Forme di coevoluzione fra ragionamento causale e sviluppo tecnologico
L’evoluzione della cultura materiale ha avuto un grande impatto nello sviluppo di forme di cognizione causale avanzate
È fondamentale, per la nostra specie, stabilire nessi causali fra conspecifici e gli enti del mondo esterno: ne va della nostra sopravvivenza. La famiglia degli Ominidi, incluso il genere Homo, si è evoluta in un ambiente pieno di pericoli. Per migliaia di anni, gli Ominidi sono state prede di altri animali nell’Africa orientale e meridionale. E percepire un agente anche là dove non c’era, poteva rivelarsi determinante (Pikaia ne ha parlato qui). Se vediamo muovere un cespuglio, potremmo pensare che si tratti di un predatore in agguato, una iena ad esempio. Il movimento potrebbe rivelarsi essere causato dal vento, ma ai fini della sopravvivenza è meglio sopravvalutare la causa e cercare rifugio, piuttosto che trovarsi faccia a faccia con un carnivoro inferocito.
Un nuovo studio pubblicato su Biology and Philosophy a firma di Peter Gardenfors e Marlize Lombard, affiliati alle Università di Lund, Johannesburg e Stellenbosch, getta nuova luce sullo sviluppo, in Homo sapiens, di un grado elevato di ragionamento causale, sostenendo che vi sia stata coevoluzione fra questo e la produzione e uso di una complessa cultura materiale. È certo che forme di cognizione causale, anche se in gradi diversi, sono presenti in molte altre specie animali e primati non umani, come mostrano Gardenfors e Lombard. Tuttavia, lo sviluppo della comprensione di cause astratte, non direttamente percepibili, e la capacità di simulare mentalmente eventi futuri, sembra aver avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione del genere Homo. E la spiegazione, o una parte di essa, risiederebbe nell’articolato rapporto fra evoluzione biologica e culturale: un’avanzata tecnologia avrebbe portato allo sviluppo di complesse capacità cognitive che a loro volta avrebbero causato ulteriori sviluppi nella cultura materiale.
Gli autori forniscono tre generi di evidenze a supporto della loro tesi. Dapprima notano come fra l’uomo e gli altri primati non umani vi siano differenze considerevoli nel grado raggiunto nella comprensione dei nessi causali; in seguito discutono i dati derivanti da studi neuro-fisiologici sull’uomo, che indica una particolare predisposizione a ragionare per cause astratte e ad associarle a determinate forze, siano esse di origine chimica, fisica o biologica; in ultimo analizzano le capacità che i cacciatori del Paleolitico Superiore avrebbero richiesto per sviluppare nuove tecnologie e per mettere a punto elaborate strategie di caccia.
La cifra caratteristica di Homo sapiens sembra essere la capacità di formare detached representations, rappresentazioni ‘distaccate’, e utilizzarle in complessi ragionamenti astratti. In altre parole, mentre la gran parte degli animali reagisce agli stimoli esterni quasi immediatamente, la nostra specie è in grado di astrarre da particolari contesti spazio-temporali così da creare simulazioni e progettare azioni future rimanendo nel presente. Nonostante le scimmie antropomorfe abbiano un elevato grado di cognizione causale che a volte fanno uso di rappresentazioni distaccate, nell’uomo sembra aver raggiunto livelli senza precedenti.
È ovvio, ma conviene ricordarlo, che in una prospettiva evolutiva l’uomo non è l’apice di un processo predeterminato né lineare. L’evoluzione è per molti aspetti imprevedibile è nulla impedisce che in futuro altre specie possano evolvere gradi di cognizione causale eguali o superiori al nostro. Detto questo, cosa ha causato nell’uomo un così alto grado di cognizione causale? A tal proposito è necessario rivolgersi alla storia evolutiva dell’uomo.
Dalle prime evidenze archeologiche certe di strumenti litici risalenti a 2.6 milioni di anni fa (recenti scoperte hanno esteso questo periodo di 700 mila anni (Pikaia ne ha parlato qui), il genere Homo ha avuto uno stretto rapporto con la cultura materiale. Le successive industrie litiche sono testimoni di importanti cambiamenti a livello cognitivo e fisico. In particolare, l’uomo si differenzia dagli altri animali sotto differenti aspetti per quanto riguarda l’uso di tecnologia: questi ultimi non usano strumenti per produrre altri strumenti o cooperano nella loro realizzazione; si servono solamente della propria energia fisica e della forza gravitazionale per utilizzarli; e, in ultimo, oltre alle scimmie antropomorfe gli animali non umani raramente utilizzano più strumenti in combinazione per risolvere singoli problemi. Su questo punto è importante soffermarsi. L’uomo sovente fa uso di strumenti diversi per risolvere lo stesso problema o di strumenti simili per risolvere problemi simili. Homo sapiens è dunque in grado di astrarre da situazioni particolari e di comprendere gli utilizzi potenziali di una varietà di strumenti, la forza che generano e di predirne il risultato. Inoltre, gli individui della nostra specie sono particolarmente abili nel percepire il proprio corpo come altro da sé e ciò permette, attraverso le rappresentazioni distaccate, di costruire elaborati scenari mentali.
Immaginiamoci protagonisti di una scena di caccia che stiamo programmando, dotati di arco e freccia. Per avere successo, oltre ad una conoscenza della fisiologia ed etologia dell’animale in questione, è necessario essere in grado di poter immaginare sé stessi in un contesto spazio-temporale futuro diverso da quello immediato, attraverso cui poter simulare le proprie azioni e quelle della preda. L’evoluzione del ragionamento causale sembra anche collegata alla capacità, propria dell’uomo, di inferire le proprietà degli oggetti comprendendone la loro azione in contesti futuri. Nel caso di punte di freccia avvelenate, ad esempio, bisogna sì comprendere le proprietà del veleno, ma anche l’effetto che esso avrà sull’animale in periodi di tempo prolungati ed essere in grado di inferire le proprietà del veleno dagli effetti, ad esempio dal comportamento animale. Inoltre, nell’utilizzo di complesse tecnologie è necessario sia comprendere la forza e gli effetti che avrà il proiettile una volta separato dal proiciente, sia essere in grado di avere cognizione delle conseguenze che ha l’energia ritenuta durante la tensione di un arco o un altro strumento che richiede la conservazione di energia – e dunque la necessità di inibire lo stimolo ad agire immediatamente.
L’evoluzione culturale che si è accompagnata al genere Homo ha permesso notevoli cambiamenti nell’interazione fra individuo e realtà esterna. La tecnologia ha permesso di estendere i confini dello spazio peri-personale, individuale, per interagire nello spazio e nel tempo con realtà non presenti nell’immediato. Tecnologia e sviluppo cognitivo si sono così influenzati reciprocamente, permettendo l’elevato grado di conoscenza e sviluppo di tecnologie che, in poche migliaia di anni, hanno raggiunto una complessità ineguagliata nel mondo animale.
Riferimenti:
Gardenfors, P. e Lombard, M. (2020), Technology led to more abstract reasoning, Biology&Philosophy, 35(40): 1-23
Immagine: Garfinkel Yosef – Originally uploaded by Yaels (Transferred by Matanya) / CC BY-SA, via Wikimedia Commons
Consegue la laurea triennale in Antropologia evoluzionistica presso l’Università di Liverpool (2020) e magistrale in Filosofia della biologia e delle scienze cognitive presso l’Università di Bristol (2021). Interessato alla storia delle idee, con particolare riferimento a Darwin, si avvicina alla storia della filosofia, su tutte quella medievale e moderna