Il Megalodonte non mangiava (solo) balene: lo rivelano i suoi denti

The model of a megalodon can be seen in the Linz Castle Museum in Austria, for example. Credit OÖ Landes-Kultur GmbH

Super carnivoro opportunista, il Megalodon si nutriva di qualsiasi preda e condivideva il territorio con altre specie

Con i suoi 20-24 metri di lunghezza, denti grandi come una mano e un fabbisogno energetico stimato in circa 100.000 kcal al giorno, il Megalodonte (Otodus megalodon) è stato a lungo considerato il predatore supremo degli oceani preistorici. Dai segni dei suoi denti sulle vertebre di balene sappiamo che facevano parte della sua dieta, ma un nuovo studio pubblicato su Earth and Planetary Science Letters (McCormack et al., 2025) ne ridisegna il profilo ecologico: il Megalodonte era un predatore apicale, ma con una dieta più flessibile e meno specializzata del previsto.

Lo zinco nei denti racconta la rete alimentare

Il team di ricerca ha analizzato 209 denti fossili risalenti al Miocene inferiore (circa 20–16 milioni di anni fa), provenienti da due località nel sud della Germania: Sigmaringen e Passau. Gli esemplari appartengono a 19 specie marine, oltre a due terrestri. L’obiettivo: ricostruire la rete trofica dell’epoca grazie al rapporto tra isotopi dello zinco (Zn‑66/Zn‑64) conservati nello smalto dentale.

Il metodo si basa su un principio ben testato: i valori dell’isotopo pesante dello zinco (δ⁶⁶Zn) tendono a decrescere salendo nella catena alimentare. I predatori che consumano altri carnivori mostrano valori isotopici più bassi rispetto a chi si nutre di prede erbivore o a basso livello trofico.

Per “tarare” il metodo, sono stati inclusi anche due erbivori terrestri, un rinoceronte (Rhinocerotidae indet.) e un piccolo ungulato (Tragulidae indet.), che hanno restituito i valori isotopici più alti del campione, come previsto per animali strettamente erbivori.

Il Megalodonte: apicale, ma non esclusivamente cetofago

I denti del Megalodonte, come quelli del suo stretto parente Otodus chubutensis mostrano valori δ⁶⁶Zn coerenti con un ruolo da predatore apicale, ma con ampia variabilità tra individui e tra siti (popolazioni). Già questo suggerisce che la dieta di questo grande squalo non fosse rigidamente specializzata, ma piuttosto opportunistica.

In particolare, i valori isotopici non sono compatibili con una dieta che si basava esclusivamente su grandi mammiferi marini, come le balene, nelle posizioni più alte della piramide alimentare. I dati indicano una strategia alimentare più ampia, simile a quella degli squali attuali, che alternano prede di diversi livelli trofici a seconda della disponibilità.

Predatori diversi, ruoli simili

Oltre al Megalodonte, lo studio ha incluso anche altri squali fossili del Miocene, come Araloselachus cuspidatus e Carcharoides catticus, che mostrano valori isotopici vicini a quelli del Megalodonte, almeno nella località di Sigmaringen. Ciò suggerisce sovrapposizioni trofiche parziali: più specie potevano occupare livelli simili nella rete alimentare, cioè mangiare le stesse cose, pur differenziandosi per dimensioni, morfologia dentale e comportamento.

Uno degli aspetti più notevoli dello studio è il confronto con squali moderni, tra cui il grande squalo bianco (Carcharodon carcharias) e il mako (Isurus oxyrinchus). I risultati mostrano che la struttura della rete trofica marina del Miocene inferiore era sorprendentemente simile a quella attuale. I valori isotopici degli squali fossili non sono più bassi (cioè non occupano livelli trofici più estremi) di quelli delle specie moderne: la catena alimentare aveva la stessa lunghezza.

Un predatore di vertice, ma non eccezionale

Il quadro che emerge è quello di un Megalodonte che, pur essendo uno dei massimi predatori del suo tempo, non era ecologicamente fuori scala né isolato. Non dominava un oceano privo di competitori, ma partecipava a un ecosistema diversificato, con altri predatori marini (non necessariamente giganti) che condividevano, almeno in parte, la sua nicchia alimentare.

La sua flessibilità potrebbe aver costituito un vantaggio ecologico, ma non fu sufficiente a evitare l’estinzione, avvenuta circa 3,6 milioni di anni fa. Secondo gli autori, è possibile che sia entrato in competizione con squali più piccoli e agili, tra cui lo squalo bianco (erroneamente considerato “imparentato” con Megalodon).

Immagine in apertura: modello di megalodon esposto al Linz Castle Museum in Austria. Credit:OÖ Landes-Kultur GmbH via Eurekalert.