Far la spia e origliare a volte serve a qualcosa
Fra i rinoceronti neri e le bufaghe in una riserva sudafricana si è stabilita una relazione particolare: le bufaghe lanciano un richiamo alla vista degli umani, permettendo così ai rinoceronti, dotati di vista molto scarsa, di mettersi in allarme
Il rinoceronte nero (Diceros bicornis) è un grande animale solitario che non utilizza granché comunicazioni vocali, preferendo quelle olfattive, ma soprattutto ci vede malissimo. È noto che le bufaghe (Buphagus erythrorynchus), quei graziosi uccellini bruni dal becco rosso, vivono sui rinoceronti – e su tutti i grandi erbivori africani – “pascolando” sul loro corpo e nutrendosi di zecche, o del sangue che esce dalle ferite che molto spesso affliggono quegli animali (Pikaia ne ha parlato qui). Ma perché in Swahili le bufaghe vengono chiamate Askari wa kifaru (le guardie dei rinoceronti)?
Una coppia di ricercatori australiani e statunitensi hanno cercato di rispondere a questa non banale domanda lavorando per 27 mesi nel Hluhluwe-iMfolozi Park, una riserva di 960 km2 nell’Est del Sud Africa, conducendo 86 approcci sperimentali a rinoceronti con e senza bufaghe (impariamo – con una certa sorpresa – da questo articolo che la popolazione di bufaghe è in netto declino a causa dell’uso di antiparassitari sui mammiferi d’allevamento della zona). Nel 45-50% degli incontri le bufaghe si accorsero della presenza di umani nelle vicinanze, emisero immediatamente un richiamo vocale, e i rinoceronti si allarmarono.
Ma se i ricercatori avvicinavano rinoceronti privi di bufaghe, la distanza alla quale i grandi animali si allarmavano diminuiva circa della metà. Ogni bufaga in più aumentava la distanza alla quale gli umani venivano percepiti di 9 m. Dunque l’associazione con le bufaghe consente ai rinoceronti una maggiore sopravvivenza? E ancora: è possibile che i rinoceronti si siano messi ad origliare le bufaghe per sfuggire al pericolo rappresentato dall’uomo? I ricercatori hanno dimostrato che i rinoceronti rispondono all’allarme lanciato dalle bufaghe orientandosi verso il sottovento, ossia la posizione nella quale si trovano normalmente i cacciatori umani, indipendentemente dalla direzione dalla quale provenivano i ricercatori. Per giunta – nota l’articolo – i predatori animali non cacciano sempre da sottovento, ma più spesso ricorrono a copertura della vegetazione per i loro agguati. E, aggiungono, le bufaghe non emettono suoni d’allarme alla loro vista, anche se le osservazioni a tal proposito sono scarse. Non è tanto facile spiegare in termini evoluzionisti l’altra faccia della medaglia: e perché le bufaghe avrebbero dovuto instaurare un simile rapporto con i rinoceronti, finalizzato a proteggerli dai cacciatori? Le zecche – e soprattutto le ferite dei rinoceronti sono una fonte di cibo importante ed essenziale per loro?
La teoria evolutiva prevede che le specie solitarie possano beneficiare al massimo dall’origliare i segnali di allarme delle altre specie. La ricerca sui rinoceronti presenterebbe una delle rare prove sperimentali di questa previsione, dando anche ragione al loro nome Swahili.
Poiché i rinoceronti sono sotto forte pressione da parte dei cacciatori di frodo, i ricercatori raccomandano di reintrodurre le bufaghe nelle zone dove esse sono in declino o estinte: la loro presenza renderebbe la vita più difficile ai cacciatori!
Fonte:
Plotz, R. D. & W. L. Linklater: “Oxpeckers help rhinos evade humans” Current Biology, 30 (10), 1965-1969, 2020
Immagine: Charles J. Sharp, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons
È stato Professore Ordinario di Evoluzione Biologica presso l’Università degli Studi di Milano. Ha svolto ricerche nel campo della riproduzione e filogenesi in diversi gruppi di invertebrati. È stato presidente della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica e si è occupato attivamente della divulgazione di temi evoluzionisti e di traduzioni di testi di autori importanti. Ha curato il testo “Evoluzione, modelli e processi” per Pearson Italia. Ha diretto per 20 anni la Biblioteca Biologica dell’Università