Meno pipistrelli, più rischi per i neonati? Il costo della perdita di biodiversità

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In Nord America il collasso delle popolazioni di pipistrelli avrebbe innescato una “reazione a catena” che ha portato alla morte di 1300 neonati in più

Dal 2006 il fungo Pseudogymnoascus destructans, sta decimando le popolazioni di pipistrelli in Nord America. Originario dell’Europa e presente anche in Italia (dove per fortuna sembra meno virulento), P. destructans è innocuo per l’uomo, ma nei pipistrelli causa la “sindrome del naso bianco”, così chiamata per la crescita di micelio candido sul naso (ma anche le orecchie e/o la membrana alare) dei pipistrelli colpiti. La malattia costringe i pipistrelli a interrompere in anticipo il letargo invernale, condannandoli a morte.

Il fungo è stato identificato per la prima volta 18 anni fa ad Albany, New York, e da allora si è diffuso velocemente. Nel 2010 il tasso di mortalità delle colonie colpite arrivava, in media al 73%, e si prevedevano estinzioni locali nell’arco di pochi anni. Oggi 12 su 47 specie sono minacciate dal fungo, anche se in alcuni casi le popolazioni stanno cominciando a riprendersi.

Ma secondo una ricerca pubblicata su Science i pipistrelli non sono stati le sole vittime dell’epidemia.

Effetti a catena

Per Eyal Frank, economista ambientale della Harris School of Public Policy, Università di Chicago e autore della ricerca, l’arrivo improvviso negli Stati Uniti di un nuovo e letale patogeno dei pipistrelli si può trattare come “esperimento naturale”. Conoscendo, contea per contea, quando e dove le popolazioni di pipistrelli erano collassate, e analizzando l’evoluzione dei dati socio-economici nello stesso periodo, si potevano scovare in retrospettiva le possibili conseguenze dell’epidemia.

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Evoluzione dell’epidemia in Nord America. Immagine: dalla pubblicazione

Infatti, anche se a non a tutti sono simpatici, i pipistrelli sono utili anche per gli esseri umani. Quelli insettivori possono controllare diverse specie nocive, per la salute e per l’agricoltura: ogni notte possono arrivare a divorare più del 40% del loro peso corporeo in insetti. Analizzando i dati dal 2006 al 2017 Frank ne ha avuto conferma: dove sparivano i pipistrelli, gli agricoltori americani aumentavano l’uso di insetticidi fino al 31%, mentre non si registrava un aumento paragonabile per i fungicidi e gli erbicidi.

Ma dalle analisi è emersa anche un’altra correlazione: dove l’uso degli insetticidi aumentava, aumentava anche la mortalità infantile.

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Il grafico mostra la correlazione tra l’aumento dei pesticidi dovuto alla diminuzione dei pipistrelli e l’aumento di mortalità infantile. Crediti: Energy Policy Institute at the University of Chicago, epic.uchicago.edu, via Eurekalert

La mortalità infantile, spiega Frank nella pubblicazione, è molto usata per studiare gli impatti negativi sulla salute dovuti all’inquinamento, e non è una novità che l’uso sconsiderato di pesticidi possa causare danni all’ambiente e alla salute umana. Attraverso l’erosione e il dilavamento le sostanze che li compongono possono entrano nelle reti trofiche e arrivare fino a noi, spesso senza che si riescano a determinare sperimentalmente le effettive conseguenze.

Anche in questo caso non sappiamo che cosa, di preciso, abbia aumentato la mortalità infantile, ma secondo Frank la relazione è chiara: a parità di condizioni, nelle regioni in cui non c’erano abbastanza pipistrelli a causa dell’infezione, e dove quindi si sono usati più insetticidi, sono morti più neonati, 1334 in più di quelli attesi nel periodo. Non solo: Frank ha stimato una perdita di circa 27 miliardi di dollari per quanto riguarda l’agricoltura e una perdita di 12 miliardi di dollari per quanto riguarda la salute. Un costo in denaro e in vite umane.

La perdita di biodiversità ha un prezzo

Lo sappiamo bene: correlazione non implica causalità, e uno studio osservazionale non può stabilire al di là di ogni ragionevole dubbio cause ed effetti. Ma, specialmente se parliamo di relazioni tra salute, economia e ambiente, è impossibile realizzare veri e propri esperimenti sul campo. “Esperimenti naturali” come quello fornito dall’arrivo della sindrome del naso bianco tra pipistrelli americani sono quindi preziosi, anche se vanno presi con una certa cautela.

Per esempio alcuni esperti intervistati da Science News fanno notare che è strano come altri parametri legati alla salute neonatale (per esempio il peso) non cambino, e in ogni caso si tratta per ora di un singolo studio.

Detto questo, lo studio di Frank si aggiunge ai tantissimi che stanno cercando di quantificare in termini socio-economici che cosa significa perdere biodiversità. Quantificare con più precisione è importante perché permette maggiore chiarezza e minore ambiguità e strumentalizzazione.

Lo studio riporta un evento particolare che è parte di una complessità globale. Sulle cause della perdita di biodiversità non ci sono dubbi: cambiamenti climatici, inquinamento, introduzione di specie alloctone, caccia e pesca eccessive e indiscriminate, solo per citarne alcune. Non si conoscono invece ancora, in termini numerici, tutte le conseguenze su scala globale. Ma possiamo provare a immaginarle. Se la perdita dei pipistrelli può uccidere neonati e mandare in fumo miliardi di dollari, a quali conseguenze può portare la perdita di circa un milione di specie animali e vegetali?

Riferimenti:

Frank, E. G. (2024). The economic impacts of ecosystem disruptions: Costs from substituting biological pest control. Science, 385(6713). doi: 10.1126/science.adg0344

Immagine in apertura: un pipistrello colpito dalla sindrome del naso bianco. Foto di Steve Taylor/University of Illinois, pubblico dominio via USFWS Flickr