La chiave per salvare le anguille? La loro diversità migratoria
Uno studio sulle diversità individuali svela nuove prospettive per la conservazione delle anguille
La vita dell’anguilla europea (Anguilla anguilla) è un viaggio affascinante e non ancora del tutto compreso. Tutto inizia nel Mar dei Sargassi, nell’Atlantico, dove si ritiene che le anguille si riproducano, anche se nessuno ha mai osservato direttamente il processo. Dalle uova emergono larve simili a una foglia, chiamate leptocefali, che sono trasportate dalle correnti oceaniche verso le coste europee. Qui subiscono una metamorfosi diventando cieche (in inglese glass eels – per il loro corpo trasparente) e iniziano a risalire i fiumi per raggiungere gli habitat acqua dolce. Nelle acque interne, attraverso ulteriori trasformazioni, diventano ragani (elvers). Crescendo diventeranno anguille gialle e, raggiunta la maturità sessuale, argentine: è ora il momento di tornare al mare per riprodursi.
Ma oggi non è facile essere un’anguilla. Questi straordinari pesci affrontano crescenti minacce alla loro sopravvivenza. In mare, i bracconieri pescano illegalmente le larve per metterle all’ingrasso o per venderle come primizia; lungo i corsi d’acqua trovano barriere artificiali che impediscono la risalita, oltre a diversi predatori alloctoni.
Ora uno studio recentemente pubblicato su PNAS da ricercatori dell’Università di Ferrara, insieme all’Università di Padova e all’Istituto di biofisica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa (Cnr-Ibf), ha messo in luce un aspetto poco noto ma fondamentale per comprendere e proteggere questi animali straordinari: la diversità individuale nelle loro strategie migratorie.
Tyrone Lucon-Xiccato, professore associato presso l’Università di Ferrara e coordinatore dello studio, racconta:
“Abbiamo osservato differenze sorprendenti tra gli individui, anche se appartengono alla stessa specie e alla stessa popolazione. Alcuni sono più inclini a nuotare controcorrente, altri a scalare ostacoli, ma ciò che davvero conta è che queste strategie non sono casuali”.
Strategie migratorie: nuotatori e scalatori
Nella prima fase della ricerca, Tyrone Lucon-Xiccato e il suo team hanno studiato 30 cieche prelevate alla foce del Po e poi trasferite in laboratorio. Qui, gli scienziati hanno osservato due principali fenotipi migratori attraverso una serie di test. Alcuni individui mostravano una forte propensione a nuotare controcorrente, mentre altri eccellevano nel superare barriere simulate.
“Non è una dicotomia netta, ma un continuum: alcune anguille sono più brave a scalare, altre a nuotare, e molte si collocano a metà strada”, spiega Lucon-Xiccato.
Dopo questa prima tipizzazione, i ricercatori si sono posti una domanda più ampia: “Quali sono le cause biologiche di queste differenze individuali?” Per rispondere, hanno condotto una fenotipizzazione completa degli individui, analizzando ogni tratto misurabile: fisiologia, metabolismo, comportamenti di base, abilità cognitive e crescita. Un elemento escluso dall’analisi è stato la socialità, che si è rivelata difficile da misurare in questa specie.
“Abbiamo osservato che le anguille tendono ad aggregarsi nei rifugi, ma non è chiaro se sia socialità o semplice attrazione verso altri pesci”, racconta il ricercatore.
I ricercatori hanno scoperto differenze significative anche rispetto alle misure di questi tratti, e che sempre all’interno di un continuum, potevano essere associati al fenotipo “scalatore” o a quello “nuotatore”. I ricercatori ipotizzano che queste diversità comportamentali e fisiologiche siano un adattamento essenziale per la migrazione, perché permette la colonizzazione di una varietà di habitat diversi. Una sorta di “assicurazione” sulla sopravvivenza della specie.
Risultati sul campo
I ricercatori hanno poi analizzato le anguille in una fase successiva della loro migrazione, prelevando i ragani nel basso corso del Po e sottoponendoli alle stesse misure. I ragani, come abbiamo detto, rappresentano la fase del ciclo vitale successiva alle cieche, dove gli animali hanno cominciato a risalire le acque interne. Se effettivamente le differenze individuali hanno un ruolo nella distribuzione degli individui durante la migrazione, ci aspetteremmo che la popolazione campionata nello stesso habitat mostri individui più simili tra loro rispetto a quanto misurato nelle cieche. Questo è stato esattamente il risultato ottenuto dai ricercatori: in particolare i ragani prelevati avevano in prevalenza le caratteristiche attribuite al fenotipo “nuotatore”.
“È possibile che gli “scalatori”, con le loro caratteristiche uniche, abbiano raggiunto habitat più lontani e difficili da campionare”, ipotizza il ricercatore.
Questo dato rafforza l’idea che la diversità migratoria permetta agli individui di colonizzare ambienti differenti, riducendo la competizione e aumentando la resilienza della specie.
“Non è un singolo tratto a spiegare le differenze migratorie, ma la combinazione di più fattori. Per esempio, gli scalatori tendono ad avere maggiore flessibilità cognitiva e crescita più lenta, mentre i nuotatori mostrano tratti opposti”, aggiunge Lucon-Xiccato. “La combinazione di comportamento, crescita e abilità cognitive è cruciale. Per esempio, un animale che investe molto nel sistema nervoso centrale potrebbe avere meno risorse per lo sviluppo muscolare o la crescita. Questi compromessi spiegano le differenze individuali”.
L’importanza di una diversità complessa
Che anche le anguille avessero una “personalità”, per così dire, i ricercatori lo hanno capito subito. All’inizio dello studio, entrando nella stanza sperimentale, Lucon-Xiccato ha notato che su una delle vasche che ospitavano gli esemplari c’era un cartellino: “Houdini“. Era stata chiamata così dai tirocinanti che si occupavano delle vasche perché cercava sistematicamente di scappare, provando ogni piccola apertura.
“È diventata famosa per la sua determinazione e ci ha fatto riflettere sulle incredibili capacità individuali delle anguille”, racconta il ricercatore.
Lo studio conferma che la diversità individuale non sia casuale, ma rappresenti un adattamento evolutivo alla migrazione in ambienti difficili e mutevoli.
“La diversità migratoria è un po’ come avere tanti biglietti della lotteria: se un habitat viene compromesso, ci sono individui con caratteristiche che li rendono idonei a raggiungere altri habitat”
Sull’origine di questa diversità al momento si possono solo fare ipotesi. Secondo il ricercatore, in parte, deve essere genetica, in parte potrebbe essere attribuita alla plasticità fenotipica, cioè la capacità di un genotipo di svilupparsi in maniera diversa in base alle condizioni ambientali. In ogni caso, se questa diversità è essenziale per la sopravvivenza della specie, allora bisogna tenerne conto per la sua coservazione.
“Negli ultimi decenni il numero di anguille che risalgono i nostri fiumi è crollato si è ridotto di oltre il 90%”, avverte Lucon-Xiccato.
Le cause sono note: barriere artificiali, bracconaggio, e predazione da parte di specie alloctone come lucioperca e siluro. In Asia, per motivi simili, l’anguilla giapponese (Anguilla japonica) è ormai molto vicina all’estinzione. Purtroppo, l’impossibilità di riprodurle in cattività ha aggravato la situazione: una volta esaurite le popolazioni selvatiche, non c’è modo di reintegrarle. È urgente quindi proteggere l’anguilla europea, adottando misure che ne garantiscano la sopravvivenza a lungo termine.
Per quanto riguarda gli sbarramenti il progetto europeo Lifeel, che ha anche finanziato questo studio, sta lavorando per la realizzazione di scale di rimonta, sul Po e sul Panaro. Si tratta di opere che permettono ai pesci di migratori di attraversare la barriera. Un’altra strategia è quella del restocking: le giovani anguille vengono pescate e crescono in cattività per un certo periodo, al riparo dai pericoli, per poi essere liberate.
In questo caso i dati raccolti suggeriscono che i ripopolamenti dovrebbero cercare di mantenere la naturale diversità migratoria. Le anguille da rilasciare dovrebbero avere la stessa varietà individuale di quelle cresciute in natura, oppure si potrebbe decidere di rilasciarle in habitat diversi (per esempio in diversi punti lungo il corso del fiume, e non solo alla foce).
Sappiamo già che la diversità migratoria è importante per altre specie. Il salmone ha un ciclo vitale opposto a quello delle anguille: nasce nei fiumi, migra verso il mare per crescere e poi torna nei fiumi per riprodursi. Tuttavia, non tutti i salmoni seguono lo stesso percorso. Alcuni rimangono nelle zone fluviali, altri si fermano lungo le coste, mentre altri ancora raggiungono l’oceano. Questa diversificazione permette alla specie di far fronte a eventi imprevedibili, come siccità nei fiumi o mareggiate violente, assicurando che almeno una parte della popolazione sopravviva e si riproduca.
Lucon-Xiccato suggerisce che un meccanismo simile possa essere in atto nelle anguille, con la loro diversità migratoria che funge da strategia per aumentare le possibilità di sopravvivenza in ambienti mutevoli e frammentati.
“Il progetto europeo Lifeel sta lavorando su questi aspetti, ma c’è ancora tanto da fare per garantire un futuro a questa specie straordinaria”, conclude il ricercatore.
Riferimenti:
De Russi, G., Lanzoni, M., Bisazza, A., Domenici, P., Castaldelli, G., Bertolucci, C., & Lucon-Xiccato, T. (2024). Eels’ individual migratory behavior stems from a complex syndrome involving cognition, behavior, physiology, and life history. Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A., 121(48), e2407804121. doi: 10.1073/pnas.2407804121
Giornalista e comunicatore scientifico, mi sono formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrivo o ho scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Curo la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collaboro dalla fondazione con Pikaia, dal 2021 ne sono caporedattore.