Dita da pesce

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La conquista delle terre emerse da parte dei nostri progenitori acquatici fu un processo lento e progressivo, che comportò numerosi adattamenti al nuovo ambiente. A partire da antenati Sarcopterygii, i pesci dalle pinne carnose, si svilupparono a poco poco le strutture necessarie alla vita subaerea che oggi sono comuni a tutti tetrapodi, il gruppo di animali costituito dagli odierni vertebrati […]

La conquista delle terre emerse da parte dei nostri progenitori acquatici fu un processo lento e progressivo, che comportò numerosi adattamenti al nuovo ambiente. A partire da antenati Sarcopterygii, i pesci dalle pinne carnose, si svilupparono a poco poco le strutture necessarie alla vita subaerea che oggi sono comuni a tutti tetrapodi, il gruppo di animali costituito dagli odierni vertebrati ad esclusione di pesci, lamprede e missine. Tra queste, di particolare rilevanza dal punto di vista evolutivo ci sono i polmoni e le gli arti dotati di dita.

I polmoni non sono tuttavia esclusivi dei tetrapodi, in quanto li ritroviamo anche in un piccolo gruppo ancora esistente (vi sono oggi solo 3 specie) di pesci dalle pinne carnose, quello dei dipnoi. Per quanto riguarda invece la presenza degli arti con le dita, si è sempre creduto che queste strutture fossero comparse per la prima volta con la colonizzazione dell’ambiente subaereo. Le dita, in particolare, si credeva costituissero una novità evolutiva dei tetrapodi, non presenti dunque in alcun progenitore acquatico.

Questa convinzione era basata su due generi di informazioni: i fossili e le evidenze molecolari. Infatti, innanzitutto, nessuna specie fossile non annoverabile tra i tetrapodi manifesta strutture simili a dita; in secondo luogo, nel genoma degli attuali pesci, come il pesce zebra (Danio rerio) su cui sono stati compiuti numerosi studi di questo tipo, non sono stati ritrovati geni omologhi a quelli adibiti allo sviluppo delle dita negli animali a quattro zampe. Insomma, fino ad oggi, non esistevano prove nè della presenza di dita nè dell’esistenza dei meccanismi molecolari necessari per il loro sviluppo in organismi che non fossero tetrapodi.

Ma come spesso accade nelle discipline scientifiche, la messa a punto di nuove tecniche permette di fare nuove scoperte e di smentire vecchie ipotesi. Grazie all’utilizzo della tomografia computerizzata ai raggi X, un gruppo di ricercatori dell’Università di Uppsala ha infatti identificato alcune strutture del tutto simili a dita in un esemplare fossile di Panderichthys rhombolepis, un sarcoperigio risalente a 385 milioni di anni. Questa tecnica ha consentito infatti di ricostruire in tre dimensioni l’aspetto dell’animale, individuando alcune dita rudimentali alla sommità delle pinne.

La specie analizzata (nella figura), un predatore acquatico del Devoniano, è da sempre considerata una forma di transizione nel passaggio dall’ambiente acquatico a quello terrestre, in quanto presenta alcune caratteristiche intermedie tra i pesci e gli anfibi. Probabilmente, sostengono i ricercatori dalle pagine di Nature, gli abbozzi di dita potevano essere utili nei periodi di siccità quando questa specie, che abitava piccole pozze d’acqua spesso soggette al prosciugamento, aveva la necessità di spostarsi, strisciando, nella ricerca di nuovi stagni in cui vivere.

Sebbene questa scoperta non retrodati di molto la comparsa delle dita, già rinvenute in fossili di Tiktaalik roseae, un tetrapode arcaico risalente a 375 milioni di anni fa, è importante in quanto dimostra che queste strutture tipiche degli animali terrestri hanno invece un’origine antecedente all’uscita dei nostri progenitori dalle acque.

Andrea Romano


Riferimenti:
Catherine A. Boisvert, Elga Mark-Kurik, Per E. Ahlberg. The pectoral fin of Panderichthys and the origin of digits. Nature (21 Sep 2008), doi: 10.1038/nature07339

Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons