Non credo ai miei occhi, è un batterio!
Recentemente identificato da un gruppo di ricerca internazionale tra le foglie di mangrovia al largo delle isole Antille, Thiomargarita magnifica è il più grande batterio conosciuto visibile a occhio nudo. Le sue dimensioni estreme e le sue caratteristiche interne sfidano la nostra idea di complessità biologica.
Rilevanza internazionale
La scoperta ha fatto presto il giro del mondo, nella stampa specializzata e non. A colpire è soprattutto l’idea che organismi apparentemente semplici come i batteri, se confrontati alle cellule eucariotiche e agli organismi pluricellulari, possano mostrare una tale complessità interna. Come riporta il noto giornalista scientifico Carl Zimmer sul New York Times:
“Un tempo gli scienziati pensavano che i batteri fossero troppo semplici per produrre grandi cellule. Ma Thiomargarita magnifica mostra una straordinaria complessità. Con gran parte del mondo batterico ancora da esplorare, è del tutto possibile che batteri perfino più grandi e più complessi attendano di essere scoperti.”
Questa conclusione è condivisa dalla totalità delle testate che hanno riportato la notizia. Ad esempio Sanjay Mishra sul National Geographic sottolinea:
“Questo ci indica chiaramente che i batteri sono molto più complessi, organizzati e versatili di quanto pensiamo, afferma Chris Greening, microbiologo presso la Monash University in Australia, che non ha preso parte alla scoperta. ‘I batteri continuano a mettere in discussione i testi dei libri che li descrivono’ ”.
È proprio un batterio
Eppure il gruppo di ricerca ha avuto sott’occhio questo batterio sessile, dalla forma filamentosa, fin dal 2009, quando uno degli autori, il biologo Olivier Gros, lo avvistò per la prima volta tra i sedimenti ricchi di zolfo delle mangrovie al largo delle Antille.
Gros, che era alla ricerca di batteri chemioautotrofi in questi sedimenti, cioè batteri in grado di produrre molecole energetiche a partire da un certo substrato chimico senza l’ausilio della luce, a una prima analisi lo caratterizzò come un fungo. La natura filamentosa e le dimensioni inedite lo avevano tratto in inganno, portandolo a pensare di aver individuato un organismo sì sessile, ma eucariote e pluricellulare.
Soltanto oggi il gruppo di ricerca di Volland ne ha confermato la natura procariote e chemioautotrofa. Thiomargarita magnifica è un solfobatterio, ossida cioè composti dello zolfo per ricavare energia, appartenente alla classe delle Gammaproteobacteria.
La maggior parte dei batteri noti non è lunga più di 2 micron, ossia 2 millesimi di millimetro, sebbene da oltre 30 anni siano note forme giganti capaci di spingersi fino a 750 micron di lunghezza. La semplice analisi al microscopio ottico degli esemplari di Thiomargarita magnifica raccolti dal gruppo non ha soltanto mostrato che gli esemplari erano composti da un’unica cellula ma che misurano dai 9000 ai 20000 micron, ossia tra 1 e 2 centimetri.
Quando il gruppo ha sottoposto 5 esemplari all’analisi ultrastrutturale con microscopio elettronico a scansione e con la tomografia a raggi X, ha scoperto una complessità citoplasmatica inedita per questi microrganismi.
Procarioti complessi
I batteri sono procarioti, cioè cellule prive di compartimentalizzazione interna, a partire dal nucleo che preserva il materiale genetico. Quest’ultimo nei batteri è libero nel citoplasma. A differenza delle cellule eucariote che compongono noi esseri umani insieme al resto degli organismi pluricellulari, nei batteri gran parte della produzione metabolica avviene a livello della membrana plasmatica. I procarioti non hanno mitocondri, presenti invece nelle cellule di tutti i restanti organismi del pianeta.
Questa relativa semplicità interna imprime un vincolo alle dimensioni medie dei batteri e spiega perché generalmente questi sono più piccoli delle cellule eucariote. Se aumentasse il volume dei batteri la loro superficie diminuirebbe, perché quest’ultima può crescere solo al quadrato della dimensione lineare contro la crescita al cubo del volume.
Batteri più grandi avrebbero bisogno di organuli interni per aumentare la superficie e adeguarla al volume accresciuto, un adattamento caratteristico delle cellule eucariote. Batteri troppo grandi avrebbero difficoltà a diffondere le molecole chimiche al proprio interno, privi come sono di strutture specializzate in grado di coprire distanze così grandi.
È stata una sorpresa per il gruppo di Volland osservare come Thiomargarita magnifica mostri adattamenti interni inediti per un batterio. Le membrane degli esemplari studiati sono state evidenziate con colorante fluorescente al tetrossido di osmio. Successivamente il gruppo ha visualizzato l’intero filamento di un esemplare con tomografia ai raggi X e microscopia al laser confocale. Sezioni di filamento sono state invece osservate al TEM (microscopio elettronico a trasmissione).
L’esame ha mostrato che il citoplasma di ogni cellula è percorso da un vacuolo centrale che decorre lungo tutto il volume. Secondo gli autori la presenza di questo vacuolo potrebbe costituire un adattamento per facilitare la diffusione delle molecole chimiche all’interno di una cellula più grande, mancando altre strutture di trasporto attivo.
L’analisi al TEM ha mostrato anche numerose vescicole, osservazione che ha spinto all’ipotesi che molte di queste potessero contenere materiale genetico moltiplicato. Molti batteri di grandi dimensioni studiati finora hanno infatti mostrano una marcata poliploidia, ossia la presenza al proprio interno di materiale genetico moltiplicato anche in grandi quantità. Il gruppo ha amplificato, sequenziato e assemblato il DNA di 5 esemplari raccolti da una singola foglia di mangrovia, contando 11788 geni, un numero 3 volte più grande del genoma medio dei procarioti noti. La presenza di numerosi geni per l’ossidazione dei compositi chimici a base di zolfo ha confermato la natura chemioautotrofa di questo batterio.
Le dimensioni del genoma sono importanti tanto quanto quelle della cellula. Di fatto, questo batterio ha un genoma grande come quello del lievito Saccharomyces cerevisiae e ne ha di più del noto fungo Aspergillus nidulans, entrambi organismi eucarioti e pluricellulari. I ricercatori hanno stimato quasi 40000 copie del genoma per millimetro di lunghezza, un ordine di grandezza in più rispetto a quello dei batteri giganti noti.
Ma per Volland e il suo gruppo le sorprese non erano finite. Sottoponendo gli esemplari a una tecnica di ibridazione in situ in fluorescenza per evidenziare dove fosse diffusa l’attività metabolica della cellula batterica, il gruppo di ricerca ha scoperto l’abbondante presenza di ribosomi nelle vescicole già evidenziate al microscopio elettronico. Gli autori hanno attribuito loro l’esotico nome di “pepin”, solitamente attribuito ai semini di alcuni frutti come kiwi o anguria (dal latino volgare Pèp, che indica piccolezza).
La successiva analisi con tecniche di immunoistochimica ha confermato la produzione di ATP, la molecola energetica di base delle cellule, in zone localizzate del citoplasma, lungo questi organelli e a livelli della membrana. Secondo gli autori, questo permetterebbe a Thiomargarita magnifica di avere una produzione metabolica due volte più grande di quanto sarebbe possibile a un procariote di queste dimensioni.
A questo punto Volland e colleghi si sono domandati se le dimensioni estreme di questo batterio non influiscano anche sul suo ciclo vitale.
Un ciclo vitale asimmetrico e dimorfico
Fin dalla descrizione morfologica con il microscopio ottico, gli autori hanno evidenziato una segmentazione del batterio all’estremità distale del filamento, simile a una gemmazione. Per il gruppo di ricerca questa caratteristica sarebbe alla base di una divisione cellulare asimmetrica con una segregazione asimmetrica dei cromosomi nelle gemme terminali.
Sebbene gli autori ammettano che molti aspetti del ciclo vitale di questo batterio siano ancora da studiare, Thiomargarita magnifica mostrerebbe una divisione batterica per scissione binaria non dissimile a quella degli altri procarioti ma divisa in due passaggi. Nella prima fase, la cellula preparerebbe le gemme terminali che, scisse in modo asimmetrico rispetto alla lunghezza totale del filamento, si disperderebbero poi nell’ambiente circostante, nella seconda fase del ciclo, alla ricerca di un terreno opportuno su cui ancorarsi. Le differenze di forma dei due passaggi attribuirebbe una natura dimorfica al ciclo.
Secondo gli autori un tale ciclo vitale permetterebbe al batterio di duplicarsi senza dover raddoppiare per intero il proprio volume, ma distaccando solo una piccola parte della porzione distale dello stesso. L’asimmetria segregherebbe solo l’1% circa del genoma del batterio alle cellule figlie. Secondo gli autori, le caratteristiche di questo ciclo vitale rappresenterebbero un adattamento alle dimensioni estreme del batterio.
Ancora molto da scoprire
C’è ancora molto da capire della biologia di questi batteri, ammette lo studio. Il focus del gruppo è innanzitutto rivolto alla biologia, alla produzione energetica e alla formazione di questi granuli intracitoplasmatici. È ancora da capire, inoltre, come avvenga la regolazione genica di un genoma così ampio e poliploide. Oltre alle spiegazioni morfologiche e molecolari, si tratta anche di caratterizzare evolutivamente batteri così grandi. La complessità interna di Thiomargarita rappresenta un elemento di novità per questo mondo. Come scrivono gli autori concludendo lo studio:
“T. magnifica sfida la nostra idea di cellula batterica.”
Riferimenti: Volland JM, Gonzalez-Rizzo S, Gros O, et al. A centimeter-long bacterium with DNA contained in metabolically active membrane-bound organelles. Science, 2022 DOI: 10.1126/science.abb3634 Immagine: Tomas Tyml/Lawrence Berkeley National Laboratory via AP
Mi sono laureato in Biodiversità ed evoluzione biologica all’Università degli Studi di Milano ed ho conseguito un master in Giornalismo scientifico e comunicazione istituzionale della scienza all’Università degli studi di Ferrara. Mi appassiona la divulgazione e lo studio della storia delle idee scientifiche.