Il cervello dei primi primati
Su PNAS, la ricostruzione virtuale del cervello di un primate risalente a circa 55 milioni, grazie a un cranio perfettamente conservato
La rivista PNAS pubblica un interessante articolo che descrive la ricostruzione virtuale del cervello di una specie risalente a circa 55 milioni di anni fa, battezzata Ignacius graybullianus. Questa specie appartiene al gruppo dei plesiadapiformi, organismi vissuti alcuni milioni di anni dopo l’estinzione dei dinosauri, la cui collocazione filogenetica è tutt’ora incerta. Alcuni, infatti, li inseriscono nell’ordine dei primati (tra cui gli autori dell’articolo. Da qui si accede ad un articolo del 2004 del medesimo gruppo di ricerca), mentre altri sostengono che costituiscano un ordine a parte, quello dei Plesiadapiformes. Tutti, però, sono d’accordo nell’asserire che i plesiadapiformi ci possono fornire importanti informazioni sui primi stadi dell’evoluzione dei primati, sebbene rappresentino un tentativo di colonizzazione dell’ambiente arboricolo che sembra fallito, nonostante la sopravvivenza per decine di milioni di anni.
La ricostruzione dell’encefalo è stata possibile grazie al ritrovamento della quasi totalità del cranio, di dimesioni inferiori ai 5 cm, e all’utilizzo della tomografia computerizzata ai raggi X. Ignacius graybullianus presenta un lobo olfattivo molto pronunciato in relazione al volume totale del cervello, al contrario di quello temporale che sembra ancora poco sviluppato. E’ possibile, dunque, che questi animali utilizzassero prevalentemente l’olfatto piuttosto che la vista nelle attività di foraggiamento ed elusione dei predatori. Questa caratteristica li differenzia notevolmente dai primati attuali (soprattutto le aplorrine) che, invece, presentano un sistema visivo estremamente sviluppato.
La dimensione complessiva del cervello e il quoziente di encefalizzazione (QE) calcolati per Ignacius graybullianus risultano, in media, superiori a quelli dei mammiferi “arcaici” e di altri plesiadapiformi come Plesiadapis cookei, ma inferiori a quelli di quasi tutti gli euprimati estinti ed esistenti. Questo sembra suggerire che la dimensione relativa del cervello dei plesiadapiformi sia conforme alle attese, ovvero in linea con quella di organismi alla base della linea filetica che ha dato origine ai primati. Il QE di questi organismi risulta, inoltre, inferiore a quello degli odierni euarconti, il clade che comprende, oltre plesiadapiformi e primati, anche dermotteri (i lemuri volanti) e scandenti (le tupaie).
A partire da queste informazioni, combinate con le abitudini presunte della specie in questione, i ricercatori hanno successivamente formulato alcune ipotesi sull’evoluzione delle strutture cerebrali nei primati. Queste vanno considerate con molta cautela, dato che i plesiadapiformi rappresentano un tentavio evolutivo fallito, non avendo lasciato discendenti fino ai giorni nostri. Ignacius graybullianus era una specie arboricola che aveva una dieta prevalentemente frugivora: date le limitate dimensioni del cervello di questi animali, è difficile che il processo di encefalizzazione che ha caratterizzato l’ordine dei primati sia legato allo sfruttamento degli alberi come habitat e a quello della frutta come principale fonte di cibo, due ipotesi che erano state proposte e caldeggiate in passato. Sembra invece più probabile, concludono i ricercatori, che nell’incremento delle dimensioni del cervello siano stati coinvolti il passaggio ad una dieta altamente calorica, condizione necessaria per lo sviluppo di un grande encefalo, e il potenziamento del sistema visivo (che potrebbere essere stato incentivato, questo sì, dal consumo di frutta nelle ore diurne), carente nei plesiadapiformi, e delle strutture neurali ad esso connesso.
Andrea Romano
Riferimenti:
Mary T. Silcox, Claire K. Dalmyn, Jonathan I. Bloch. Virtual endocast of Ignacius graybullianus (Paromomyidae, Primates) and brain evolution in early primates. PNAS published online before print June 22, 2009, doi:10.1073/pnas.0812140106
La ricostruzione dell’encefalo è stata possibile grazie al ritrovamento della quasi totalità del cranio, di dimesioni inferiori ai 5 cm, e all’utilizzo della tomografia computerizzata ai raggi X. Ignacius graybullianus presenta un lobo olfattivo molto pronunciato in relazione al volume totale del cervello, al contrario di quello temporale che sembra ancora poco sviluppato. E’ possibile, dunque, che questi animali utilizzassero prevalentemente l’olfatto piuttosto che la vista nelle attività di foraggiamento ed elusione dei predatori. Questa caratteristica li differenzia notevolmente dai primati attuali (soprattutto le aplorrine) che, invece, presentano un sistema visivo estremamente sviluppato.
La dimensione complessiva del cervello e il quoziente di encefalizzazione (QE) calcolati per Ignacius graybullianus risultano, in media, superiori a quelli dei mammiferi “arcaici” e di altri plesiadapiformi come Plesiadapis cookei, ma inferiori a quelli di quasi tutti gli euprimati estinti ed esistenti. Questo sembra suggerire che la dimensione relativa del cervello dei plesiadapiformi sia conforme alle attese, ovvero in linea con quella di organismi alla base della linea filetica che ha dato origine ai primati. Il QE di questi organismi risulta, inoltre, inferiore a quello degli odierni euarconti, il clade che comprende, oltre plesiadapiformi e primati, anche dermotteri (i lemuri volanti) e scandenti (le tupaie).
A partire da queste informazioni, combinate con le abitudini presunte della specie in questione, i ricercatori hanno successivamente formulato alcune ipotesi sull’evoluzione delle strutture cerebrali nei primati. Queste vanno considerate con molta cautela, dato che i plesiadapiformi rappresentano un tentavio evolutivo fallito, non avendo lasciato discendenti fino ai giorni nostri. Ignacius graybullianus era una specie arboricola che aveva una dieta prevalentemente frugivora: date le limitate dimensioni del cervello di questi animali, è difficile che il processo di encefalizzazione che ha caratterizzato l’ordine dei primati sia legato allo sfruttamento degli alberi come habitat e a quello della frutta come principale fonte di cibo, due ipotesi che erano state proposte e caldeggiate in passato. Sembra invece più probabile, concludono i ricercatori, che nell’incremento delle dimensioni del cervello siano stati coinvolti il passaggio ad una dieta altamente calorica, condizione necessaria per lo sviluppo di un grande encefalo, e il potenziamento del sistema visivo (che potrebbere essere stato incentivato, questo sì, dal consumo di frutta nelle ore diurne), carente nei plesiadapiformi, e delle strutture neurali ad esso connesso.
Andrea Romano
Riferimenti:
Mary T. Silcox, Claire K. Dalmyn, Jonathan I. Bloch. Virtual endocast of Ignacius graybullianus (Paromomyidae, Primates) and brain evolution in early primates. PNAS published online before print June 22, 2009, doi:10.1073/pnas.0812140106
Ecologo e docente di Etologia e Comportamento Animale presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università di Milano. Ha scritto di animali ed evoluzione su Le Scienze, Mente e Cervello, Oggiscienza e Focus D&R . Collabora con Pikaia, di cui è stato caporedattore dal lontano 2007 al 2020.