Parchi naturali: storia delle nostre aree protette tra tutela, ricerca, e turismo

parchi naturali copertina piccioni

I parchi italiani sono vicini a territori densamente popolati. Come trovare un compromesso tra conservazione e sfruttamento del territorio? Pikaia ha letto per voi “Parchi naturali. Storia delle aree protette in Italia”, il nuovo libro dello storico Luigi Piccioni

Negli ultimi mesi su molti giornali, riviste e siti web si sono alternate notizie relative da un lato al lancio del National Biodiversity Future Center (NBFC), il primo centro nazionale dedicato alla tutela della biodiversità e delle aree protette, e dall’altro alle difficoltà che molte regioni italiane lamentano nella gestione della fauna selvatica. A inizio maggio, ad esempio, la Conferenza Stato Regioni ha approvato il Piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica, provvedimento proposto dal Ministro dell’ambiente (in accordo con il Ministro dell’agricoltura), che definisce anche il modo in cui le regioni possono provvedere al contenimento (leggasi abbattimento) della fauna selvatica al fine di tutelare allevatori e agricoltori.

Un ottimo punto di partenza per cercare di capire come l’Italia sia arrivata a vivere una fase così complessa e ricca di contraddizioni è rappresentato dal libro Parchi naturali. Storia delle aree protette in Italia (Il Mulino, 2023) dello storico Luigi Piccioni. Questo libro riprende il tema della storia dei parchi italiani, di cui fornisce una sorta di aggiornamento rispetto a quanto presente nel precedente libro di Piccioni intitolato Il volto amato della patria (Temi, 2014), che è forse la sintesi più esaustiva della storia della protezione della natura in Italia nel periodo 1880-1934.

Come Piccioni ben evidenzia nel suo ultimo libro, i parchi naturali italiani non sono assimilabili a quelli americani, caratterizzati da enormi estensioni e dal fatto di essere lontani da città e infrastrutture: “al momento della loro creazione la principale peculiarità dei parchi nazionali italiani era data dal loro essere fittamente insediati, densamente popolati e molto prossimi a grandi città con un rapporto assolutamente inedito tra l’area sottoposta a tutela, gli insediamenti umani e i tessuti metropolitani più prossimi“. Questi elementi di peculiarità sono oggi alla base delle principali difficoltà che si riscontrano nella loro gestione, anche in assenza di un adeguato supporto politico ed economico.

La travagliata esistenza dei parchi naturali italiani

La storia dei parchi italiani è purtroppo da sempre una storia di conflitti tra chi mira a sfruttare il territorio a scopo produttivo (ad esempio per l’allevamento e le produzioni agrarie) e chi vorrebbe in quegli stessi spazi tutelare quella biodiversità che fatica sempre più trovare spazio, dato la presenza sempre più diffusa della nostra specie. È per altro interessante osservare che nei fatti il primo parco italiano nasce proprio grazie a questi conflitti, e in particolare grazie agli orsi e ai loro danni. Emanuele III decise infatti di rinunciare alla riserva di caccia dell’Alto Sangro “perché i pastori e gli allevatori venivano risarciti per i danni causati dall’orso cosicché, in assenza di controlli, le richieste di risarcimento crebbero di anno in anno fino a mettere in crisi la casse dell’ufficio del Gran Cacciatore della casa reale“.

Queste note poco più che impressionistiche e quanto siamo venuti ricostruendo nelle pagine di questa opera sono forse però sufficienti a tracciare un bilancio provvisorio di un secolo di protezione della natura in Italia. (…) Grazie al fortunato convergere di una vivace spinta protezionistica e della dismissione delle riserve reali di caccia l’Italia divenne nei primi anni Venti un paese all’avanguardia in Europa per quanto riguarda i parchi nazionali. (…) Alla metà degli anni Sessanta (proprio mentre altre grandi nazioni industriali europee adottavano organiche politiche di protezione della natura e creavano parchi nazionali) la situazione italiana era diventata di grande ritardo e da quel momento (…) si aprì la complessa e contraddittoria fase chi stiamo oggi vivendo”.

Parchi naturali” di Piccioni, sebbene sia una trattazione schematica della storia dei parchi naturali italiani, evidenzia in modo efficace le difficoltà di natura politica, che non si limitano al solo governo centrale, ma anche (e in particolare) ai governi regionali. Queste difficoltà sono per altri oggi più che mai presenti anche in conseguenza del fatto che “quasi tutte le regioni hanno ridotto il loro impegno nei confronti delle aree protette. Diverse di esse hanno diminuito da anni i finanziamenti, in molti casi quasi totalmente assorbiti dalle spese di personale, qualcuna ha accorpato gli organismi di gestione delle aree protette, anche molto differenti e distanti tra di loro, qualcun’altra ha abolito gli uffici che vi erano dedicati“.

Leggendo la ricostruzione storica di Piccioni è interessante osservare che le prime prese di posizione pubbliche in favore della tutela dei beni naturali vennero da sodalizi e da personaggi attivi nell’ambito della ricerca e dell’insegnamento delle scienze naturali. Tra i personaggi più significativi vi furono figure di spicco della botanica, della zoologia e della geologia nazionali, come Oreste Mattirolo, Lorenzo Camerano, Alessandro Ghigi, Giotto Dainelli, Camillo Crema, Pietro Romualdo Pirotta e Renato Pampanini. Da loro nacque una sorta di “protezionismo scientifico”, che guardava con interesse anche alle esperienze estere, così da comprendere cosa poteva essere replicato con successo su scala nazionale. A loro si aggiunsero altri che vedevano nella protezione della natura una forma più generale di tutela del patrimonio storico e artistico della nazione o che guardavano alle bellezze naturali in un’ottica di promozione del turismo, ambito quest’ultimo in cui si concretizzarono le iniziative di importanti associazioni nazionali come il Touring club italiano.

Verso una nuova alleanza?

Tra la fine dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento fu quindi l’azione coordinata di numerosi gruppi che permise di portare la tutela dell’ambiente all’attenzione di politici, amministratori e cittadini, anche attraverso campagne di comunicazione e interventi sulla stampa. Il neonato NBFC ha sicuramente tutte le competenze per agire sia sul fronte scientifico che su quello della comunicazione, per cui speriamo che si possano a breve iniziare a vedere attuate attività efficaci tanto sul fronte dello studio della biodiversità che di costruzione di quelle alleanze che furono alla base della nascita dei primi parchi nazionali. È sicuramente una sfida importante, ma serve ricordare che l’Italia vanta uno dei tassi di biodiversità più alti al mondo, favorito proprio dalla particolare e irregolare conformazione geografica e geologica del territorio, che rendono il nostro Paese un luogo ricchissimo, ma anche fragilissimo e pertanto da proteggere.

L’Italia per altro è anche uno dei pochi Paesi che ha cambiato un articolo fondamentale (in particolare l’articolo 9) della propria Costituzione specificando che la Repubblica non tutela solo il paesaggio, la ricerca e le conoscenze, ma anche la biodiversità, l’ambiente e gli ecosistemi nell’interesse delle future generazioni. Questo è uno cambiamento significativo perché è stato introdotto nella Costituzione un soggetto giuridico problematico poiché ancora non esistente: le future generazioni.

Ci aspettano sicuramente lotte e conflitti, ma dobbiamo trovare di nuovo elementi e strumenti per condurre questa lotta insieme. Come scriveva recentemente il nostro Direttore Telmo Pievani, in questo momento il messaggio ambientalista più radicale non viene solo dalle riviste scientifiche, ma anche dai movimenti giovanili e da alcuni religiosi. In modi completamente diversi in tanti stanno dicendo la stessa cosa e ciò può dare corpo a un’alleanza, la cui voce potrà farsi sentire sempre più forte.