Le numerose strade dell’evoluzione: la teoria degli equilibri punteggiati oggi

Nell’ambito delle teorie evolutive, l’dea di Eldredge e Gould riguardo un’evoluzione di tipo punteggiato si contrappone al gradualismo del neodarwinismo e all’idea comune che ci siamo fatti su come le specie si modificano nel tempo.
La teoria della selezione naturale di Darwin è di certo un pilastro portante del “palazzo scientifico” su cui si basa la scienza moderna. Eppure, dopo la sua morte, c’è stato un periodo, chiamato “eclissi del Darwinismo“, durante il quale l’evoluzione era sì considerata un dato di fatto dai biologi, ma molti di questi non pensavano che la selezione naturale fosse una spiegazione adeguata. Uno dei motivi è che Darwin non aveva una teoria dell’ereditarietà convincente: quando agli inizi del Novecento venne riscoperto il lavoro di Mendel, l’ereditarietà di unità discrete (gli alleli) sembrava in contrasto con la variazione continua necessaria per il funzionamento della selezione naturale.
È con la Sintesi moderna, ovvero l’unione tra l’idea di Darwin e delle leggi di Mendel, che si dimostrò come il darwinismo fosse del tutto compatibile con le nuove conoscenze. L’evoluzione, alla sua base, non è altro che il graduale cambiamento nelle frequenze alleliche delle popolazioni, e uno dei modi con cui queste frequenze possono cambiare è la selezione naturale. Non solo la Sintesi moderna offrì le basi matematiche all’evoluzione e all’ereditarietà, ma conciliò anche le altre discipline delle scienze naturali, come la paleontologia. Per esempio, i grandi cambiamenti evolutivi osservati dai paleontologi potevano effettivamente essere spiegati attraverso la microevoluzione osservata dai genetisti.
La Sintesi moderna, o neodarwinismo, risale ai primi decenni del XX secolo ed è un paradigma di indubbio successo. Ma negli anni ’70, due paleontologi, Stephen Jay Gould e Niles Eldredge, proposero la teoria degli equilibri punteggiati: a loro giudizio non poteva essere totalmente in accordo col neodarwinismo, che andava quindi in qualche modo “riformato”. Cinquant’anni dopo che cosa è rimasto di questa teoria?
In una review pubblicata alla fine dell’anno scorso, un gruppo di paleontologi (che comprende anche Niles Eldredge) prova a spiegare come anche la teoria degli equilibri punteggiati si sia evoluta nel tempo. Si tenta di chiarire come la complessità vivente emerga (tramite dinamiche punteggiate ma anche graduali) dall’interazione tra processi interni (fenomeni ereditari e quindi genetici) ed esterni agli organismi, su scale molto diverse, da quella microscopica a quella macroscopica.
Il debutto degli equilibri punteggiati
Cugini dei geologi, i paleontologi basano le loro teorie e ricerche sui fossili, i veri testimoni del passato di una specie, per capire meglio la storia evolutiva degli organismi viventi. Secondo Gould ed Eldredge, era da questi che si doveva concludere che il cambiamento non fosse sempre graduale, idea in contrapposizione sia all’originale teoria di Darwin sia al neodarwinismo che sottolineavano invece che il cambiamento avvenisse “un passo dopo l’altro”. Il modello di riferimento è quello del gradualismo filetico.
Nel 1972, con l’articolo “Gli equilibri punteggiati: un’alternativa al gradualismo filetico” Stephen Jay Gould e Niles Eldredge proposero che la storia della vita sulla Terra fosse dominata da “periodi di stasi” e “periodi di rapido cambiamento”. Il problema a cui deve fare fronte la teoria sintetica dell’evoluzione, secondo Gould ed Eldredge, è che non riuscirebbe a spiegare in modo soddisfacente la disomogeneità riscontrata nei record fossili.
Le “forme di transizione”, quelle che testimoniano il passaggio da una specie ad una nuova, spesso non lasciano tracce nei sedimenti o, se lo fanno, ne lasciano pochissime, spesso incomplete. Ma secondo la teoria degli equilibri punteggiati, il fatto che si riscontrino serie fossili non omogenee, ovvero non rappresentative dell’evoluzione graduale dei tratti ipotizzata da Darwin, non è da spiegarsi con una semplice scarsità di reperti (e quindi con la necessità di una ricerca paleontologica più intensa) ma piuttosto con lunghi periodi di stasi (in cui le specie rimangono identiche a sé stesse), seguiti da veloci periodi di cambiamento (in cui le specie si modificano radicalmente). Il motivo per il quale non abbiamo forme fossili di transizioni è quindi legato al fatto che i periodi di cambiamento (spiegati dall’azione della speciazione allopatrica) sono troppo veloci per lasciare tracce concrete su cui i paleontologi possano lavorare.
Il livello base: i geni
Se pensiamo al genotipo (quindi l’insieme dei geni) come la base dell’espressione fenotipica (ovvero la traduzione visibile dei geni) e quindi alla fitness di un individuo in un determinato ambiente, secondo gli autori della review, la “Fitness Landscape Theory” può darci uno spunto di riflessione sia sui processi evolutivi graduali che su quelli punteggiati.
Se pensiamo all’evoluzione come ad uno “spazio genetico” (bi –dimensionale nel suo livello base ma n – dimensionale nei suoi modelli più attendibili), una popolazione potrà muoversi all’interno di questo spazio modificando le proprie combinazioni alleliche non solo riproducendosi con individui diversi (scelta del partner) ma anche attraverso le mutazioni (spontanee o indotte). Tramite gli incroci preferenziali (quindi la riproduzione direzionale) e i tassi di mutazione, una popolazione può esplorare il suo background genetico e ottimizzare il proprio genotipo (quello della propria prole, ovviamente) in base a ciò che l’ambiente esterno “richiede”. Se provassimo a visualizzare questo spazio (per noi bi – dimensionale), le “valli” saranno dei punti di bassa fitness mentre le “montagne” saranno dei punti di fitness elevata.

Secondo le teoria degli equilibri punteggiati, le specie dovrebbero stabilirsi preferenzialmente su uno di questi picchi (durante un periodo di stasi) a meno che non si verifichino eventi esterni particolari che le spingano a scendere dal proprio picco e a “cercarne” uno nuovo. Secondo la teoria sintetica dell’evoluzione, le specie non si stabilirebbero su un singolo picco per un tempo indefinito, ma si muoverebbero continuamente tra picchi differenti in un moto continuo di ricerca senza fine. Possiamo quindi immaginarci l’evoluzione graduale come uno scalatore appassionato che esplora un’intera catena montuosa, mentre la teoria degli equilibri punteggiati descriverebbe principalmente un crodaiolo restio a scendere uno volta arrivato in vetta.
Secondo Eldredge e Gould, questi “picchi evolutivi” corrispondono, a grandi linee, alla separazione delle linee evolutive da un punto di vista filogenetico mentre altri li potrebbero interpretare semplicemente come pattern evolutivi, non strettamente legati ad una drastica speciazione. Per esempio sono le specie criptiche, ovvero quelle che non si separano da un punto di vista morfologico (quindi fenotipico), ma solo genetico (quindi gli incroci non sono più possibili). La presunta divergenza fenotipica dei reperti fossili (che però purtroppo non abbiamo) sarebbe sicuramente un punto a favore della teoria degli equilibri punteggiati, ma se le specie si modificano in modo nascosto durante i periodi di stasi, senza una drastica differenza fenotipica, allora le cose si complicano, e non di poco!
Salendo un gradino…o più
La tesi degli equilibri punteggiati segue quindi un modello a tre stadi: le stasi (in cui la specie rimane, almeno apparentemente, uguale nel tempo), un rapido cambiamento unidirezionale (ovvero un “picco”) e di nuovo una stasi, in cui la specie si adatta alle nuove condizioni ambientali e rimane tale fino a che un nuovo cambiamento esterno sopraggiunge. L’evoluzione strettamente direzionale e graduale è invece caratterizzata da un continuo cambiamento non tanto della specie in sé, ma piuttosto degli alleli, che possono far variare le frequenze fenotipiche verso una fitness maggiore (o minore).
L’idea di Eldregde e Gould, riprendendo le critiche mosse riguardo alle specie cripitche, non si basa tanto sul concetto di specie, ma piuttosto su quello di popolazione. Gli individui di popolazioni diverse possono essere sottoposti (e modulati) a (da) innumerevoli variabili ambientali continuando comunque ad appartenere alla stessa specie. I periodi di stasi di cui si parla si mantengono nel tempo grazie a un flusso genico tra le diverse popolazioni, mentre la speciazione (quindi l’isolamento riproduttivo allopatrico che porterebbe potenzialmente anche a specie cripithce) distruggerebbe l’uniformazione della specie (e quindi aiuterebbe la deriva genetica). Se questo non bastasse, una speciazione iterattiva (ripetuta nel tempo e molto velocemente) sarebbe sempre possibile: in questo caso, i periodi di stasi sarebbero più corti e i picchi più frequenti, rendendo difficile la sopravvivenza di una popolazione abbastanza a lungo per poterne trovare dei record fossili coerenti con l’evoluzione di quel lignaggio.
Non è quindi tanto colpa dei paleontologi che non trovano tracce fossili, ma piuttosto l’inesorabile lavoro di fino delle forze evolutive e del loro tempismo a rendere difficile il collegare tutti i pezzi del puzzle!
Il livello globale
Mai sentito parlare della “Geo – Red Queen Hypothesis” (GRQ)? Estensione della “Red Queen Hypothesis” (RQ), la GRQ lega le interazioni ambientali ed ecologiche delle specie con la storia (o se vogliamo la geologia) terrestre (quindi i cambiamenti climatici, le estinzioni su larga scala, i fenomeni geologici e i disastri ambientali). La “gara evolutiva” tra le specie spiegata dalla RQ, nella GRQ prende una via più ampia. Non solo questo combattimento infinito tra gli esseri viventi deve tener conto dei propri rivali attuali, ma anche delle possibili nuove interazioni biologiche (causate per esempio dall’ampliamento dell’areale di una specie, dall’arrivo di specie aliene, dall’estinzione estinzione di una specie chiave, ecc.) con altre specie (prede o predatrici che siano) e i perentori cambiamenti geografici su scala globale.

Da questo punto di vista, possiamo guardare alle grandi estinzioni e alle grandi radiazioni evolutive come i rapidi periodi di rivoluzione teorizzati dalla teoria degli equilibri punteggiati e alla continua lotta contro i cambiamenti (climatici e geologici), come i lunghi periodi di stasi (modellati sotto la complessità ecologica e biologica delle specie e dell’ambiente in cui vivono). Questi cambiamenti esterni, molto spesso, modificano l‘abbondanza delle specie (e le specie stesse) che quindi si ritrovano con relazioni biologiche differenti in uno spazio ecologico (e geologico) ben diverso dal precedente che necessita di evolvere nuovi “armamenti”.
Ma quindi chi ha ragione?
Secondo gli autori la teoria degli equilibri punteggiati non riguarda solo i paleontologi, e sarebbe stata considerata anche in altre discipline come l’oncologia e la virologia. Per esempio si ipotizza che, tramite eventi di riorganizzazione del materiale genetico, cambiamenti “punteggiati” possano essere presenti nello svilupparsi di alcuni carcinomi e c’è chi pensa che il virus Sars-cov-2 abbia seguito un’evoluzione punteggiata. La teoria di Eldredge e Gould sembra quindi ancora impegnata nella “lotta per la sopravvivenza” delle teorie scientifiche moderne.
Nonostante i modelli teorici utilizzati per spiegare i meccanismi evolutivi siano sempre più complessi e articolati, uno solo di questi non è (ancora) in grado di spiegare completamente i pathways evolutivi di cui abbiamo discusso. Tra questi, la “Teoria degli Equilibri Punteggiati” è stata definita come “spiegazione a fatti dati” piuttosto che una vera e propria teoria in grado di generare previsioni. Oltre a fronteggiare le proprie lacune e critiche, come le altre teorie evoluzionistiche, l’ipotesi di Eldredge e Gould, di sicuro, da sola non è sufficiente.
Secondo gli autori, invece di cercare un approccio singolo, si dovrebbe piuttosto far interagire i diversi modelli e le teorie a nostra disposizione. Non solo dobbiamo poter spiegare variabili esterne (come il contesto ecologico e ambientale) ma anche quelle interne (frequenze alleliche, mutazioni, ecc.), in un contesto ampio ed integrato, che tenga conto delle limitazioni e dei punti di forza di tutti gli approcci. In conclusione, quindi, la “Teoria degli Equilibri Punteggiati” contribuisce di certo alla nostra comprensione dell’evoluzione, ma da sola, molto probabilmente, oggi può dirci troppo poco sulla storia delle specie.
Riferimenti:
Duran-Nebreda, S., Vidiella, B., Spiridonov, A., Eldredge, N., O’Brien, M.J., Bentley, R.A. and Valverde, S. (2024), The many ways toward punctuated evolution. Palaeontology, 67: e12731. https://doi.org/10.1111/pala.12731
Immagine in apertura: Didier Descouens, CC BY-SA 4.0, via WikipediaCommons.

Laureata in Scienze Biologiche presso l’Università degli studi di Pavia, si iscrive al corso di laurea magistrale in Biodiversità ed Evoluzione Biologica alla Statale di Milano. Amante del mare e della fotografia è da sempre appassionata di letteratura e divulgazione scientifica.