Evolutionary rescue: ecco come in futuro alcune specie potrebbero adattarsi ai cambiamenti climatici

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Le specie di mammiferi che cambiano il colore della pelliccia sono in pericolo di estinzione per il costante accorciamento degli inverni che li rende più visibili e quindi vulnerabili. La presenza, in veri e propri siti di ‘salvataggio evolutivo’, di individui che in inverno non modificano il colore della pelliccia potrebbe rappresentare la loro salvezza, fornendo la necessaria variabilità genetica su cui potrebbe agire la selezione naturale

Le conseguenze dei cambiamenti climatici sono sempre più tangibili sugli ecosistemi terrestri e sulle sue popolazioni delle specie selvatiche.  La comparsa tardiva della neve in autunno e il disgelo nevoso più precoce in primavera a causa del recente riscaldamento globale hanno portato ad una significativa diminuzione della durata della copertura nevosa globale. Un fenomeno che ha un impatto davvero drammatico sugli animali che stagionalmente cambiano il colore della loro pelliccia. Una nuova ricerca condotta dal professor L. Scott Mills, dell’Università del Montana, ha individuato delle aree cruciali per la futura sopravvivenza di questi animali considerandole dei veri e propri siti di “salvataggio evolutivo”.

Sono numerose le specie che normalmente rispondono alle variazioni stagionali con un cambiamento nel colore della pelliccia: marrone in estate e bianco in inverno. Un vantaggio, questo, che consente loro di mimetizzarsi con il paesaggio per l’intero corso dell’anno. Ma a causa di un disgelo nevoso più precoce, questo caratteristico sincronismo viene alterato e gli animali per lunghi periodi non riescono a confondersi con l’ambiente circostante, rendendoli facili prede da scovare o facili predatori da individuare.

In passato, una ricerca svolta dallo stesso prof. Mills, aveva mostrato che tra le lepri (Lepus americanus) con colorazione invernale bianca, vi era un tasso di mortalità maggiore per quelle che vivevano in ambienti non innevati rispetto a quelle di ambienti innevati, a causa dell’incapacità di mimetizzarsi efficacemente con il paesaggio circostante. Ne consegue che la diminuzione della durata della copertura nevosa porterà nel tempo a effetti tutt’altro che positivi: le popolazioni delle specie minacciate da questo fenomeno subiranno un drastico declino.

In un nuovo articolo pubblicato su Science, Mills e il suo gruppo di ricerca hanno individuato dei veri e propri siti che tutelano le specie particolarmente vulnerabili al cambiamento climatico. Queste aree sono state definite “zone polimorfiche” perché sono caratterizzate dalla coesistenza di individui che presentano colorazioni della pelliccia differenti: oltre agli individui che normalmente cambiano il loro manto con la stagionalità da marrone a bianco, vivono infatti anche individui che sembrano rinunciare alla pelliccia bianca, mantenendola marrone tutto l’anno. Questo fenomeno è diffuso in diverse specie, anche non strettamente imparentate tra loro.

Queste particolari aree polimorfiche, chiamate dai ricercatori “evolutionary rescue”, sono state individuate utilizzando un modello che prende in considerazione la colorazione della pelliccia di 8 specie (4 specie di lepri e 4 specie di piccoli carnivori) per un totale di 2700 esemplari provenienti da 60 paesi diversi (qui il link per leggere il blog di Alex Kumar, il dottorando che ha partecipato a questa ricerca).

I ricercatori hanno così individuato le zone polimorfiche, aree davvero peculiari, in cui gli individui che mantengono il manto marrone e quelli che lo cambiano in bianco, coesistono in inverno. Ma che significato evolutivo hanno questi “evolutionary rescue”?

Perché gli animali possano adattarsi alle nuove condizioni ambientali c’è bisogno di una forte pressione selettiva e di un tratto su cui questa possa agire. In assenza di variazione tra gli individui della stessa popolazione nel tratto stesso, però, nessuna pressione selettiva può portare ad un cambiamento nel tempo. Ad esempio, una popolazione formata da soli individui che diventano bianchi in inverno non può adattarsi ad un disgelo nevoso precoce perché non c’è variazione su cui la selezione possa agire. In altri termini, le popolazioni delle zone polimorfiche, grazie agli individui che mantengono la colorazione estiva tutto l’anno, che saranno quindi in grado di mimetizzarsi meglio nel nuovo ambiente privo di neve, avranno maggiori possibilità di adattarsi ai futuri cambiamenti climatici e, quindi, di sopravvivere. Questo consentirà l’adattamento della popolazione alle nuove condizioni climatiche che si presenteranno in futuro, come l’incessante accorciamento degli inverni.

In previsione di questi cambiamenti climatici futuri, dare la priorità a queste aree di “evolutionary rescue” nei piani di conservazione potrebbe essere una strategia vincente per la tutela della biodiversità del nostro pianeta.


Riferimenti:
Mills, L. S., et al. “Winter color polymorphisms identify global hot spots for evolutionary rescue from climate change.” Science 359.6379 (2018): 1033-1036. http://science.sciencemag.org/content/359/6379/1033

Immagine: By Denali National Park and Preserve (Snowshoe Hare- Alert  Uploaded by AlbertHerring) [CC BY 2.0 or Public domain], via Wikimedia Commons