Molluschi d’acqua dolce: elementi chiave, ma a rischio

Sabine Mussels

Un gruppo di ricerca di 26 Paesi, tra cui l’Italia, rappresentata dai ricercatori dell’Ise-Cnr, ha pubblicato su Biological Reviews il primo catalogo completo delle specie rilevate nei laghi e fiumi d’Europa, per indirizzare nuove strategie di conservazione


I molluschi d’acqua dolce, importanti per i nostri ecosistemi acquatici tanto quanto le api per gli ecosistemi terrestri, sono a rischio: la maggior parte delle popolazioni di questi animali acquatici è in declino e molte specie sono in pericolo di estinzione. Le informazioni su queste specie erano poche e frammentarie, fino allo studio condotto da 40 ricercatori di 26 Paesi, tra cui l’Italia con Nicoletta Riccardi, dell’Istituto per lo studio degli ecosistemi del Consiglio nazionale delle ricerche (Ise-Cnr) di Verbania Pallanza (Vb), che ha portato alla pubblicazione sulla rivista Biological Reviews di un catalogo completo delle 16 specie di bivalvi d’acqua dolce attualmente rilevate in Europa.

“I bivalvi rappresentano delle specie ‘chiave’ per i laghi e i fiumi: svolgono il ruolo di filtratori di grandi quantità d’acqua, e sono in grado di modificare la natura dei fondali”, spiega la ricercatrice dell’Ise-Cnr. “Muovendosi nei sedimenti, ne favoriscono l’ossigenazione influenzando anche tutti gli altri processi chimici che regolano la disponibilità di nutrienti, quali azoto e fosforo, che stanno alla base di tutta la catena trofica dell’ecosistema. La loro presenza, inoltre, fornisce maggiore stabilità ai fondali nei tratti fluviali e torrentizi, riducendo la quantità di detrito asportata a causa delle periodiche e talvolta violente variazioni delle portate d’acqua. La loro estinzione comporterebbe quindi danni agli habitat e agli altri organismi dell’ecosistema”.

I molluschi hanno un complesso ciclo riproduttivo con uno stadio larvale parassita, che necessita di un pesce ospite per completare lo sviluppo. “Alcune specie di bivalvi possono utilizzare diverse specie ittiche come ospiti dello stadio larvale, mentre altre dipendono da specie ittiche presenti solo in aree ristrette, come ad esempio quelle della penisola iberica. Inoltre, le catene montuose, come le Alpi e i Pirenei, possono fungere da barriere geografiche. Ciò spiega la diversa distribuzione fra Nord, con meno specie distribuite su aree più ampie, e Sud Europa con più specie ma spesso rappresentate da popolazioni più piccole e limitate a pochi ambienti ristretti”, sottolinea Nicoletta Riccardi. “Da ciò deriva che nei Paesi Sud europei l’estinzione locale anche di una sola popolazione può rappresentare la perdita della metà della popolazione mondiale di quella specie”.

Secondo i ricercatori la situazione attuale richiede piani di salvaguardia mirati, ma nonostante l’esistenza del rischio di estinzione ci sono anche buone ragioni per essere ottimisti. “Sarebbe opportuno prevedere una strategia di protezione mirata per le popolazioni importanti dal punto di vista evolutivo e che già risultano ridotte del 90 per cento, per i corpi idrici con un alto livello di diversità di specie, e per le popolazioni di bivalvi tutt’ora in buono stato di conservazione in habitat intatti”, conclude la ricercatrice dell’Ise-Cnr. “Inoltre, poiché i bivalvi d’acqua dolce dipendono strettamente dalle specie ittiche ospite e queste sono in declino, si dovrebbe prestare particolare attenzione anche agli stock ittici. Gli sforzi necessari per preservare queste specie così importanti beneficerebbero, insomma, di un piano d’azione europeo in grado di combinare le energie di Enti di ricerca, Agenzie/Enti di gestione delle risorse naturali e cittadinanza (‘citizen scientists’)”.


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