La paura dell’uomo nella savana

1010107093 7df6ceac09 z

Uno studio su Current Biology dimostra che per la fauna selvatica del Greater Kruger national Park, Sud Africa, la presenza umana è percepita come una grave minaccia, peggiore dei leoni. Un elemento che sarà importante tenere in considerazione affrontando tematiche come l’ecoturismo e la conservazione delle specie.

Quante volte avete sentito dire, riferito a un qualsiasi animale reputato minaccioso per la vostra incolumità: “ha più paura lui di te, di quanta tu ne abbia di lui”… Suona familiare?
Un nuovo studio pubblicato su Current Biology conferma questa impressione almeno per quanto riguarda gli animali che popolano il Greater Kruger National Park in Sud Africa.


Orecchie all’erta

Infatti, in questo studio dai tratti provocatori e con il chiaro intento di sensibilizzare addetti ai lavori e non, gli scienziati si sono domandati quale fosse la maggior minaccia percepita dalla fauna locale: se i leoni, numerosi nella zona, oppure l’essere umano.
Gli studiosi si sono muniti di una strumentazione sia in grado di riprendere le reazioni degli animali ma, ovviamente, anche di generare uno stimolo al quale gli animali potessero rispondere. Il team si è orientato sul suono: un senso più o meno trasversalmente accentuato in tutti gli animali della savana.

fear of humans pervade

Liana Zanette, prima autrice dello studio, installa una fototrappola e un altoparlante vicino a una pozza nel Greater Kruger National Park. Credit: Current Biology, Zanette et al.

Sfruttando la stagione secca, gli scienziati hanno piazzato questa strumentazione nei pressi delle pozze d’acqua che, specialmente durante questo periodo dell’anno, diventano vere e proprie tappe obbligate per tutta la fauna della zona.
Alternativamente sono stati poi riprodotti cinque suoni: quattro ritenuti potenzialmente minacciosi ovvero versi di leone, cani che abbiano, colpi di arma da fuoco e rumori di persone, più un suono non minaccioso di controllo cioè versi di uccelli.
Per misurare un parametro dai contorni sfumati come la paura che prova un animale, gli studiosi hanno stabilito due unità di misura quali, il tempo impiegato dall’animale in questione ad abbandonare la pozza d’acqua dal momento della percezione dello stimolo sonoro e se l’animale, una volta udito il suono, corre via o no.

Comincia a correre…

I risultati parlano chiaro. Quasi tutte le specie abbandonano più rapidamente la pozza d’acqua dopo aver sentito i rumori di persone rispetto ai ruggiti dei leoni. Questo è particolarmente vero per animali come gli elefanti, i rinoceronti, gli impala, i kudu, la zebra e il facocero. Anche la corsa si verifica più spesso dopo aver sentito rumori umani rispetto ai versi di leone. Animali come il leopardo, la iena e la giraffa sono tra i casi più incisivi per quanto riguarda la fuga di corsa.
Interessante anche come l’abbaiare dei cani e l’esplodere dei colpi di arma da fuoco nelle varie specie causino meno la fuga di corsa  rispetto ai ruggiti dei leoni, me il tempo impiegato per abbandonare la pozza d’acqua è lo stesso. Semplificando, per moltissimi dei carnivori ed erbivori del Greater Kruger National Park sentire rumori di persone è molto più spaventoso rispetto a percepire i ruggiti di Panthera leo, felide panterino di anche 200 kg.
Guardando le riprese utilizzate per lo studio scientifico e presenti nella pubblicazione,  si rischia di trovare buffe le reazioni di fuga repentine, immediate e talvolta scomposte, di così tante specie diverse in risposta ai rumori umani. Ma il sorriso diventa presto amaro quando si realizza cosa sono in realtà questi “rumori di persone”: semplicemente persone che parlano in diverse lingue. Non urla, non schiamazzi o cori. Solamente persone che in varie lingue chiacchierano in tono pacato. È questo suono che genera una risposta di paura e di fuga così violenta.

E se questa paura potesse essere usata per la conservazione? 

Il nostro solo parlare è quindi percepito come l’avviso acustico di un grandissimo pericolo, indipendentemente dalle lingue utilizzate nelle riproduzioni sonore. Per gli animali evidentemente quel susseguirsi di brevi suoni ripetuti è sinonimo di Homo sapiens, che siano parole inglesi, afrikaans o tsonga. Più di duecento mila anni di convivenza in Africa tra Homo sapiens e gli antenati di queste popolazioni, devono aver impresso nel loro DNA un profondo timore del suono della voce umana. Per chi ama la natura, venire a conoscenza di essere percepito più pericoloso di un leone non mette certo di buon umore. Oltretutto questo porta a chiedersi se il turismo ecosostenibile, nel quale si prendono tutti gli accorgimenti del caso per non disturbare gli animali, come anche quello di parlare piano, non si traduca comunque in uno stress per gli individui di queste specie.Molti altri studi recenti attestano come in tutto il mondo le faune selvatiche percepiscano come più pericolosa la presenza umana rispetto a quella di vari predatori.

Un risvolto positivo però c’è. Gli autori di questo studio propongono di utilizzare autoparlanti che riproducano la voce umana per tenere gli animali lontani dai confini dei parchi nazionali o da zone ad alto rischio di bracconaggio.
Un metodo economico e semplice per salvare a questi animali la vita sfruttando la loro naturale paura della voce umana.
Riferimenti: Zanette, L. Y., Frizzelle, N. R., Clinchy, M., Peel, M. J. S., Keller, C. B., Huebner, S. E., & Packer, C. (2023). Fear of the human “super predator” pervades the South African savanna. Current Biology, 33(21), 4689–4696.e4. doi: 10.1016/j.cub.2023.08.089  Immagine in apertura: zebra and wildebeest running, di Renata Virzintaite via Flickr,  con licenza CC BY-NC-ND 2.0 DEED