Microbioma e olobionte: ripensare l’individuo attraverso le connessioni

Un nuovo paradigma per ridefinire l’individuo attraverso le relazioni ecologiche, oltre la “lotta per la sopravvivenza” di un “gene egoista”
Dallo studio delle patologie all’evoluzione, le scienze della vita ruotano intorno al gene: analisi genetiche, mutazioni genetiche, sequenziamento dei geni, terapia genica, malattia genetica. Eppure sappiamo che la vita è anche molto altro, e che il gene come unica chiave di lettura può non essere sufficiente.
Un articolo di perspective pubblicato su Science propone di superare questo paradigma utilizzando il concetto di olobionte. Il lavoro è frutto dell’Holobiont Biology Network, un pool scientifico che include docenti di diverse università a cui ha partecipato la dott.ssa Maria Elena Martino, docente e ricercatrice presso il Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’Università di Padova. Come spiega la ricercatrice:
“Per olobionte si intende la somma dell’organismo e del suo microbioma. Il microbioma corrisponde all’insieme di tutti i batteri che l’organismo può ospitare. Da questo punto di vista non si dovrebbe più pensare esclusivamente al genoma del singolo individuo, ma sarebbe opportuno pensare all’ologenoma, cioè all’insieme del genoma dell’individuo, del genoma degli ospiti e delle interazioni tra geni.”
L’ organismo come insieme di relazioni
“C’è ancora una certa riluttanza nell’accettare concettualmente gli organismi come il risultato di qualcosa che vada oltre il proprio DNA” prosegue Martino “Al momento la biologia vede gli organismi come il risultato di loro stessi. I presupposti concettuali della Sintesi Moderna, da Darwin a Mendel, inducono allo studio analitico del genoma del singolo individuo. Una visione “eucariocentrica” che impedisce di pensare, di pensarci, non solo come il risultato di se stessi, ma come il risultato delle nostre interazioni con altri essere viventi come ad esempio, i batteri. Nessun libro di testo riporta il concetto di “olobionte.”
Se consideriamo l’olobionte, la cooperazione, la simbiosi assumono un ruolo evolutivo prioritario rispetto alla competizione. È probabile che non venga ereditato un gene, un carattere vantaggioso, ma venga ereditata la relazione vantaggiosa. Le radici di tale teoria possiamo riportarle al pensiero di Carl Woese e di Lynn Margulis. Il concetto di olobionte nasce dal concetto di simbiosi. Un cambio di paradigma che giustificherebbe fenomeni non ancora totalmente spiegati, come la frequenza di allergie, intolleranze, obesità, attualmente non giustificata dalle sole analisi genetiche. Evidenzia la dott.ssa Martino:
“Negli esseri umani, durante il passaggio attraverso il canale vaginale, il nascituro acquisisce un “imprinting batterico” fondamentale per mantenere la salute. I lactobacilli con cui in quel momento viene a contatto sono stati associati a una protezione significativa nei confronti, per esempio, di allergie e intolleranze alimentari. I primi tre anni di vita sono la fase più importante. Il microbioma può cambiare molto durante la vita, ma c’è un ritorno a un imprinting batterico primigenio e più si ha accesso a fonti batteriche diverse precocemente, più è alta la protezione in futuro. In questa prospettiva assumono un ruolo significativo le relazioni e le interazioni della madre e del neonato con l’ambiente.“
“La nostra vita è il risultato delle nostre interazioni. Molti studi dimostrano come attraverso il concetto di olobionte, si possa spiegare l’incidenza di determinate patologie, come l’obesità, che non si riescono a spiegare con le sole analisi del DNA. Il gruppo di ricerca di Jeffrey Gordon della Harvard Medical School ha dimostrato che se si trapianta il microbioma intestinale di topi obesi in topi magri, a parità di condizioni dietetiche, i topi magri accumulano tessuto adiposo, ingrassano.
Bisognerebbe cambiare l’immagine dei batteri, spesso visti solo come patogeni: entrare in relazione con loro potrebbe significare non solo ammalarsi, ma anche curarsi. Come sottolinea la dott.ssa:
“La microbiologia è nata con i patogeni. L’ immagine negativa che ognuno di noi ha in mente pensando ai batteri deriva da poche centinaia di specie rispetto alle migliaia esistenti, non tutte dannose. Al momento è difficile accettare che siamo anche ‘i nostri batteri’.”
Relazioni complesse sono presenti anche in altre specie:
“Wolbachia, presente nella maggior parte degli artropodi infetta le cellule germinali. Si pensava che l’infezione causasse morte della progenie, ma in realtà è stato osservato che il responsabile è un virus, un batteriofago che infetta la Wolbachia a provocare danni alla progenie, non il batterio stesso.“
Le relazioni difficili: critiche al concetto di “olobionte”
Accettare il concetto di “olobionte” significherebbe modificare radicalmente la nostra concezione di “unità di selezione”, cioè ciò che viene ereditato sul quale agisce la selezione naturale. Il DNA dei singoli organismi viene ereditato, e sappiamo come questo succede. Considerando gli olobionti e l’ologenoma le cose sono più complesse.
“In effetti praticamente nulla del microbioma viene ereditato e in condizioni di sterilità la vita è possibile, è possibile l’esistenza di un individuo e anche la sua riproduzione, ma in condizioni patologiche. Ad esempio in Drosophila melanogaster, il moscerino della frutta, le larve completamente sterili crescono e si riproducono, ma impiegano il doppio del tempo per svilupparsi. Stiamo parlando di differenze enormemente significative. L’embrione non è un “olobionte”. Lo diventa nel momento in cui nasce con i primi contatti ambientali.”
Dal momento che il microbioma non viene ereditato, lo si deve escludere dal concetto di unità di selezione. Ma al contempo ciò che viene ereditato, cioè il genoma degli ospiti e dei microorganismi, è il prodotto di una fittissima rete di relazioni.
Per comprendere l’influenza del microbioma e la sua eventuale ereditarietà si potrebbe considerare l’epigenetica. Per epigenetica si intende una variazione fenotipica, a volte ereditabile, non dovuta a mutazioni genetiche, ma a modifiche della regolazione indotte dall’ambiente. Sappiamo che la relazione tra i microorganismi e gli ospiti induce vicendevolmente modifiche epigenetiche: si tratta di quantificare e comprendere cosa e come queste relazioni potrebbero essere ereditate.
Nonostante le evidenze, al momento quantificare e caratterizzare il microbioma e le interazioni che costituiscono l’olobionte è molto difficile. Quando si analizza un tessuto animale o vegetale è maggiore la presenza di cellule animali o vegetali piuttosto che batteriche, quindi le genetiche hanno una resa bassissima e vengono perse molte informazioni.
“Al momento per identificare i batteri dei microbiomi si sequenzia la subunità minore del ribosoma” – spiega Martino. “Accessibile e facile da eseguire, rivela però un’informazione molto superficiale. È come se degli alieni analizzassero la presenza di vita sulla Terra e concludessero che sono presenti degli eucarioti, ma senza distinzione tra un pinguino, un orso, un panda, un essere umano. Non identifichiamo le specie batteriche, e tutte le specie presenti finiscono in un fuorviante calderone di “genere”. È già difficile arrivare a identificare la specie, ma sarebbe necessario conoscere anche il ceppo, entrando ancora più nel dettaglio.”
Le relazioni oltre le relazioni
Ma un numero sempre maggiore di ricercatori si avvicina a questa nuova prospettiva. Conclude la dott.ssa Martino:
“Davanti ad alcune crisi, davanti alle risposte mancanti, sorge un nuovo paradigma supportato da evidenze crescenti. Un paradigma che vede al suo centro le relazioni, la cooperazione, la simbiosi, il vantaggio reciproco. Il gene non più unico e singolo protagonista, ma le relazioni e le interazioni come nuove possibilità di spiegazione, di caratterizzazione, di cambiamento, di evoluzione. Come risorsa creativa. La proposta è un ampliamento concettuale forse necessario, non solo alla biologia.“
Riferimenti:
Bordenstein, S. R., Gilbert, M. T. P., Ginnan, N., Malacrinò, A., Martino, M. E., Bahrndorff, S., …Alberdi, A. (2024). The disciplinary matrix of holobiont biology. Science, 386(6723), 731–732. doi: 10.1126/science.ado2152
Immagine: di Darryl Leja, NHGRI, pubblico dominio, via Flickr

Biologo molecolare, ha svolto attività di ricerca per un breve periodo pubblicando su importanti riviste di settore. Attirato dalla comunicazione ha lavorato per aziende farmaceutiche e infine ha trovato la sua consona espressione nell’insegnamento e nella divulgazione scientifica. Per certificare le competenze di divulgazione ho svolto un corso con Feltrinelli con docenti S.I.S.S.A. Scrive di scienza in diversi ambiti.