Il cervello del delfino per capire la plasticità cerebrale umana

Dark Dolphin

La possibilità di generare nuovi neuroni nel cervello affascina la scienza da almeno due decenni, nella speranza di curare i disordini neurologici o quantomeno di invecchiare meglio. Uno studio condotto sul cervello dei delfini risolve un dubbio sull’evoluzione di questo tipo di plasticità

Da circa vent’anni sappiamo che alcune aree del cervello dei mammiferi, uomo compreso, generano nuovi neuroni anche nell’individuo adulto. Lo sforzo congiunto di numerosi laboratori ha cercato di sfruttare questa “neurogenesi adulta” per riparare i danni cerebrali, ma i processi rigenerativi sembrano scomparsi dal nostro cervello a causa di scelte evolutive. Il nostro laboratorio ha formulato l’ipotesi che la plasticità neurogenica sia legata esclusivamente a funzioni fisiologiche, come la memoria e l’apprendimento, al fine di adattarsi all’ambiente. Inoltre, da tempo sottolineiamo quanto il ruolo della neurogenesi possa essere diverso in specie lontane come il topo e l’uomo. Negli animali da laboratorio la zona cerebrale più attiva sotto questo profilo fornisce nuovi neuroni al bulbo olfattivo: l’area cerebrale che percepisce gli odori ed è legata alla sopravvivenza dell’animale (ricerca del cibo, percezione dei predatori e sfera riproduttiva). Nell’uomo l’olfatto è diventato meno importante per la sopravvivenza, e questa regione è meno attiva. L’idea corrente, non dimostrata, è che la neurogenesi adulta diminuisca in mammiferi con cervello di maggiori dimensioni e aspettativa di vita lunga (come noi).

Per risolvere l’enigma è stato studiata la stessa regione cerebrale nei delfini, sapendo che questi mammiferi acquatici hanno cervello grande, vivono a lungo e non hanno olfatto (l’hanno perso 40 milioni di anni fa, sostituendolo con l’eco-localizzazione). Lo studio è stato possibile grazie alla collaborazione con una banca di tessuti dell’Università di Padova (Mediterranean Marine Mammal Tissue Bank, diretta da Bruno Cozzi, docente di anatomia veterinaria) che ha messo a disposizione ben 10 cervelli di due specie di delfino: Tursiops truncatus e Stenella coeruloalba. Il lavoro di ricerca è durato 4 anni, è stato svolto da Roberta Parolisi, dottoranda in Scienze Veterinarie al NICO (Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi) e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista Brain Structure and Function. Sono state analizzate 12.000 fettine di cervelli appartenenti a individui neonati e adulti, arrivando a capire che la regione esiste, ma non produce neuroni, un fenomeno mai osservato in altre specie animali. L’assenza (fin dalla nascita!) di neurogenesi adulta nei delfini dimostra che essa è indissolubilmente legata all’esistenza della funzione olfattiva. Ma la persistenza di un residuo vestigiale della regione originaria (l’antenato dei delfini attuali era un mammifero terrestre anch’esso dotato di olfatto, poi passato all’ambiente acquatico) indica una progressiva perdita delle capacità neurogeniche nel corso dell’evoluzione, confermando la tendenza ipotizzata nell’uomo. Questi risultati non escludono che la ricerca possa riuscire, un giorno, a modulare a scopo terapeutico i residui di attività neurogenica rimanenti nell’uomo, ma chiariscono un dubbio che ha assillato un’intera generazione di neuroscienziati e confermano il fascino di una linea di ricerca che continua a riservare sempre nuove sorprese.

Da Frida, il Forum dell Ricerca dell’Università di Torino


Riferimenti:
Roberta Parolisi, Bruno Cozzi, Luca Bonfanti. Non-neurogenic SVZ-like niche in dolphins, mammals devoid of olfaction. Brain Struct Funct (2017). doi:10.1007/s00429-016-1361-3

Immagine: By claudia14 [CC0 or CC0], via Wikimedia Commons