L’inganno delle razze umane
Il giornalista Michele Pompei racconta la storia secolare e culturale del lungo “inganno” connesso all’idea di “razze umane”
Titolo: Razze umane. Breve storia di un lungo inganno
Autore: Michele Pompei
Con la collaborazione di Roberto Russo
Prefazione: Telmo Pievani
Postfazione: Silvia Bencivelli
Editore: Scienza Express Trieste
Anno: 2024
Pag.: 119
Pianeta Terra. In questi circa trecentomila anni. Altruismo e conflitto nascono dalla stessa radice biologica (oltre che culturale). Oggi le attitudini razziste si scontrano contro l’evidenza scientifica, ma la scoperta dell’inesistenza delle razze umane scalfisce solo minimamente i razzisti. Non hanno alcun argomento biologico, storicamente importante, d’accordo, ma sfortunatamente si può discriminare qualcuno anche soltanto per ragioni culturali e cognitive; continuano così ad avere successo le criminali operazioni di costruzione intenzionale del nemico, talora sfociate in massacri e pulizie etniche anche tra gruppi umani che fino a un certo momento erano convissuti nella stessa regione. Tuttavia, l’apprendimento culturale e sociale può anche mitigare le reazioni istintuali, farci liberamente scegliere di avere comportamenti scientificamente corretti. La cultura può battere l’amigdala, alcune competenti e appassionate riflessioni risultano antidoti contro le scorciatoie mentali che talvolta seducono il nostro cervello. Può essere pertanto utile descrivere più in particolare il cortocircuito fra inesistenza fattuale delle razze umane e radicamento persistente dei razzismi in dinamiche collettive, verificando i riferimenti formali alla “razza” (magari con contenuti di contrapposizione) in dizionari, costituzioni, questionari informativi. In tal senso, occorre valutare bene se esista una qualche definizione più funzionale di razza biologica, visto che certo vi sono state una irresistibile ascesa, diffusione e affermazione della parola, dell’equivoco e dei paradossi dalla fine del XVII secolo ai giorni nostri.
L’ottimo giornalista, regista e conduttore radiofonico bolognese Michele Pompei (1966) racconta in modo succinto ed efficace la storia secolare e culturale del lungo “inganno” connesso all’idea di “razze umane” (da cui il titolo), ancora spesso evocate nei contesti più diversi, suggerendo (attraverso dubbiose approfondite meticolose riflessioni) la conclusione che è proprio meglio riformularla sempre e toglierne quanto più possibile i riferimenti in atti ufficiali.
L’”invenzione” è servita a giustificare colonialismo, schiavitù e altre nefandezze. Il primo capitolo (“cavalli di razza”) ricostruisce e disamina le questioni etimologiche nazionali, concludendo che il termine è comparso in Sicilia attorno alla metà del Duecento dal francese haraz, il cui significato è “allevamento di cavalli”: dovrebbe dunque essere adoperato “solo per definire un’identità non umana”. Il secondo capitolo (“vedi alla voce razza”) riguarda il contesto comparato dei dizionari delle varie lingue; dopo premesse metodologiche, viene esaminato innanzitutto un campione di 19 europee ove, con rare eccezioni, si mantiene il riferimento al termine italiano, se ne conserva la radice, esiste fra le plurali definizioni anche una qualche modalità di identificare gli esseri umani; fra le altre decine di lingue asiatiche e africane campionate (accennando alle famiglie linguistiche), radici e termini risultano più vari e cangianti, talora (come in ebraico) non esiste nemmeno una traduzione univoca; gli aspetti problematici riguardano quasi esclusivamente l’occidente, conseguenza delle grandi esplorazioni, delle migrazioni e del pessimo colonialismo. Il terzo capitolo compie “il giro della razza in ottanta costituzioni”, 14 dell’Africa, 8 delle Americhe, 18 dell’Asia, 2 dell’Oceania e 38 dell’Europa, con particolare attenzione all’Assemblea Costituente e alla Costituzione italiana (“razza” si potrebbe anche togliere come proponeva Pietro Greco, fra gli altri). Il quarto capitolo valuta quali e quante eventuali razze umane vengono contemplate in questionari informativi e formulari di singoli stati (uno diverso dall’altro, comunque, nel merito e nel metodo), con particolare attenzione alle aggiornate osservazioni della medicina statunitense e all’uso come sinonimi di etnia, identità, cultura. Il quinto capitolo distingue tre principali tipologie di razzismo: primario (diffidenza biologica propria di molte specie), secondario (specifico dei sapiens), terziario (teorizzato da alcuni), con particolare attenzione ai testi del grande Charles Darwin. Il sesto capitolo è stato steso dal giovane comunicatore scientifico Roberto Russo e parla di genetica, precisando che ormai i tempi sono tornati maturi per limitare l’uso del termine razza solo a “identità non umane”. Manca un indice dei nomi e un’unitaria bibliografia (testi citati nelle poche singole brevi note a piè di pagina). Ottimi spunti da Pievani e Bencivelli. Innumerevoli sono i riferimenti alle migrazioni e al meticciato della nostra specie, forse senza trarne in questa occasione alcune possibili conseguenze nella biologia e nelle scienze evoluzionistiche.
Valerio Calzolaio è giornalista e saggista. Già deputato per quattro legislature, dal 1996 al 2001 è stato sottosegretario al Ministero dell’Ambiente, rappresentando il governo italiano ai principali appuntamenti ambientali internazionali (da Kyoto a l’Aja, da Nairobi a New York). Ha svolto per anni attività di consulente Onu per il segretariato della Convenzione per la lotta alla siccità e alla desertificazione. È stato professore a contratto di Diritto Costituzionale all’Università di Macerata. Ha pubblicato, con Telmo Pievani, Libertà di migrare (Einaudi, 2016), i suoi libri più recenti sono La specie meticcia (People, 2019), Migrazioni (Doppiavoce, 2019) e Isole carcere (Edizioni Gruppo Abele), 2022.