La corsa agli armamenti contro Klebsiella: un anticorpo svela la strategia per vincere l’evoluzione della resistenza

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Uno studio pubblicato su Nature da un team di ricerca italiano identifica un potenziale farmaco contro un ceppo batterico ipervirulento e resistente a tutti gli antibiotici.

La resistenza ai farmaci antimicrobici, tra cui gli antibiotici, è una delle principali minacce sanitarie globali e un chiaro esempio di evoluzione in azione. In questa continua competizione tra noi e i patogeni, batteri come Klebsiella pneumoniae acquisiscono rapidamente nuove difese, rendendo inefficaci gli antibiotici a disposizione. Un gruppo di ricerca italiano ha ora identificato degli anticorpi monoclonali (cioè copie identiche, prodotte in laboratorio, di un anticorpo particolarmente efficace) che potrebbero aprire la strada a nuovi approcci terapeutici, sfruttando le armi affinate dal nostro stesso sistema immunitario.

L’evoluzione di un patogeno ad alto rischio

L’oggetto dello studio, appena pubblicato su Nature, è un ceppo del batterio Klebsiella pneumoniae noto come ST147. In questo ceppo si osserva la fusione di due percorsi evolutivi che storicamente erano separati: l’ipervirulenza, che lo rende eccezionalmente aggressivo, e la multi-resistenza ai farmaci. Mentre i ceppi classici erano o molto virulenti o molto resistenti, il clone ST147 ha acquisito frammenti di DNA mobili, chiamati plasmidi, che gli hanno conferito entrambe le caratteristiche. È dotato sia di geni per la virulenza, sia di geni che producono enzimi capaci di distruggere gli antibiotici di ultima linea.

Questo batterio, responsabile di un’epidemia ospedaliera in Toscana dal 2018, è in alcuni casi pandrug-resistente, cioè resistente a quasi tutti i farmaci disponibili, lasciando i medici senza opzioni di cura.

Imparare dalla risposta immunitaria

Per trovare una contromisura, i ricercatori hanno studiato la risposta immunitaria di chi era riuscito a sconfiggere l’infezione. Hanno quindi isolato le cellule B della memoria, cioè le cellule del sistema immunitario che conservano il “ricordo” di un’infezione passata, dal sangue di pazienti guariti. Utilizzando un approccio “agnostico”, ovvero senza cercare un bersaglio specifico sul batterio, hanno identificato gli anticorpi naturali che si erano rivelati vincenti. Questi anticorpi sono stati successivamente ingegnerizzati in laboratorio dal team del microbiologo Rino Rappuoli, direttore scientifico della Fondazione Biotecnopolo di Siena.

L’analisi ha rivelato che la risposta immunitaria attraverso gli anticorpi si era concentrata su due strutture della superficie batterica. Il primo bersaglio è la capsula di tipo KL64, una sorta di scudo protettivo più esterno composto da zuccheri che avvolge l’intera cellula batterica. La capsula è un noto fattore di virulenza che aiuta il batterio a nascondersi e a resistere al sistema immunitario dell’ospite. Il secondo bersaglio è l’O-antigene, un’altra molecola, sempre a base di zuccheri, che fa parte della parete cellulare del batterio e quindi si trova in una posizione più interna, protetta dalla capsula. In laboratorio, entrambi i tipi di anticorpi si sono dimostrati capaci di uccidere i batteri a concentrazioni minime.

I test in vivo

Nonostante la simile capacità di uccidere i batteri in provetta, solo gli anticorpi diretti contro la capsula esterna si sono rivelati protettivi in un’infezione reale nei modelli animali, mentre quelli diretti contro l’O-antigene, non hanno mostrato alcuna efficacia.

Gli anticorpi efficaci si sono dimostrati “poli-funzionali”, un termine usato dagli autori per descrivere una loro duplice capacità. Primo, promuovono la fagocitosi: etichettano il batterio e ne facilitano la cattura e la distruzione da parte dei macrofagi, le “cellule spazzine” del nostro sistema immunitario. Secondo, inducono una “crescita incatenata”: a contatto con questi anticorpi, i batteri dopo essersi divisi non riescono a separarsi, formando aggregati che ne limitano la diffusione nell’organismo.

Implicazioni e prospettive future

Dal punto di vista evolutivo, lo studio identifica la capsula KL64 come un bersaglio primario. Si tratta di un fattore di virulenza, un’arma fondamentale che il batterio usa per causare l’infezione, e la sua crescente diffusione a livello globale indica che conferisce un notevole vantaggio selettivo. L’anticorpo candidato, chiamato 08O09, potrebbe quindi diventare la base per lo sviluppo di un farmaco mirato. Sebbene la sua applicazione clinica sarà limitata ai batteri con questo specifico tipo di capsula (sierotipo KL64), lo studio fornisce un modello prezioso per identificare le caratteristiche immunitarie vincenti e selezionare futuri farmaci contro altri batteri resistenti.

Questo risultato – ha sottolineato Marco Falcone, professore di malattie infettive dell’Università di Pisa – conferma l’eccellenza della ricerca toscana sulle infezioni da patogeni multiresistenti e apre scenari concreti per nuove strategie terapeutiche. In futuro questi anticorpi potrebbero essere utilizzati sia per la profilassi dei pazienti fragili colonizzati dal batterio, sia come supporto terapeutico nelle infezioni gravi”.

Riferimenti:

Roscioli, E., Fonseca, V. Z. G., Bosch, S. S., Paciello, I., Maccari, G., Cardinali, G., Batani, G., Stazzoni, S., Tiseo, G., Giordano, C., Yuwei, S., Capoccia, L., Cardamone, D., Ridelfi, M., Troisi, M., Manganaro, N., Mugnaini, C., Santi, C. D., Ciabattini, A., … Rappuoli, R. (2025). Monoclonal antibodies protect against pandrug-resistant Klebsiella pneumoniae. Nature, 1–10. https://doi.org/10.1038/s41586-025-09391-3

Fonte: comunicato stampa UNIPI

Immagine: Micrografia elettronica a scansione colorizzata che mostra Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi mentre interagisce con un neutrofilo umano. Attribution: NIAIDCC BY 2.0, via Wikimedia Commons