dei Taccuini filosofici (2010) e di Capacità mentali e istinti negli animali (2011) di Darwin. La relazione di Attanasio si è occupata sia storia della filosofia, collegando gli studi di Darwin alle sue influenze humeane, sia di filosofia della mente, rapportando le teorie del naturalista sull’istinto e sulla mente ad alcune tesi delle più odierne neuroscienze. L’intervento può essere inteso come un percorso attraverso la teoria della mente e degli istinti di Darwin e percorre cinque “tappe”, che sono rappresentate da altrettante figure. Gli autori di riferimento della relazione, oltre a Hume e Darwin, sono Jaak Panskepp e Gerald Edelman, neuroscienziati contemporanei. La prima tappa sono le uova di Flustra, un genere di animali che ora cataloghiamo nei briozoi e che cresce attaccato agli scogli. Questo genere rappresenta il legame tra organico e inorganico, tra specie vivente e condizioni di vita, ed è l’elemento più semplice da cui parte l’analisi di Attanasio. Visto che per Darwin c’è sempre un passaggio graduale e nessuna scissione tra i vari regni della natura, l’analisi della mente deve tenere conto di questa relazione tra inorganico, organico, vegetale e animale. La seconda tappa parla dell’intelligenza delle piante. Attanasio collega a questo tema un’immagine di Stefano Mancuso, che rappresenta il “cervello” della pianta, e, sulla scorta di autori affini al botanico, attribuisce intelligenza alle piante e riconduce questa tesi a Darwin stesso. Terza tappa è la Planaria, un genere di platelminti, o vermi piatti. Questo animale, dalla costituzione molto semplice, presenta un sistema nervoso altrettanto semplice. Per Darwin, e poi per ricercatori come Panskepp, la Planaria presenta già le prime forme di coscienza. Quarta e quinta tappa approdano nel mondo della mente e delle neuroscienze. Nello specifico, la quarta tappa tratta dell’intelligenza e della mente animali. Per Darwin l’intelligenza è la capacità di modificare il comportamento nelle situazioni più complesse. Al centro delle tesi del naturalista inglese sulla mente, e anche al centro dell’intervento di Attanasio, c’è la nozione di socialità. Secondo il naturalista inglese e secondo anche le neuroscienze contemporanee, la coscienza si forma sì attraverso lo sviluppo delle strutture celebrali, ma anche necessariamente attraverso le relazioni sociali. Senza questi stimoli sociali non c’è uno sviluppo completo della mente. La quinta tappa tratta alcune delle ultime ricerche di neuroscienze e delle tesi di Darwin. Uno degli studi più recenti è quello del connettoma, cioè lo strumento odierno utilizzato per studiare le connessioni neurali del nostro cervello. Il connettoma permette di vedere come l’attività elettrica dei nostri neuroni scolpisce le nostre connessioni. Questo strumento avvalora, dato che attesta la grande plasticità del cervello, le tesi della socialità come elemento di emersione della coscienza. Altre due tesi di Darwin trovano ampia conferma oggi: la struttura comune del sistema nervoso in tutti gli animali e la tesi per cui tra le varie intelligenze vi sia una differenza di grado e non di tipo. Infine, la tesi di Darwin, per cui la mente e il comportamento sono frutto anche della storia evolutiva, è stata molto ripresa. Panskepp, ad esempio, studia i meccanismi delle emozioni e parte dalla nozione di sistemi emotivi. I sistemi emotivi si attivano prima delle emozioni. I sistemi emotivi dipendono dai sistemi sottocorticali, condivisi tra tutti i vertebrati e si attivano molto prima delle aree più recenti del nostro cervello. Le nostre risposte emotive e affettive dipenderebbero quindi da meccanismi molto antichi e sarebbero molto simili in tutte le specie di vertebrati. Attanasio presenta, sulla scia di questi studi, la tesi per cui i nostri valori sono già presenti nella corteccia sottocorticale: i nostri affetti e gli schemi delle nostre emozioni, quindi le nostre paure e le nostre categorizzazioni, si trovano già in parte codificati in questi schemi sottocorticali. Un paio di interventi successivi sono stati critici verso alcune posizioni di Attanasio, soprattutto per la nozione di valore e la sua collocazione nei meccanismi basilari del cervello umano. Il dibattito sul valore, e su dove collocarlo tra i vari processi mentali e del comportamento, è un tema molto complesso. Chiama in causa molti concetti e dibattiti sulle conoscenze innate e su quelle acquisite. La nozione stessa di valore, inoltre, può essere ambigua e la risposta sul carattere o meno innato dei valori cambia anche a seconda della definizione che ne diamo. La divergenza di opinioni risulta naturale, avendo Attanasio presentato teorie e posizioni ancora oggetto di dibattito. Anche la reale o presunta intelligenza delle piante (come scritto in uno degli articoli del nostro portale) è oggi tema di dibattito, sia sulla sua effettiva esistenza sia sulla sua connotazione specifica.
Ho conseguito la laurea triennale in filosofia presso la Federico II di Napoli nel 2019 e nel 2022 ho
conseguito la laurea magistrale in scienze filosofiche presso L’università Statale di Milano con una
tesi su alcuni risvolti filosofici della teoria di Darwin. Le aree di maggiore interesse per me sono gli
studi su Darwin e la filosofia della biologia, soprattutto rispetto ai temi di filosofia della scienza. Al
momento sono borsista per un progetto di collaborazione editoriale e di ufficio stampa presso
l’Istituto Italiano degli Studi Filosofici.