Nati per esplorare: il segreto della radiazione adattativa dei ciclidi del lago Tanganika

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Un gruppo di ricerca dell’Università di Basilea ha indagato sulla relazione tra il comportamento di tipo esplorativo e l’incredibile radiazione adattativa dei pesci ciclidi del lago Tanganyika

Quando in un ecosistema con molte nicchie ecologiche libere poche specie ancestrali si diversificano rapidamente parliamo di radiazione adattativa. Possiamo definire la nicchia come il “ruolo” di una specie all’interno di un ecosistema, che è determinato da diversi fattori (esigenze alimentari e territoriali, comportamenti, strategia di sopravvivenza…): nella radiazione adattativa le specie si moltiplicano adattandosi (per l’appunto) ai “ruoli” vacanti.

Il rapporto tra le caratteristiche morfologiche ed ecologiche delle specie e le radiazioni adattative è molto studiato, ma non si può dire altrettanto del comportamento, che pure deve avere un ruolo importante nell’adattamento di un animale a nuova nicchia ecologica.

È quello che è successo con ciclidi del lago Tanganika dove, a partire da 10 milioni di anni fa, questi pesci hanno occupato una miriade di nicchie ecologiche, finendo per contare circa 250 specie di pesci di colori, forme e abitudini diversi. Ora sappiamo che una singola mutazione è alla base del comportamento particolarmente “esploratore” di alcune di queste specie, e deve quindi aver facilitato la loro radiazione.

Lo ha scoperto un gruppo di ricerca dell’istituto zoologico dell’Università di Basilea che ha recentemente pubblicato i risultati sulla rivista Science , guadagnandosi la copertina.

Ciclidi “esploratori” e ciclidi “cauti”

Gli scienziati hanno, per prima cosa, approntato un esperimento condotto in una serie di grandi vasche sulle rive del lago Tanganika che riproducevano i due habitat più comuni del lago: fondale sabbioso e fondale più roccioso. Ogni vasca era equipaggiata con telecamere che hanno filmato come si comportavano oltre 700 pesci adulti catturati nel lago, maschi e femmine, appartenenti a 57 specie diverse di ciclidi, una volta introdotti in questo ambiente a loro sconosciuto.

Dall’area relativa esplorata da ogni pesce in 15 minuti dalla sua introduzione nella vasca, i ricercatori hanno ricavato una misura del suo “comportamento esplorativo”, scoprendo presto che nelle diverse specie questa tendenza è più o meno marcata. Il comportamento esplorativo, a sua volta, era correlato in modo causale alla forma del corpo di questi ciclidi: le specie più agili e dal corpo allungato sono scarsamente inclini a esplorare mentre quelli meno idrodinamici sono più propensi a farlo.

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Cyphotilapia gibberosa è un ciclide del Lago Tanganika particolarmente curioso. Credit: University of Basel, Adrian Indermaur

Ma che c’entra la forma del corpo con il comportamento? La forma del corpo è collegata alla nicchia ecologica: i pesci più slanciati, infatti, tendono a essere pelagici, mentre i ciclidi meno idrodinamici sono quelli che tendono a vivere vicino al fondale. Ora, il comportamento esplorativo è vantaggioso perché permette di trovare nuove fonti di cibo e nuovi ambienti da colonizzare, ma espone anche l’animale alla predazione. Solo i ciclidi che nuotano vicino al fondale, già ricco di nascondigli, possono “permettersi” di essere più “esploratori”, mentre le specie che nuotano più in alto nella colonna d’acqua devono essere più “caute”.

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Ophthalmotilapia ventralis, un ciclide riservato che non ama molto esplorare. Credit
University of Basel, Adrian Indermaur

Quando una mutazione fa la differenza

Ma quali sono le basi genetiche di questa differenza nel comportamento esplorativo dei ciclidi? Gli scienziati hanno passato al setaccio il loro DNA alla ricerca di varianti genetiche associate con la tendenza a esplorare. E ne hanno trovate parecchie! 1199 per l’esattezza, appartenenti a 794 geni: un risultato atteso, visto che i tratti comportamentali sono spesso controllati da più geni.

Ma un singolo polimorfismo di un nucleotide (SNP) ha attirato l’attenzione del team di ricerca. A 526 basi a monte del gene cacng5b, che codifica per una proteina che regola i recettori AMPA glutammato, è presente un polimorfismo che coinvolge citosina (C) e timina (T). In un singolo individuo i due alleli possono avere le seguenti combinazioni: CC, CT e TT, ed è stato hanno notato che i pesci omozigoti CC sono scarsi esploratori, al contrario dei pesci omozigoti TT. Gli individui eterozigoti (CT) mostrano un comportamento esplorativo a metà strada tra le due condizioni omozigotiche.

Grazie a una ricostruzione filogenesi-guidata, gli scienziati affermano che la condizione ancestrale dovrebbe essere stata proprio la condizione T, prima di due possibili transizioni indipendenti alla condizione C nel corso della radiazione adattativa dei ciclidi del lago Tanganyika.

Essendo questo SNP a monte della presunta regione promotrice del gene cacng5b, l’idea degli scienziati è che la condizione C contribuisca alla promozione trascrizionale del gene, e che questo si tradurrebbe in una minore tendenza al comportamento esplorativo. Viceversa, la condizione T bloccherebbe o diminuirebbe la trascrizione del gene e gli animali diventerebbero più curiosi.

Per testare questa ipotesi, gli scienziati hanno creato dei pesci mutanti grazie alla tecnologia del CRISPR-Cas9, introducendo una delezione di poche basi appena dopo lo SNP e prima del gene cacng5b.

La distruzione di questa piccola regione ha aumentato sensibilmente il comportamento esplorativo rispetto ai pesci di controllo, dimostrando senza ombra di dubbio il ruolo di questa porzione genica sul comportamento dei ciclidi del lago Tanganika.

Incredibilmente, una così piccola modifica a carico di un solo nucleotide a monte della regione promotrice del gene cacng5b ha effetti determinanti sul comportamento di questi pesci. Un tratto decisivo per l’occupazione di determinate nicchia ecologica e quindi per la loro radiazione adattativa.

Riferimenti:

Sommer-Trembo, C., Santos, M. E., Clark, B., Werner, M., Fages, A., Matschiner, M., …Salzburger, W. (2024). The genetics of niche-specific behavioral tendencies in an adaptive radiation of cichlid fishes. Science, 384(6694), 470–475. doi: 10.1126/science.adj9228