“L’alba di tutto” o ripensare la storia dell’umanità

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Graeber e Wengrow sfidano le narrazioni tradizionali, tracciando un percorso inedito tra libertà, cultura e società umane dalle origini al presente.

Titolo: L’alba di tutto. Una nuova storia dell’umanità

Autori: David Graeber e David Wengrow

Editore: Rizzoli Milano

Anno: 2024 (orig. 2021, 1° ed. Rizzoli 2022)

Pag.: 732

Pianeta. Da circa trentamila anni. Le prove accumulate dall’archeologia, dall’antropologia e dalle discipline affini danno un resoconto inedito di come le società umane si sono sviluppate già prima della fine del Pleistocene e si contrappongono alla narrazione convenzionale. La preistoria dei sapiens inizia molto prima dell’inizio del Neolitico, non è descrivibile attraverso separate fasi “migliorative” dello sviluppo e risulta incomprensibile se la domanda riguarda l’essere di natura buoni o cattivi, prima buoni o prima cattivi. Sia la visione rousseauiana che la visione hobbesiana non corrispondono alla dinamica dei fatti, hanno gravi implicazioni politiche e rendono il passato inutilmente noioso. Il mondo dei foraggiatori (cacciatori raccoglitori) si è contraddistinto per audaci esperimenti sociali, produttivi e artistici; il mondo dei coltivatori non ha indotto progressi automatici e lineari; il senso delle umane possibilità e libertà va riscoperto in ogni tempo (restituendo ai nostri avi la loro piena umanità), senza rimanere prigionieri di catene concettuali (come la proprietà, la disuguaglianza, la schiavitù, l’urbanizzazione o la stessa democrazia).

Un evento prettamente storico ha, forse, due caratteristiche: non avrebbe potuto essere previsto in anticipo, ma avviene una volta sola. Così, vi sono tradizioni intellettuali che sono abbastanza verificabili attraverso reperti (fisici e culturali) e altre che sono andate perdute, prevalentemente o per sempre; molte “scoperte” si sono basate su secoli di conoscenze accumulate e di sperimentazione e altre sono state custodite e tramandate attraverso rituali, giochi e forme di attività ludica; le più grandi costruzioni mitiche della storia sono inconciliabili con le prove manifeste davanti ai nostri occhi. Inoltre, le strutture e i significati che promuovono sono banali, ritriti e politicamente disastrosi. Potrebbe essere ora di prenderne atto. Approfondiamo, discutiamo, ripensiamo.

L’antropologo statunitense David Graeber (New York, 12 febbraio 1961 – Venezia, 2 settembre 2020), noto attivista e intellettuale pubblico di fama internazionale, e l’archeologo britannico David Wengrow (1972), entrambi ebrei (scrivono di non essere “molto felici di essere in qualche modo incolpati di tutto ciò che è andato storto nella storia”), hanno dedicato oltre un decennio a discutere e scrivere insieme questo corposo testo dialogico e notevole successo editoriale, all’inizio come diversivo dai reciproci impegni accademici più “seri”, poi come fatica quotidiana di verifica e confronto sulle decine di migliaia di “fonti”. Graeber è morto per un malore improvviso dopo nemmeno un mese dalla chiusura dell’opera (definitivamente uscita l’anno successivo), Wengrow ha scritto due brevissime pagine introduttive, anche come dedica alla cara memoria del collega e, per suo desiderio, a quella dei suoi genitori. Il libro è una miniera di informazioni e spunti su centinaia di comunità umane antichissime e recenti (perlopiù legate a scelte collettive autocoscienti e talora capaci di gestire bene disabilità ed eccentricità), strutturata in dodici capitoli, le lunghe dettagliate note (spesso integrative) raccolte nelle quasi cento successive pagine: Addio all’infanzia dell’umanità (o perché questo non è un libro sulle origini della disuguaglianza), ovvero l’alba di noi sapiens precede coltivazioni e allevamenti estensivi; Libertà perversa (la critica indigena e il mito del progresso); Scongelare l’era glaciale (dentro e fuori dalla schiavitù e possibilità proteiformi della politica umana), ovvero avevamo già prodotto e scelto spesso bene con il clima più freddo; Uomini liberi, l’origine delle culture e l’avvento della proprietà privata (non necessariamente in quest’ordine); Molte stagioni fa (perché i foraggiatori canadesi avevano gli schiavi e i loro vicini californiani no, o il problema delle “modalità di produzione”); I giardini di Adone (la rivoluzione che non ebbe mai luogo: come i popoli del Neolitico evitarono l’agricoltura); L’ecologia della libertà (come l’agricoltura fece per la prima volta il giro del mondo saltellando, incespicando e bluffando); Città immaginarie (i primi cittadini dell’Eurasia – in Mesopotamia, nella valle dell’Indo, in Ucraina e in Cina – e come costruirono città senza re); Nascosta in bella vista (le origini indigene dell’edilizia sociale e della democrazia nelle Americhe); Perché lo Stato non ha origini (gli umili esordi della sovranità, della burocrazia e della politica); Chiudiamo il cerchio (sulle fondamenta storiche della critica indigena); L’alba di ogni cosa.

Innumerevoli gli scritti che avrei dovuto ragionare meglio nei miei decenni di articoli, saggi e volumi (ma su qualcosa ci ho preso); numerosi anche gli studiosi emeriti di cui si demoliscono motivatamente concetti e riflessioni; ricca bibliografia e vari indici. Sulle scienze evoluzionistiche e sui generici “evoluzionisti” sono talvolta imprecisi anche i due autori. Assimilare, comunque, con attenzione, prima di esprimersi.