L’ “Ipotesi sinergica” a vent’anni dalla teoria delle transizioni evolutive

Rubik

A vent’anni dalla pubblicazione del saggio “The major transitions in evolution” di J.Maynard Smith e E. Szathmáry, l’‘ipotesi sinergica’, come plausibile teoria darwiniana dell’evoluzione della complessità, torna in primo piano. Si stabilisce un ponte tra la cornice selezionista e il ruolo causale di sinergie funzionali tra apparati e specie che consentono l’emersione di cooperazione nel tempo

In occasione dei 20 anni dalla pubblicazione del saggio The Major Transition in Evolution (1995) dei biologi John Maynard-Smith e Eörs Szathmáry, l’Università del Messico ha organizzato dal 23 al 25 marzo scorso un convegno sullo stato dell’arte di questo orientamento darwiniano. Si tratta di un aggiornamento sulle transizioni fondamentali dell’evoluzione alla luce delle nuove scoperte microbiologiche e genetiche della vita. Ricostruiamone le premesse.

Ormai è un fatto: il materiale variazionale su cui agisce la selezione naturale è molto più esteso di quanto potessimo pensare solo qualche decennio fa. Ne è fucina sperimentale la comprensione della dimensione funzionale e strutturale del materiale genetico, ma ne è già eloquente indicatore teorico la comprensione di un’azione multi-livello della selezione naturale che, cioè, non sia centrata su una sola unità del processo evolutivo, come individuo,  gene o specie, ma agisca su tutti questi diversi livelli, a loro volta generatori di variabilità. Da questa prospettiva, rintracciabile già nel modello gerarchico proposto dai paleontologi S.J. Gould e E. Vrba (1986), la visione progressiva e unilineare dell’evoluzione perde nitidezza, mentre un altro ordine di messa a fuoco si impone. Se, infatti, i livelli su cui agisce la selezione sono interagenti e interconnessi dall’alto e dal basso, dal gene all’ecosistema e viceversa, non sarà possibile – posta l’attenzione sul controllo selettivo di una sola unità – prevederne un percorso determinato. Al contrario, tale unità sarà implicata, più o meno attivamente, nel cambiamento globale non più predicibile che riguarda tutti i livelli integrati. Si tratta di una inquadratura allargata dove il dibattito sui luoghi di azione della selezione è in primo piano. Unità, livelli e transizioni sono i passaggi teorici con cui si cerca di dar volto al mutamento. Dapprima lo sguardo è su gene, individuo o specie in quanto unità che varia, si riproduce e trasmette alla discendenza la sua fitness adattativa (Lewontin, 1970); poi, l’ottica si sposta sui livelli di inclusione ascendente, dal genoma all’ecosistema, il cui tasso differenziale di riproduzione e successo evolutivo sono effetti emergenti dell’interazione tra livelli (Gould, Vrba, 1986); infine, l’otturatore cattura in tempi lunghi le transizioni, ovvero i passaggi da un’unità non più autonoma, cioè non in grado di replicarsi autonomamente, ad un’altra composita e sinergica, come accade nella transizione da alcune cellule procariote a quelle eucariote.

Iniziata nella seconda metà del secolo scorso, questa riflessione critica richiede aggiornamenti continui alla luce delle sempre più estese conoscenze genetiche ed ecologiche che mutano i concetti stessi di unità, livello e transizione. Ad esempio, che cos’è il gene? Si tratta di un’unità autonoma? Non manca chi, come la biologa e filosofa della scienza Evelyn Fox Keller, proprio in occasione del convegno messicano, sostiene con forza che l’attenzione epistemologica non può più centrarsi sul gene ma sul ‘sistema reattivo’ costituito dal materiale ereditario in interazione con sé e l’esterno, destituendo l’unità-gene dall’osservatorio privilegiato del mutamento.

Quello che risulta sempre più problematico è cogliere i contorni di ciò che evolve ora come prodotto ora come processo o, altrimenti detto, catturare ciò che, mutando, si ricompone in qualcosa di più complesso.

La scommessa teorica dei biologi John Maynard-Smith e Eörs Szathmáry nel loro lavoro The major transitions in evolution (1995) affrontava il problema. Si cercava di cogliere nel metabolismo e nel controllo dell’informazione le basi per l’esistenza funzionale della vita e, allo stesso tempo, si monitorava l’emersione del ruolo svolto dalla riproduzione e dall’ereditarietà come premessa per l’evoluzione dei sistemi funzionali stessi. Si trattava di mettere insieme una ‘think-view’, una visione per così dire ‘cosale’ dell’unità e una ‘process-view’, una prospettiva sul cambiamento in corso che non restituisce l’unità per come la si era concepita prima del cambiamento, ma come qualcosa di nuovo e più complesso.

Lo studio convergeva sulla comprensione del perché e del come le unità abdicano alla loro autonomia per divenire parti di un intero nella cui forma solamente esse sono in grado di riprodursi (Okasha, 2006, p. 218). La domanda che scaturiva allora, era: come evolve la complessità?

Senza sottovalutare la presenza di organismi antichissimi ancora viventi come l’equiseto e il fatto che il mondo sia ancora popolato in gran parte da organismi semplici come i batteri, l’idea proposta è che in molti casi la fitness collettiva non dipenda dalla media della fitness delle parti e che l’aumento di complessità, talvolta verificatosi, derivi dai cambiamenti con cui l’informazione è conservata e trasmessa per mantenere la fitness di nuove entità collettive (Maynard Smith, Szathmáry 1995, p. 227). Trasformazioni che implicano una cooperazione tra domini diversi del vivente secondo una selezione multi-livello.  Si costituiscono, così, nuovi piani di organizzazione biologica come quello dai procarioti agli eucarioti, dai replicatori indipendenti agli organismi multicellulari a riproduzione sessuata, dagli individui solitari alle colonie e, infine, da uno stile di vita comunitario tipico dei primati alle società umane dotate di linguaggio. Per esempio, proprio la transizione che ha dato luogo alla formazione del DNA, cruciale per la storia evolutiva della maggior parte degli esseri viventi, è oggetto dell’analisi dei due biologi. A partire dal riconoscimento stereochimico di un gruppo di aminoacidi da parte di molecole semplici di RNA, aminoacidi e peptidi potrebbero aver migliorato il potenziale catalitico delle protocellule di RNA e regolato la permeabilità delle membrane, avviando la strada per la costituzione del DNA. Nella fase ‘RNA-mondo’ si hanno solo replicatori di RNA. Con la comparsa della amminoacitil-tRna sintetasi, processo enzimatico che catalizza reazioni sul singolo aminoacido, compare un nuovo tipo di autocatalisi o replica, in cui tale processo non è più autonomo ma sostenuto da un network collettivo, l’ ‘RNA-DNA mondo’. In questa fase, una cooperazione funzionale e un’azione selettiva tra diversi agenti a livello cellulare, avvia una relazione inedita di conservazione e trasmissione dell’informazione genetica.

Rispetto a questa impostazione, l’aggiornamento della teoria prevede «l’anticipazione dell’origine dei plastidi, l’arretramento del sesso negli eucarioti, e l’inclusione di transizioni limitate» (Szathmáry, 2015, p. 7). Nel convegno tenutosi in Messico, Szathmáry, pur tenendo salde l’evoluzione dei sistemi di informazione e le transizioni dell’individualità, dà rilievo a due termini teorici che descrivono alcuni tipi di transizioni discusse dal biologo Queller (1997): quelle «egalitarie», unione tra individui di specie diverse per economia complessiva e quelle «fraterne», unione di organismi conspecifici che complementano le loro funzioni. Definizioni decisamente troppo antropomorfe che, però, mettono al centro la simbiontologia, la scienza che si occupa delle relazioni di mutuo vantaggio che si instaurano tra viventi. Nella teoria delle transizioni la cooperazione non evolve se non è vantaggiosa e l’azione della selezione naturale a diversi livelli deve poter portare a scelte cooperative quando tali scelte rispondono ad una efficiente divisione del lavoro. Poiché la selezione è cieca e non può prevedere, una transizione non si verifica per la possibilità evolutiva che può aver aperto, ma per cambiamenti molteplici associati che, nell’immediato e in modo irreversibile, si combinano a vantaggio di tutti gli  attori in gioco.  

L’updating della teoria da parte di Szathmáry (2015) non dimentica di fare menzione del fenomeno dell’Horizontal Gene Transfer (HGT), l’acquisizione di tratti genetici di una specie da parte del genoma di un’altra, fenomeno già noto ma studiato con dovizia dal microbiologo Woese (Vetsigian, et al., 2006). Si tratta di una modalità rivoluzionaria di acquisizione di tratti genetici tra specie batteriche, e ora anche tra vertebrati (Crisp et al., 2015), che consiste nell’inserzione di porzioni di DNA di altre specie nel DNA della specie ospite. Tanto l’ipotesi simbiontologica della vita, quanto l’HGT sono stati a lungo posti in competizione con il neo-darwinismo a causa del suo nucleo selettivo e genecentrico. Ad esempio, la biologa Lynn Margulis poteva fare a meno della lotta per l’esistenza nell’ipotesi discussa in Symbiosis in cell evolution (1981), e poteva riecheggiare l’annosa polarizzazione Lamarck-Darwin, attribuendo l’HGT ad un fenomeno «lamarckiano di ereditarietà dei genomi acquisiti» (Margulis, Fester, 1991, p. 10). Al contrario, come nota Poole (2009) – e Szathmáry concorda ­­– siamo in presenza di una selezione multi-livello che ha generato network simbiotici tra parti di Dna di specie diverse, la cui complessiva sintetasi non è più dissociabile. Ecco, dunque, un esempio profondo di transizione egalitaria nella quale è la selezione multi-livello ad aver compattato le sorti.

A vent’anni di distanza dal libro di Maynard-Smith e Szathmáry, l’«ipotesi sinergica», discussa già dallo studioso dei sistemi complessi Peter A. Corning nel 1983, torna prioritaria. La sinergia si riferisce «agli effetti cooperativi e combinati che emergono dalle relazioni e interazioni tra varie forze, particelle, elementi, geni, genomi, parti, individui o gruppi in un dato contesto di effetti che non sono altrimenti sostenibili» (Corning, Szathmáry, 2015, p. 49). Così, i mitocondri, gli organelli tramite i quali avviene la respirazione cellulare, furono probabilmente incorporati da una cellula-ospite più di 1800 milioni di anni fa, quando predati come cibo resistettero alla digestione e fornirono attività funzionale utile in un’atmosfera dal progressivo aumento di ossigeno che, altrimenti, sarebbe divenuto tossico per la cellula ospite. Ciò che avviene è una sorta di «selezione sinergica» che genera «unità interdipendenti del cambiamento evolutivo» (ivi, p. 48). Attraverso tale approccio Szathmáry ritiene di poter individuare transizioni «filiali», quelle che riguardano l’origine di sistemi intrinsecamente gerarchici come il sistema nervoso e quello immunitario (Szathmáry, 2015, p. 7). L’ipotesi sinergica come plausibile teoria darwiniana dell’evoluzione della complessità, stabilisce già ora un ponte tra la cornice selezionista e il ruolo causale di sinergie funzionali che consentono l’emersione di cooperazione dei sistemi viventi nel tempo.

D’altronde, lo stesso Darwin nel profilare la lotta per l’esistenza non mancava di tenere in tensione la ‘reciproca dipendenza degli organismi’ con la ‘competizione per le risorse e il lascito della discendenza’.  In tal modo, interdipendenza e lotta si fondono osservando, ad esempio, che «La vita del vischio è legata al melo e a qualche altro albero, ma soltanto in senso figurato si può dire che che il vischio lotta con con questi alberi, perchè se troppi parassiti si sviluppano sulla stessa pianta, questa languisce e muore. Si può però affermare che quando parecchi virgulti di vischio crescono insieme sullo stesso ramo, essi lottano certamente l’uno contro l’altro». (cap. III cap. Origin tr.it.Bollati Boringhieri, p. 139).



Riferimenti:

– Corning P.A., The Synergism hypothesis: a theory of progressive evolution, McGraw-Hill, New York 1983.
– Corning P.A., Szathmáry E., “Synergistic hypotesis”: a darwinian frame for the evolution of complexity, Journal of theoretical biology, 371, 2015, pp. 45-58
– Crisp A., Boschetti C., Malcolm P., TunnacliffeA., Micklem G.,  Expression of multiple horizzontally acquired genes is a hallmark of both vertebrate and invertebrates genomes, Genome biology, 2015
– Gould S.J., Vrba E., The hierarchical expansion of Sorting and selection: sorting and selection cannot be equated, Paleobiology, 12, 2, 1986, pp. 217-228
– Lewontin R.C., The units of selection, Annual review of ecology and systematics, vol. 1, 1970, pp. 1-18
– Margulis L., Symbiosis in cell evolution, Freeman, New York, 1981
– Margulis L., Fester R. (eds), Symbiosis ads a source of evolutionary innovation: speciation and morphogenesis, MIT Press, Cambridge MA, 1991.
– Maynard-Smith J., Szathmáry E., The major transistion in evolution, Freeman Press, Oxford, 1995
– Okasha S., Evolution and the levels of selection, Oxford university press, Oxford 2006
– Poole A.M., Horizontal gene transfer and the earliest stages of the evolution of life, Research in Microbiology, 160, 7, 2009, pp. 473–480
– Queller D.C., Cooperators since life began, The quarterly review of Biology, 72, 1997, pp. 184–18
– Szathmáry E., Toward a major transitions theory 2.0, Proceedings of the National Academy of  Sciences, 2015
– Vetsigian K, Woese C, Goldenfeld N., Collective evolution and the genetic code, Proceedings of the National Academy of  Sciences, 103, 28, 2006, pp. 10696–10701