La vita in coppia, un passaggio determinante nell’evoluzione della socialità dei primati
Una nuova ricerca condotta su 362 specie di primati descrive l’emergere della vita di coppia come un passaggio obbligato nell’evoluzione da sistemi sociali solitari a vita di gruppo
Uno studio pubblicato su Science Advances e condotto da Peter K. Kappeler e Luca Pozzi, rispettivamente dell’Università tedesca di Gottinga e dell’Università del Texas a San Antonio, negli Stati Uniti, getterebbe luce sull’evoluzione della vita di coppia dei primati, come passaggio obbligato nell’evoluzione della socialità a sistemi solitari a sistemi di gruppo.
Secondo gli autori, ad oggi circa un terzo di tutte le specie di primati esistenti conduce vita sociale solitaria e un quinto si organizza secondo il sistema della vita di coppia, o pair living, un sistema sociale nella quale un maschio e una femmina adulti vivono insieme e coordinano le proprie attività. Il resto dei primati attualmente viventi vive in gruppi con più maschi o più femmine. Tuttavia, rimane controverso come e perché si sia evoluta una transizione tra sistemi sociali differenti nei primati ed anche quante volte si sia evoluto il pair living.
Gli studi condotti finora danno risalto a due teorie sulle cause dell’affermazione del pair living tra i primati: questo sistema sociale potrebbe essersi evoluto come conseguenza di una strategia femminile di ricerca degli spazi con risorse più abbondanti anziché di quelli con maschi più abbondanti; oppure potrebbe essersi evoluto come conseguenza dell’obbligo maschile alla protezione delle cure parentali di una prole poco numerosa e come barriera contro il rischio di infanticidio.
Per provare a dare una risposta a questi quesiti gli autori hanno elaborato un complesso modello statistico su un campione di 362 specie di primati raccolti da uno dei più ampli dataset di socioecologia dei primati, conferendo a questo studio dati nuovi e indipendenti rispetto ai campioni utilizzati negli studi pubblicati finora. Inoltre, gli autori si sono basati anche una raccolta di dati sulle dimensioni e la composizione dei gruppi di 137 specie da 238 studi diversi. I dati sono stati elaborati più volte secondo il programma Bayes Traits 3.0, per testare la percentuale di supporto conferita a quattro tra le ipotesi più sviluppate nella letteratura sui sistemi sociali dei primati. Infine, i ricercatori hanno condotto un’analisi per cercare di ricostruire il possibile sistema sociale dei primati ancestrali.
I modelli testati descrivono: una transizione non strutturata, dove sono possibili tutte le transizioni dirette da condizione solitaria ad ogni sistema sociale; un modello di complessità crescente, che descrive una transizione da solitario a sistema di gruppo passando progressivamente per pair living e sistema con un solo maschio; un modello elaborato da Shulz, che vede un salto dal sistema solitario a quello di gruppo come condizione per un assestamento sulla condizione di pair living; infine, un modello che descrive un passaggio da sistema solitario a pair living, da pair living a struttura sociale di gruppo con più maschi e da questo a una struttura sociale di gruppo con un solo maschio.
I risultati mostrano come proprio quest’ultimo modello abbia un supporto del 79%, una percentuale superiore a quella ottenuta da tutti gli altri modelli. Anche il confronto con il modello di Shulz, tra i più apprezzati nella letteratura di riferimento, basato su un campionamento inferiore, mostra una maggiore robustezza per la teoria secondo cui la transizione da vita solitaria a pair living sarebbe stata la pre-condizione per l’evoluzione dei sistemi sociali di gruppo. Gli autori hanno esteso la loro analisi anche all’ipotetico modello sociale del progenitore comune dei primati, raccogliendo risultati che sembrerebbero confermare un sistema sociale solitario per i primati ancestrali.
Secondo le conclusioni dello studio il pair living sarebbe un passaggio obbligato nella transizione da solitaria a vita di gruppo. Non vi sarebbe traccia di un salto diretto da vita solitaria a vita sociale di gruppo. I risultati supportano indirettamente l’ipotesi per cui le femmine tenderebbero a scegliere prevalentemente gli spazi con più risorse rispetto a quelli con più maschi. L’inferiore densità femminile costringerebbe il maschio a difendere il partner dalla competizione dei maschi vicini. Questo relegherebbe la protezione dei piccoli contro il rischio di infanticidio a fattore secondario.
Infine la filopatria materna (la tendenza a rimanere nel luogo nativo) potrebbe aver facilitato la kin selection (selezione di parentela) e l’emergere della cooperazione ma solo dopo la transizione alla vita di gruppo. La kin selection potrebbe essere così una forza selettiva nell’evoluzione ulteriore alla vita di gruppo. Nelle conclusioni degli autori, questi risultati saranno lo stimolo per approfondire ancora di più la nostra conoscenza della socioecologia dei primati, l’ordine di mammiferi a cui apparteniamo anche noi.
Riferimenti:
Peter M. Kappeler, Luca Pozzi. Evolutionary transitions toward pair living in nonhuman primates as stepping stones toward more complex societies. Science Advances, 2019. Doi: 10.1126/sciadv.aay127
Immagine: da Wikimedia Commons
Secondo gli autori, ad oggi circa un terzo di tutte le specie di primati esistenti conduce vita sociale solitaria e un quinto si organizza secondo il sistema della vita di coppia, o pair living, un sistema sociale nella quale un maschio e una femmina adulti vivono insieme e coordinano le proprie attività. Il resto dei primati attualmente viventi vive in gruppi con più maschi o più femmine. Tuttavia, rimane controverso come e perché si sia evoluta una transizione tra sistemi sociali differenti nei primati ed anche quante volte si sia evoluto il pair living.
Gli studi condotti finora danno risalto a due teorie sulle cause dell’affermazione del pair living tra i primati: questo sistema sociale potrebbe essersi evoluto come conseguenza di una strategia femminile di ricerca degli spazi con risorse più abbondanti anziché di quelli con maschi più abbondanti; oppure potrebbe essersi evoluto come conseguenza dell’obbligo maschile alla protezione delle cure parentali di una prole poco numerosa e come barriera contro il rischio di infanticidio.
Per provare a dare una risposta a questi quesiti gli autori hanno elaborato un complesso modello statistico su un campione di 362 specie di primati raccolti da uno dei più ampli dataset di socioecologia dei primati, conferendo a questo studio dati nuovi e indipendenti rispetto ai campioni utilizzati negli studi pubblicati finora. Inoltre, gli autori si sono basati anche una raccolta di dati sulle dimensioni e la composizione dei gruppi di 137 specie da 238 studi diversi. I dati sono stati elaborati più volte secondo il programma Bayes Traits 3.0, per testare la percentuale di supporto conferita a quattro tra le ipotesi più sviluppate nella letteratura sui sistemi sociali dei primati. Infine, i ricercatori hanno condotto un’analisi per cercare di ricostruire il possibile sistema sociale dei primati ancestrali.
I modelli testati descrivono: una transizione non strutturata, dove sono possibili tutte le transizioni dirette da condizione solitaria ad ogni sistema sociale; un modello di complessità crescente, che descrive una transizione da solitario a sistema di gruppo passando progressivamente per pair living e sistema con un solo maschio; un modello elaborato da Shulz, che vede un salto dal sistema solitario a quello di gruppo come condizione per un assestamento sulla condizione di pair living; infine, un modello che descrive un passaggio da sistema solitario a pair living, da pair living a struttura sociale di gruppo con più maschi e da questo a una struttura sociale di gruppo con un solo maschio.
I risultati mostrano come proprio quest’ultimo modello abbia un supporto del 79%, una percentuale superiore a quella ottenuta da tutti gli altri modelli. Anche il confronto con il modello di Shulz, tra i più apprezzati nella letteratura di riferimento, basato su un campionamento inferiore, mostra una maggiore robustezza per la teoria secondo cui la transizione da vita solitaria a pair living sarebbe stata la pre-condizione per l’evoluzione dei sistemi sociali di gruppo. Gli autori hanno esteso la loro analisi anche all’ipotetico modello sociale del progenitore comune dei primati, raccogliendo risultati che sembrerebbero confermare un sistema sociale solitario per i primati ancestrali.
Secondo le conclusioni dello studio il pair living sarebbe un passaggio obbligato nella transizione da solitaria a vita di gruppo. Non vi sarebbe traccia di un salto diretto da vita solitaria a vita sociale di gruppo. I risultati supportano indirettamente l’ipotesi per cui le femmine tenderebbero a scegliere prevalentemente gli spazi con più risorse rispetto a quelli con più maschi. L’inferiore densità femminile costringerebbe il maschio a difendere il partner dalla competizione dei maschi vicini. Questo relegherebbe la protezione dei piccoli contro il rischio di infanticidio a fattore secondario.
Infine la filopatria materna (la tendenza a rimanere nel luogo nativo) potrebbe aver facilitato la kin selection (selezione di parentela) e l’emergere della cooperazione ma solo dopo la transizione alla vita di gruppo. La kin selection potrebbe essere così una forza selettiva nell’evoluzione ulteriore alla vita di gruppo. Nelle conclusioni degli autori, questi risultati saranno lo stimolo per approfondire ancora di più la nostra conoscenza della socioecologia dei primati, l’ordine di mammiferi a cui apparteniamo anche noi.
Riferimenti:
Peter M. Kappeler, Luca Pozzi. Evolutionary transitions toward pair living in nonhuman primates as stepping stones toward more complex societies. Science Advances, 2019. Doi: 10.1126/sciadv.aay127
Immagine: da Wikimedia Commons
Mi sono laureato in Biodiversità ed evoluzione biologica all’Università degli Studi di Milano ed ho conseguito un master in Giornalismo scientifico e comunicazione istituzionale della scienza all’Università degli studi di Ferrara. Mi appassiona la divulgazione e lo studio della storia delle idee scientifiche.