Notte dei Ricercatori a Padova
Interessante resoconto della Notte dei Ricercatori a Padova: si è parlato anche di evoluzione umana
Anche di Evoluzione si è parlato alla Venetonight, la notte bianca della scienza e della ricerca che si è tenuta il 26 settembre scorso.
Le Università di Padova, Venezia (Ca’ Foscari e IUAV) e Verona, all’interno di un’iniziativa di più ampio respiro (la notte europea dei ricercatori -link-), hanno fatto incontrare scienza e cittadini, portando in piazza dimostrazioni, esperimenti, laboratori, presentazioni e spettacoli capaci di catturare l’attenzione dei curiosi e di coinvolgerli nella scoperta degli affascinanti risvolti della ricerca scientifica.
Il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova proponeva, tra le altre stuzzicanti iniziative (come ad esempio: sei “gufo” o “allodola”? A che ora ti chiedono di svegliarti i tuoi geni rispetto ai tuoi impegni?), un laboratorio, per grandi e piccini, che raccontava una delle storie più affascinanti che si possano raccontare, una storia che vede noi tutti come attori principali: la storia dell’evoluzione umana.
L’unità di ricerca del Professor Pievani (cattedra di filosofia delle scienze biologiche) e Stefano Papi dell’ADM (Associazione Didattica Museale del Dipartimento dei Servizi Educativi del Museo Civico di Storia Naturale di Milano) hanno trasformato un’aula del Palazzo del Bo in un piccolo museo interattivo. Al centro dell’aula, dispiegato sul pavimento, un planisfero con tanto di paleocoste; su di un tavolo, in ordine sparso, riproduzioni di reperti paleontologici (crani fossili) e archeologici (strumenti litici) muniti di etichette riportanti le corrispettive datazioni. Il pubblico veniva diviso in quattro gruppi, ciascuno dei quali sceglieva un colore, cui corrispondeva un dato continente (Africa, Asia, Europa, America-Oceania): ogni gruppo si ritrovava quindi con il proprio bottino di reperti. Scorrendo la linea del tempo, i reperti venivano collocati sulla mappa nell’area geografica corrispondente: a 3,5 milioni di anni fa si incontra il cranio di Lucy, in Africa; tra i 2,5 e i 2 milioni di anni fa si incontra il cranio di Homo habilis, sempre in Africa, e un chopper, il primo strumento in pietra usato per tagliare la carne. Quando la freccia del tempo si ferma a 1,5 milioni di anni fa, sulla mappa si trovano forme umane anche fuori dall’Africa, in Asia. Il cranio di Neandertal compare in Europa solo più avanti, intorno a 600.000 anni fa, mentre risale a 1,2 milioni di anni fa il primo cranio europeo (Homo antecessor), accanto a cui poi spunteranno quelli di heidelbergensis e sapiens. È sempre dall’Africa, tuttavia, che sono uscite queste ultime due forme umane, per poi andarsene a spasso per il mondo, nello spazio e nel tempo.
Già, perché l’evoluzione è una questione tanto di sviluppo nel tempo geologico quanto di distribuzione nello spazio geografico; l’impatto visivo dei crani fossili sul planisfero riesce immediatamente a far cogliere ad adulti e bambini (va comunque a questi ultimi il premio di studenti più attivi e partecipi) il complicato intreccio di vicende che è stata la nostra evoluzione. L’immagine dell’evoluzione lineare e progressiva di una scimmia, che passo dopo passo si alza in piedi e si trasforma nel glabro uomo bianco, viene spazzata via dalla mente di coloro che partecipano al laboratorio nel giro di pochi minuti; prende forma invece la ben più veritiera immagine dell’intricato cespuglio dell’evoluzione umana.
Francesco Suman