La Pompei del Pleistocene: piume eccezionalmente conservate svelano un nuovo tipo di fossilizzazione

Un fossile di avvoltoio perfettamente conservato nei Colli Albani svela un inedito processo di fossilizzazione, mai osservato prima nella storia della paleontologia
La fossilizzazione in contesti vulcanici rappresenta un fenomeno tanto eccezionale quanto complesso. Sebbene le alte temperature favoriscano una rapida distruzione dei resti organici, in determinate condizioni i sedimenti vulcanici possono innescare processi di conservazione unici, preservando non solo le ossa, ma anche le sagome tridimensionali dei corpi. L’esempio più noto è certamente quello delle vittime di Pompei causate dall’eruzione nel 79 d.C. del Monte Somma, da cui deriva l’attuale Vesuvio. Pur essendo un evento avvenuto in epoca storica, l’eruzione che ha colpito Pompei, ci ricorda che simili scenari si sono verificati numerose volte nel corso di milioni di anni e in diverse parti del mondo. Tuttavia, per i paleontologi, l’individuazione dei resti delle vittime di queste antiche Pompei è un’operazione complessa, data l’estrema rarità di tali fossili.
Nel 1889, in Italia, nel complesso vulcanico dei Colli Albani, a sud-est di Roma, fu rinvenuto un fossile la cui conservazione evoca in modo sorprendente quella dei reperti pompeiani. Si tratta dei resti fossili di un avvoltoio della specie Gyps fulvus, risalente al Pleistocene, oltre 30.000 anni fa. Il fossile è costituito da diversi blocchi di roccia, tra cui un blocco principale che conserva il calco completo della testa del rapace e blocchi minori che conservano le penne di un’ala. L’eccezionale conservazione di questo fossile rappresenta un caso unico nella documentazione paleontologica finora nota.

Una squadra internazionale di ricercatori dell’University College di Cork in Irlanda, dell’Università Statale di Milano e dell’Università la Sapienza di Roma, ha studiato per la prima volta le piume fossilizzate di questo singolare reperto con sofisticate tecniche di microscopia e analisi molecolari.
I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista internazionale Geology, svelano un particolare processo di fossilizzazione dei tessuti molli mai osservato prima.
“Nella documentazione fossile, le piume le ritroviamo come sottili pellicole, quasi bidimensionali, di colore scuro in rocce sedimentarie a grana fine, come quelle depositate nei bacini lacustri o nelle lagune marine poco profonde” spiega la Dott.ssa Valentina Rossi dell’University College di Cork, prima autrice dello studio.
Prosegue: “Con il fossile dei Colli Albani ci siamo trovati in un territorio inesplorato. Queste piume non assomigliano per niente a quelle che vediamo di solito in altri fossili. Esse sono infatti conservate tridimensionalmente e di colore rossastro. Data la particolarità del reperto, abbiamo utilizzato potenti microscopi a scansione elettronica e tecniche di analisi molecolare per studiare piccoli campioni delle piume. I risultati, hanno dimostrato che le parti organiche erano mineralizzate in zeolite, un minerale solitamente abbondante nei sedimenti ricchi di cenere. Non solo le strutture delle piume, come le barbe e le minuscole barbule, erano mineralizzate, ma anche i melanosomi – organelli ricchi di melanina che contribuiscono al colore delle piume”.

“Le analisi indicano che l’avvoltoio non è stato vittima di una nube piroclastica ad alta temperatura, come accaduto a Pompei, bensì, dopo la morte, forse causata da esalazioni gassose, è stato avvolto da un fango di ceneri a bassa temperatura. Questa condizione ha consentito una conservazione dei resti, che, per dettaglio e antichità, supera quella dei reperti pompeiani” afferma il Prof. Dawid Adam Iurino dell’Università Statale di Milano, coordinatore dello studio.

Aggiunge inoltre: “La scoperta di una nuova modalità di conservazione dei tessuti molli, forse esclusiva delle rocce vulcaniche, rappresenta un’importante novità per la paleontologia. Tradizionalmente, si riteneva che i materiali prodotti dai vulcani distruggessero rapidamente i tessuti organici. Tuttavia, questa scoperta rivela che, in condizioni particolari, i tessuti molli possono subire una mineralizzazione che ne preserva l’integrità con un dettaglio mai visto prima”.
tomografiche. Modello 3D di Dawid A. Iurino.
“Il fossile dei Colli Albani testimonia l’importanza di studiare le collezioni paleontologiche storiche presenti nelle università e nei musei. In questi archivi è racchiuso un potenziale di conoscenza ancora inesplorato. I fossili sono un patrimonio formatosi nel corso di milioni di anni che racchiude una parte significativa della storia del nostro pianeta. In Italia abbiamo un patrimonio paleontologico di valore scientifico e storico-culturale inestimabile, al quale sarebbe necessario dare maggiore attenzione” conclude il Prof. Raffaela Sardella dell’Università Sapienza di Roma.
La scoperta di un nuovo meccanismo di conservazione dei tessuti molli, potenzialmente specifico delle rocce vulcaniche, indica che questi depositi potrebbero contenere fossili straordinari e potranno essere oggetto di nuove sorprendenti scoperte.
Riferimenti:
Rossi V., Slater T., Unitt R., Carazo del Hoyo B., Terranova E., Gaeta M., McNamara M. E., Sardella R., Iurino D. A. 2025. Fossil feathers from the Colli Albani volcanic complex (Late Pleistocene, Central Italy) preserved in zeolites. Geology. https://doi.org/10.1130/G52971.1
Immagine in apertura: La Pompei del Pleistocene. Ricostruzione pittorica degli attimi prima del completo seppellimento dell’avvoltoio. Sullo sfondo il complesso vulcanico dei Colli Albani durante un’attività eruttiva. Illustrazione di Dawid A. Iurino (senza IA).
Fonte e immagini: comunicato stampa Università Statale di Milano