L’evoluzione prima della vita
La replicazione di molecole chiamate nucleopeptidi ha permesso di osservare una primordiale “selezione naturale”. Questo tipo di meccanismi potrebbe aver guidato l’evoluzione chimica fino alla nascita delle prime forme di vita
È certo solamente che sia avvenuto: miliardi di anni fa, forse sulla Terra, forse più lontano (Pikaia ha parlato qui di tale possibilità) ha avuto origine la vita. Gli scienziati chiamano questo processo graduale abiogenesi, e hanno formulato negli anni una lunga serie di teorie al riguardo, nessuna delle quali vanta una netta prevalenza di consensi (Pikaia ne ha ricordate diverse qui). Sul versante sperimentale la tradizione comincia nel 1953, quando Miller e Urey, con un esperimento storico, riuscirono a far formare degli amminoacidi in quello che si riteneva allora un probabile “brodo primordiale”. Questa tradizione continua tuttora: la vediamo in un lavoro, appena pubblicato su PNAS, firmato dai chimici dell’Università di Madrid e dell’Università di Be’er Sheva, Israele. Gli autori dello studio non solo hanno dimostrato in laboratorio la capacità di replicazione non enzimatica di brevi nucleopeptidi, ma hanno osservato come in determinate condizioni alcune molecole possano replicarsi con più successo di altre, e quindi venire selezionate. È possibile che miliardi di anni fa, agli albori della vita, sia avvenuto un processo simile. Per spiegare tutto questo, è soltanto appropriato che si debba partire da lontano.
La vita sulla terra è resa possibile dalle quattro famiglie di macromolecole che tutti conosciamo: acidi nucleici, proteine, carboidrati e lipidi. Risulta naturale, oltre che necessario a semplificare, considerare queste famiglie separatamente. È quel che la scienza ha fatto per anni, interrogandosi su come tali composti si siano assemblati dalla materia inorganica e si siano organizzati in forme di vita. L’esperimento Miller-Urey riguardava l’origine degli amminoacidi che formano le proteine; la teoria del mondo a RNA ipotizza che questo acido nucleico sia stato un passaggio nel percorso evolutivo che ha portato il DNA nelle nostre cellule (Pikaia ne ha parlato qui). Eppure, nessuna di queste biomolecole esiste nel vuoto. Il DNA, per esempio, non se ne sta solitario nel nucleo, ma si avvolge su proteine basiche dette istoni, formando unità dette nucleosomi, condensate con altri componenti in una struttura detta cromatina (la scienza è bella per questo: ha un nome per tutto). Allo stesso modo, ogni biomolecola nel nostro corpo interagisce, e spesso forma complessi con, altre biomolecole. Ecco perché questo gruppo di ricerca ha voluto porre in un ipotetico scenario primordiale delle molecole “miste”, come tante che vediamo nei viventi; ecco perché si è occupato di nucleopeptidi, composti in cui acidi nucleici si legano a catene lineari di amminoacidi (i peptidi, appunto). I nucleopeptidi utilizzati, in particolare, erano formati da due basi nucleotidiche identiche (adenina-adenina oppure timina-timina) legate a oligopeptidi contenenti l’amminoacido cisteina.
I ricercatori hanno iniziato studiando le capacità replicative di questi nucleopeptidi. La facoltà di replicarsi, meglio se con qualche errore, è una caratteristica fondamentale per la vita, perché è alla base del processo di trasmissione delle informazioni genetiche e dell’evoluzione stessa. Nelle cellule, la replicazione genetica può contare sulla presenza di enzimi, un nome che alcune molecole sanno meritarsi per la capacità di catalizzare, ovvero accelerare, reazioni a loro specifiche; di fatto, gli enzimi permettono ai viventi di sfruttare reazioni che altrimenti sarebbero irrilevanti, alle condizioni che si trovano nelle cellule. Qui, però, sorge un problema: come facevano i primi viventi a trasmettere informazioni, se la replicazione avviene grazie a enzimi che sono stati selezionati da miliardi di anni di evoluzione? È con queste domande in mente (o almeno così immaginiamo) che i ricercatori hanno considerato, nei nucleopeptidi, due tipi di replicazione particolari: quella autocatalitica, in cui la molecola stessa fa da enzima, favorendo l’assemblaggio di proprie copie; quella con catalisi crociata, in cui dei due nucleopeptidi considerati, uno catalizza la formazione dell’altro per la complementarietà delle basi nucleotidiche. La seconda reazione è risultata essere quella più efficace.
Il passo successivo è stato mettere in mistura gli “ingredienti” dei nucleopeptidi separati (i dinucleotidi adenina-adenina e timina-timina, gli oligopeptidi), in modo che i nucleopeptidi si formassero autonomamente. Il risultato è stato, usando le parole degli scienziati, una “chiara selettività” verso i nucleopeptidi contenenti adenina-adenina, che si formavano maggiormente. Gli studiosi hanno quindi analizzato le strutture che ciascuna specie di nucleopeptide formava aggregandosi con i propri simili. Per farlo, hanno usato mezzi quali microscopia a forza atomica, a trasmissione di elettroni e confocale e spettroscopia a fluorescenza: hanno così potuto vedere che i nucleopeptidi contenenti adenina formavano architetture simili a fibre, mentre quelli a timina si organizzavano in sfere. Nello studio si ipotizza che siano proprio tali differenze a spiegare la selezione. Pensiamo a queste strutture come a puzzle che si vanno formando, in cui ogni nucleopeptide è formato da due pezzi (dinucleotide e dominio peptidico): le fibre renderebbero più facile, rispetto alle sfere, il legame di nuovi pezzi ai margini del puzzle, ovvero la formazione di nucleopeptidi dai propri ligandi. Siccome è la parte peptidica a stabilizzare le diverse architetture, ciò comporta che la replicazione non sia guidata dai soli nucleotidi, ma che le due parti della molecola agiscano di concerto per darle un vantaggio sulla rivale.
I dati ottenuti da questi esperimenti hanno permesso agli scienziati di creare simulazioni della mistura di nucleopeptidi, cosa che a sua volta ha guidato gli esperimenti seguenti. In questo modo, è stato possibile studiare il sistema in differenti condizioni chimico-fisiche, massimizzando il processo di selezione fino alla quasi “estinzione” della molecola che replicava peggio. Secondo gli studiosi, meccanismi simili potrebbero aver condotto ai primi composti tra acidi nucleici e peptidi, che forse coincidono con le strutture replicanti all’origine della trasmissione di informazioni; in altre parole, della vita.
Da qualche parte si deve pur cominciare.
Fonte: Bandela, Anil Kumar, et al. “Primitive selection of the fittest emerging through functional synergy in nucleopeptide networks.” Proceedings of the National Academy of Sciences, vol. 118, no. 9, 2 Mar. 2021, p. e2015285118, doi:10.1073/pnas.2015285118.
Immagine: murales di Diego Rivera, El agua, origen de la vida, 1951. Museo del Cárcamo de Chapultepec, México, D. F. via Joaquín Martínez su Flickr, licenza Attribuzione 2.0 Generico (CC BY 2.0)Ho un master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara, e ho scritto per le riviste online Il Tascabile e Agenda17, oltre che per Pikaia. Sono medico e lavoro come specializzando in Genetica medica con l’Università di Pavia. Scrivo anche narrativa, e ho pubblicato due racconti nelle raccolte dei concorsi Caratteri di uomo e di donna del 2018 e Oltre il velo del reale del 2022.