I grandi numeri del T. rex: quanti ne sono esistiti?
Se esplorassimo il Nord America di fine Cretaceo potremmo trovare, o farci trovare da, circa 20000 Tyrannosaurus rex. Nel corso di 127000 generazioni, vissero 2 miliardi e mezzo di esemplari.
Poco importa che i dinosauri siano esistiti, ed esistano ancora, in molteplici forme e dimensioni: quando pensiamo “dinosauro”, pensiamo in grande. È difficile non sentirsi piccoli guardando nelle fauci di un teropode dal basso in alto; spesso, però, ci sfugge la portata della loro esistenza sul nostro pianeta. I dinosauri colonizzarono tutte le terre emerse, fino agli attuali circoli polari, e occuparono la Terra per 170 milioni di anni circa.
Ma quanti dinosauri, in effetti, popolavano questo mondo? Charles Marshall, paleobiologo e direttore del University of California Museum of Paleontology, ha provato a rispondere a questa domanda con alcuni dei suoi studenti. Lo studio, pubblicato lo scorso 16 aprile su Science, combina i dati provenienti dai fossili con relazioni ecologiche studiate negli animali attuali, per stimare l’abbondanza di una delle specie di dinosauro meglio conosciute, sia dalla scienza che dal grande pubblico: il Tyrannosaurus rex.
Numeri dai fossili
Da dove viene questa conoscenza? I fossili di tirannosauro, se si esclude la parte sommersa di frammenti in mano ai collezionisti, consistono di 32 esemplari adulti. Molti di questi hanno visto la luce nella Hell Creek Formation, luogo del ritrovamento di innumerevoli fossili di dinosauro e non. Fu proprio lì che, nel 1902, il paleontologo e cacciatore di fossili Barnum Brown (per gli amici, Mr. Bones) trovò i primi resti a ricevere il nome di Tyrannosaurus rex.
Dei T. rex che vissero in quella zona, avremmo trovato le ossa di 1 individuo su 16000 secondo Marshall e colleghi. Se, tuttavia, parliamo di tutti i T. rex esistiti, avremmo dissotterrato soltanto 1 animale su 80 milioni. Il gruppo stima che in totale ne siano vissuti 2 miliardi e mezzo, passatisi la corona per 127000 generazioni nel corso di 2 milioni e mezzo di anni. Parafrasando Marshall e colleghi, se esplorassimo il Nord America di fine Cretaceo potremmo trovare, o farci trovare da, circa 20000 Tyrannosaurus rex; questo è il numero di individui adulti che si stima vivessero in un dato momento (tutti i dati, come vedremo in seguito, hanno un ampio margine di incertezza, e sono riportati come mediana del proprio intervallo).
Come si è arrivati a questi numeri? La chiave sta nel lavoro dell’ecologo e biologo evoluzionista John Damuth, che dal 1981 descrisse una regola valida per gran parte degli animali terrestri. Questa relazione, conosciuta come legge di Damuth, stabilisce che maggiore è la massa di un animale, minore è la densità della sua popolazione. È logico, se pensiamo che ogni animale dipende dalle risorse presenti sul suo territorio: una certa quantità di noccioline può sostenere un certo numero di scoiattoli, ma un numero molto diverso di elefanti. Nel caso del T. rex, per cui si è stimata una massa media di 5200 kg, il gruppo ha calcolato una densità di popolazione di 0,0091 individui per chilometro quadrato. Per chiarirci, la provincia di Milano (se avesse un ecosistema adatto) potrebbe ospitare più o meno 14 Tyrannosaurus rex.
La biologia del tiranno
La relazione, però, non è semplice come sembra. Il margine di errore per i dati sulla popolazione dei T. rex è di almeno due ordini di grandezza. Il motivo di questa incertezza è che la densità di popolazione, da cui si sono ricavati gli altri dati, dipende anche da fattori quali ecologia e metabolismo dell’animale. Sul ruolo del T. rex nel proprio ambiente possiamo solo fare teorie.
Si pensa che gli adulti si cibassero, a seconda delle opportunità, di prede vive o di carcasse; il suo morso era talmente forte da riuscire a rompere le ossa, così da potersi cibare del midollo all’interno come fanno le iene oggi. Si ipotizza che i giovani avessero diverse abitudini e che occupassero un’altra nicchia ecologica, motivo per il quale lo studio ha considerato soltanto individui adulti. Ma anche il metabolismo è importante, perché in generale più è alto, più l’animale deve mangiare.
Già Richard Owen speculava, nel rapporto in cui diede ai dinosauri il loro nome, che questi animali fossero a sangue caldo; oggi, il pensiero dominante è che avesse ragione, per indizi di metabolismo elevato come il numero di vasi sanguigni nelle ossa, l’elevato grado di crescita e di rimodellamento delle stesse. Le penne che oggi vediamo negli uccelli si sono evolute nei dinosauri, forse, proprio per conservare il calore generato dal metabolismo elevato. I dinosauri, però, non erano tutti uguali, e neppure i loro metabolismi; per il T. rex, Marshall e colleghi hanno abbracciato l’ipotesi che fosse a metà tra gli animali propriamente a sangue caldo e quelli a sangue freddo, condizione detta di mesotermia.
Per questo, hanno utilizzato nei calcoli una fisiologia intermedia tra mammiferi predatori e varani di Komodo. In futuro, le tecniche usate per il T. rex si potranno usare per altre specie estinte. Questo studio, e gli altri che lo seguiranno, potrebbero darci un nuovo panorama sul passato del nostro pianeta, e sugli animali che lo popolavano.
Riferimenti: Marshall, Charles R., et al. “Absolute abundance and preservation rate of Tyrannosaurus rex.” Science, vol. 372, no. 6539, 16 Apr. 2021, pp. 284-7, doi:10.1126/science.abc8300.
Immagine in apertura: Julius Csotonyi, via Science magazine.
Ho un master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara, e ho scritto per le riviste online Il Tascabile e Agenda17, oltre che per Pikaia. Sono medico e lavoro come specializzando in Genetica medica con l’Università di Pavia. Scrivo anche narrativa, e ho pubblicato due racconti nelle raccolte dei concorsi Caratteri di uomo e di donna del 2018 e Oltre il velo del reale del 2022.