Nuove ipotesi sull’origine di Homo sapiens
L’analisi del genoma di 7 individui provenienti dal Sudafrica e risalenti a un periodo compreso tra 2300 e 300 anni fa, suggerisce che la nostra specie potrebbe aver avuto origine gradualmente a partire da diverse zone africane. La comparsa di Homo sapiens potrebbe inoltre essere retrodatata a oltre 300.000 anni fa, molto prima rispetto alle stime precedenti
Quando comparve la nostra specie? E dove? Alcuni fossili (Herto e Kibish) ritrovati in Etiopia sembrerebbero dimostrare che morfologicamente Homo sapiens si originò in questa regione circa 200.000 anni fa. Secondo uno studio condotto dalle Università di Uppsala (Svezia), di Johannesburg e di Witwatersrand (Sudafrica) e pubblicato su Science però il cruciale passaggio che portò specie arcaiche appartenenti al genere Homo a diversificarsi nell’uomo moderno potrebbe essere avvenuto in più regioni africane contemporaneamente, e non solamente in Africa orientale come precedentemente supposto. Sarebbero pertanto presenti più “culle dell’umanità” tra le quali figurerebbero anche zone dell’Africa meridionale, che avrebbe avuto un importante ruolo nello scrivere la storia della nostra specie. La comparsa dell’uomo moderno, inoltre, dovrebbe essere notevolmente retrodatata rispetto alle più recenti stime, confermando una ipotesi già formulata a seguito del ritrovamento di alcuni fossili nel sito di Jabel Hiroud in Marocco (Pikaia ne ha già parlato qui).
Il team di ricerca guidato da Mattias Jakobson, che si occupa di genetica delle popolazioni all’Università di Uppsala, ha cercato di ricostruire la diversificazione delle etnie che popolano il continente africano, sequenziando il genoma di 7 individui provenienti dalla regione di Kwazulu-Natal, in Sudafrica. Tre di questi risalivano a 2300-1800 anni fa, mentre i quattro più recenti vissero tra 500 e 300 anni fa. I primi tre erano cacciatori-raccoglitori e dalle analisi genetiche sono risultati fortemente associati coi discendenti del gruppo di Khoi-San; gli altri quattro erano agricoltori, connessi con gli attuali gruppi Bantu sudafricani.
L’analisi del DNA dei campioni più antichi ed il confronto con altri genomi presenti in banca dati ed appartenenti ad individui provenienti da altre regioni africane e dall’Eurasia, hanno permesso ai ricercatori di stimare il periodo in cui i diversi gruppi etnici africani iniziarono ad emergere e a divergere gli uni dagli altri. Ogni genoma ha restituito agli scienziati uno scenario temporale diverso; in particolare, il genoma proveniente dai resti di un ragazzo vissuto circa 2000 anni fa e rinvenuti negli anni ’60 nella baia di Ballito (in Sudafrica), ha fornito il gap temporale più profondo. Attraverso tale genoma, Jakobson e colleghi sono stati in grado di affermare non solo che la diversificazione tra le varie etnie africane iniziò ad emergere tra i 360.000 e i 260.000 anni fa, ma anche che a tale periodo sarebbe attribuibile anche la divergenza della specie Homo sapiens pur trattandosi di differenti popolazioni destinate a differire, geograficamente e geneticamente, col tempo.
La linea di discendenza di H. sapiens si separò da quella dei Neanderthal e dei Denisoviani circa 600.000 anni fa (Pikaia ne ha parlato ad esempio qui e qui), ma i primi resti chiaramente umani furono ritrovati in Etiopia, nella valle del fiume Omo e nella regione di Herto, e collocano la nostra specie come risalente a 195.000 anni fa. Anche i fossili rinvenuti a Jebel Hiroud, pur catalogati come appartenenti a H. sapiens, appaiono differenti sotto alcuni punti di vista. La scoperta di Jakobson e colleghi giustifica in qualche modo tali differenze, descrivendo l’evoluzione dell’uomo moderno come attribuibile a differenti regioni in un continuum temporale e spaziale ancora di difficile comprensione.
Il periodo compreso tra 350.000 e 260.000 anni fa, coincide in maniera molto interessante con la datazione di alcuni fossili rinvenuti a Florisbad e Hoedjiespunt e col periodo in cui anche Homo naledi era presente nella stessa regione (Pikaia ne ha già parlato qui). E’ dunque sempre più probabile che diverse specie appartenenti al genere Homo coesistettero in Africa meridionale durante quel lasso temporale.
Dalla ricerca emerge anche che tre dei campioni più recenti analizzati possiedono la variante allelica Dully null, protettiva nei confronti della malaria; almeno due esemplari hanno invece un allele del gene POL1 che consente la resistenza contro la malattia del sonno. Tali osservazioni, unitamente al fatto che gli individui più antichi non presentano queste caratteristiche, consentono di affermare che gli agricoltori vissuti tra 500 e 300 anni fa avevano ereditato le varianti alleliche per la resistenza a certe malattie da popolazioni che migrarono in Africa meridionale da quella orientale in tempi piuttosto recenti.
Riferimento:
Carina M. Schlebusch, Helena Malmström, Torsten Günther, Per Sjödin, Alexandra Coutinho, Hanna Edlund, Arielle R. Munters, Mário Vicente, Maryna Steyn, Himla Soodyall, Marlize Lombard, Mattias Jakobsson. Southern African ancient genomes estimate modern human divergence to 350,000 to 260,000 years ago. Science, 28 Sep 2017 DOI:10.1126/science.aao6266
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