“Piki che era troppo avanti nel tempo”, a proposito dell’amicizia tra una Pikaia e una Naraoia

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Col permesso dell’autore, pubblichiamo un racconto del libro “Le ragioni di Antonia: 14 storie improbabili” che ha per protagonista il nostro cordato preferito

Piki che era troppo avanti nel tempo è uno dei racconti di Emi Tempesta (nom de plume) contenuti nel libro Le ragioni di Antonia: 14 storie improbabili (2023), illustrato da Davide Robaldo. Le storie variano dalla fantascienza – seppur giocata tra il paradosso e il comico – al dramma, al filone fantastico declinato tra politica, horror, scienza e commedia dell’assurdo. Il tutto è parte di un progetto letterario non profit, con il marchio Edizioni solidali, ideato di intesa con la onlus torinese International Help. International Help opera dal 1995 – dall’Asia, all’Africa, all’America Latina – sul versante delle forniture sanitarie e alimentari. A loro vanno tutti i proventi della pubblicazione. 

“Piki che era troppo avanti nel tempo”

di Emi Tempesta

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La Pikaia gracilens, cordato precursore ancestrale di tutti i vertebrati, e la sua amica Naraoia

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“Se vogliamo quindi porci la domanda di sempre – perché esistiamo? – una maggiore parte della risposta, relativa a quegli aspetti del problema che la scienza in generale può trattare, dev’essere: perché la Pikaia sopravvisse alla decimazione di Burgess.”

(La vita meravigliosa – I fossili di Burgess e la natura della storia, Stephen Jay Gould, Universale Economica Feltrinelli/Saggi, pag. 334)

Premessa

Su quanto stiamo per scrivere non ci sono testimonianze dirette. Soltanto prove scientifiche sulla tragedia attorno alla quale si intreccia il racconto. Dobbiamo dunque avvertire che le restanti circostanze e le conversazioni tra i due protagonisti, una Pikaia e una Naraoia (nella narrazione due animali maschi, a dispetto delle a finali dei loro nomi), sono state arricchite con un pizzico di fantasia. I loro dialoghi si sono svolti pressappoco come ve li riferiamofidatevi nelle acque dove oggi sorge lo Yoho National Park. La parola Yoho, che dà il nome al territorio protetto della British Columbia, nel linguaggio dei nativi americani Cree rappresentava la meraviglia e il rispetto provato di fronte a quei paesaggi maestosi.

Nel Cambriano medio

Gli scenari del nostro pianeta 508 milioni di anni fa erano unicamente costituiti da un supercontinente, la Pangea, e da un’immensa distesa di acque, la Panthalassa. In quest’ultima la vita pluricellulare aveva prodotto una ricca fauna estremamente attiva. Animali che in parte vivevano in stretto contatto con i banchi di fango accumulati sul fondo, predando o raccogliendo alimenti relativamente voluminosi e nuotando poco o niente; in parte ricavando particelle commestibili selezionate dal fango sul quale camminavano; in parte si trattava di robusti nuotatori in grado di contrastare le correnti, ingoiando particelle in sospensione, o prede di piccole dimensioni: queste ultime si facevano trasportare passivamente dai flussi e dai moti ondosi, nutrendosi di altre specie o nutrendole, a seconda delle alterne fortune.

Questo convulso affaccendarsi alla ricerca di cibo viene così magistralmente sintetizzato, nel suo La vita meravigliosa, dal paleontologo e divulgatore newyorkese Stephen Jay Gould: “Ogni specie era impegnata semplicemente a trangugiare tutto ciò che di commestibile appariva nel suo campo visivo“.

Qui raccontiamo in particolare della Pikaia e della Naraoia, che ebbero un destino diverso. Perché proprio loro? Perché erano grandi amici e percorsero un pezzo di strada insieme.

Sai Narao, ho una brutta sensazione

– Sarebbe?

– Che stia per accadere qualcosa di catastrofico.

– Ehi Piki, vuoi spaventarmi? Che tipo di catastrofe?

– Tipo una frana.

– Una frana? E perché dovrebbe?

– Ti pare che questa parete sarà eternamente stabile?

– Eternamente non so, ma per adesso non noto nulla che faccia pensare a uno smottamento.

– Può darsi che mi sbagli, ma non sarebbe la prima volta che ho una premonizione che poi si avvera.

– Beh, sai che ti dico? Spostiamoci più in là e aspettiamo… mi spiace solo perché qui ci sono tante prelibatezze gustose. Va a finire che oggi dobbiamo digiunare.

– Forse hai ragione tu, si fottano le premonizioni, torniamo a mangiare.

Ma Piki in realtà di mangiare non aveva nessuna voglia. Si era nutrito a sufficienza, era il momento di pensare: il suo passatempo preferito. Così mentre Narao continuò a ingozzarsi, il suo abituale compagno del desinare decise di adagiarsi sul fondo, a riflettere in una zona al riparo dall’eventuale frana. In quel momento Pii, la sua compagna, e i due ragazzi, Pik e Pika, erano al sicuro. Sapeva che le sue sensazioni di pericolo erano quasi sempre motivate da un rischio reale, ma non erano mancati i falsi allarmi e non voleva neppure sopravvalutare le sue sensazioni e fare dell’inutile allarmismo.

– Ehi Narao!

– Dimmi, che c’è ancora?

– Non sei stufo sempre dello stesso paesaggio? Di tutta quest’acqua?

– Come? Non ho sentito, parla più forte.

– Ti chiedevo se non sei stufo di startene qui. Non avresti voglia di un posto diverso?

– Piki se hai proprio voglia di chiacchierare avvicinati, altrimenti non sento un accidenti.

– Eccomi, ti ho chiesto se non verresti a farti un giro.

– Ma dove?

– Lontano, dove l’ambiente è meno ostile. Qui, lo vedi anche tu, da un po’ di tempo con sta moda della predazione non si può più stare tranquilli.

– Quanto lontano?

– E come te lo spiego? Non so neppure io, andiamo in giro finché troviamo un posto adeguato alle nostre esigenze.

– No guarda, io di qui non mi muovo. E poi, comunque, sempre acqua sarebbe. Qui c’è da mangiare e se credi che un… ehi sento qualcuno che si muove alle tue spalle! Sarà pericoloso?

– Quella roba lì? Cristosanto, è solo un priapulide. È un bastardo vigliacco, mangia soltanto i più piccoli della sua specie.

– Come hai detto?

– Che è un priapulide e che…

– No, prima. Cosa hai detto prima?

– Cosa? Cristosanto?

– Sì, che vuol dire?

– Non so, è solo un’esclamazione.

– Ah! Dicevi che i priapulidi si mangiano tra di loro?

– Non ne ho mai visto uno che mangiasse qualche altra cosa: sono dei c***o di cannibali.

– Che hai detto?

– Ho detto che sono dei c***o di cannibali.

– Chi ti capisce!

– Non sai cos’è un c***o? È il tuo stramaledetto organo genitale.

– Quello lo so, ma cannibali?

– Li chiamo così: sono quelli che si mangiano tra di loro.

– Devo ammettere che la sai lunga.

– Gli ho solo dato un nome. Prima a poi qualcuno deve farlo per tutte le cose.

– Beh, se non ti spiace io continuo a mangiare.

– Che hai? Paura di rimanere a digiuno? E che ti scoppi la pancia non hai mai paura?

– Senti non ho bisogno della tua grossolana ironia, me la cavo anche…

– Fermo Narao! Non ti muovere!

– Che c’è?

– Ho percepito un’incrinatura dell’acqua. C’è qualcosa di grosso che arriva dalla tua destra. Capito?

– Da dove?

– Dalla parte opposta alla sinistra. Capito?

– E qual è la sinistra?

– Lascia perdere, si sta avvicinando.

– Io non percepisco nulla.

– Non senti le pieghe dell’acqua? Che te ne fai delle antenne? Stiamo fermi, se abbiamo fortuna non ci nota. Capito?

– Forse è meglio scappare.

– Troppo tardi. Se non vuoi finirgli in bocca ti dico di stare immobile. Trattieni il respiro e zitto. Capito?

Piki non aveva torto, sulla sua verticale, più o meno all’altezza dove Narao, insaziabile, fino a un attimo prima stava consumando il suo pasto luculliano, ma abbastanza discosto dall’alta parete costituita da alghe calcaree, stava sopraggiungendo con il suo tipico nuoto oscillante il predatore più temibile del Cambriano: un Anomalocaris, o Strano gambero. L’animale più grande dell’epoca, di gran lunga più grosso di qualunque altra specie: un mostro gigantesco di ben sessanta centimetri. Incapace di camminare sul fondo, ma buon nuotatore. Seppure non troppo veloce.

Piki con i suoi soli cinque centimetri a disposizione mica poteva dargli battaglia. Ma sapeva come doveva comportarsi. Narao invece, lungo, si fa per dire, poco più della metà dell’amico, non era affatto convinto di non dover tentare una fuga a precipizio. Se lo avesse fatto non avrebbe mai potuto distanziare il cacciatore e sarebbe morto. Per sua fortuna, dubbioso ma soprattutto paralizzato dal terrore, ascoltò il consiglio di Piki e sopravvisse. Il tipaccio di passaggio, nonostante i suoi grandi occhi sporgenti, grandi quanto ciascuna delle due facili prede, una mimetizzata accanto alla roccia, l’altra sul fondo, passò oltre senza avvertirne la presenza.

– Ce l’abbiamo fatta Piki, mi hai salvato la pelle.

– La sai una cosa? Sono stato tentato di scegliere una strategia diversa: affiancarti e mettermi a fare casino. Quel coso si sarebbe avvicinato e avrebbe scelto te e mentre ti masticava me la sarei potuta filare.

– Ah beh grazie. E perché sei così certo che avrebbe preferito me?

– Scherzo, bestia, ma avrei potuto farlo. Il tuo rivestimento esterno non è mineralizzato, hai un corpo molle, devi essere davvero succulento. Io sono un cordato. Meno digeribile. E lui ci conosce. Sta sicuro, avrebbe scelto te. Puoi scommetterci.

– Che vorrebbe dire che sei scordato?

– Cordato non scordato, vuol dire che il mio corpo ha una struttura di sostegno interna. Per digerirla bisogna avere uno stomaco forte.

– Sarà come dici. Ti ho già detto grazie. Non me lo scorderò.

– Tranquillo, tu non mi devi niente. Ma pensa a quella mia proposta.

– Andarcene a spasso?

– Già.

– Ma ti rendi conto che io non so quasi nuotare?

– Ti porto io sulla groppa. Lo sai che sono un buon nuotatore.

– Quale sarebbe il vantaggio?

– Stammi a sentire. Tu credi che noi siamo destinati a stare qui per sempre?

– No certo, finché qualcuno non ci mangia.

– Io me la so cavare. Nessuno mi mangerà e allora mi sono fatto dei progetti, per me e la mia famiglia. Tu se vuoi ti puoi aggregare.

– Che tipo di progetti?

– Tu vedi bene che il posto dove stiamo non è tutto acqua. Ci sono sassi, fango, rocce. Sai che significa?

– Fammici pensare. Che anche fuori dall’acqua ci sono rocce, sassi e fango?

– Bravo, vedi che quando vuoi lo metti in moto il tuo piccolo cervello.

– Sarebbe un complimento?

– Decidi tu.

– Bene, facciamo finta che sia così. Ma a noi che ci importa di cosa c’è… fuori?

– Ci potremmo andare.

– Dove?

– Fuori dall’acqua.

– Sei pazzo? Che ci facciamo fuori dall’acqua? Che mangiamo? E siamo sicuri che senza acqua si possa respirare?

– Intanto cominciamo a dare un’occhiata e poi ci abituiamo.

– Abituiamo a stare fuori dall’acqua? Ma è assurdo, ci vorrebbe un sacco di tempo. Non so neppure se è possibile.

Sì ci ho pensato. Ho fatto dei calcoli: in 100 milioni di anni possiamo farcela.

– Ah davvero? E che diavolo significa?

– Hai detto diavolo? Carino mi piace.

– È un mio modo di dire. Mica sei l’unico creativo da queste parti. Comunque spiega un po’. Quanto sarebbe 100 milioni di anni?

– Le tue antenne dovrebbero percepire l’alternanza buio luce.

– Io mi accorgo che l’acqua è più calda e più fredda. E allora?

– Esatto: fredda dopo il buio, calda dopo la luce.

– Bene, concludi.

– Mettiamo che quando c’è luce lo chiamiamo… non so… diciamo giorno. Dico delle cose a casaccio. E quando è buio notte. Quando giorno e notte si danno il cambio… ti sta bene per 30 volte?

– Se lo dici tu. Come lo chiamiamo?

– Lo chiamiamo mese. E quando sono passati 12 mesi…

– Facciamo dieci, coi decimali è più facile tenere i conti.

– No facciamo 12, mi piace di più. Mi sembra più funzionale. Quando sono passati 12 mesi lo chiamiamo anno. Fai un anno per dieci e ancora per dieci sette volte, sono 100 milioni di anni. Puoi contarci, se ci impegniamo in 100 milioni di anni possiamo trasferirci fuori dall’acqua.

– Mi pare un bel po’ di tempo.

– Con te devo essere sincero Narao. Se tu di fronte ai pericoli ti muovi senza riflettere come volevi fare prima sei fottuto, non superi l’anno, neppure uno, non ce la puoi fare. Ma se ti affidi a me sì. Se ti mangiano muori, se non ti mangiano puoi vivere quanto ti pare. Cento milioni di anni non sono poi così tanti.

– Va bene facciamo conto che riusciamo ad abituarci.

– Tu le zampette le hai già, ne hai una paccata. Non riesco neppure a contarle. Quante ne hai 30, 40? Mai visto un altro animale con tante zampe. Dunque sei in vantaggio su di me e su quel bestione che è passato prima. Io e lui per ora sappiamo solo nuotare.

– E se poi fuori dall’acqua non ci piace? Se sono più gli svantaggi dei vantaggi? Se lo strano gambero si abitua anche lui e ci corre dietro? Che facciamo, torniamo in acqua?

– Manco per niente. Già pensato. Altri 250 milioni di anni e potremo andare in aria.

– In aria? Vuoi dire che ci muoveremo senza nuotare e senza camminare?

– Esatto! E potremo dir grazie ai Velociraptor che proveranno per primi a saltare da un albero all’altro.

– Grazie a chi? E che farà cosa?

– Non ci badare, alle volte non so neppure io di che cosa sto parlando.

– E dove diavolo ci dovremmo appoggiare per stare in aria?

– Tranquillo. Un modo lo troveremo.

– Tu sei fuori di testa, amico mio.

Per parecchie alternanze giorno notte Piki provò ancora a convincere Narao ad accompagnarlo in un viaggio di esplorazione. Ma quell’ingordo non cedette alle mirabolanti lusinghe dei possibili miglioramenti sociali che inutilmente gli aveva prospettato. Narao, come lo chiamava lui, era l’unico non appartenente alla sua specie, per cui provava, se non stima non era obiettivamente una mente brillantissima quanto meno un sincero sentimento di amicizia.

Convinto, nella sua qualità di cordato, di avere un vantaggio evolutivo, nulla e nessuno gli faceva paura. Si riteneva un tipo in gamba, ed effettivamente lo era, e di essere in grado di gestire qualunque incognita. Non è che sentisse il bisogno di un socio in affari o di un compagno d’avventura. È che lui – come si è già capito – sfornava in continuazione brillanti idee e gli faceva piacere avere una platea disposta ad ascoltarlo, anche di un solo spettatore.

Non ci fu nulla da fare. E allora informò la sua compagna che sarebbe partito in esplorazione, ma che sarebbe tornato presto, per portarla con sé, e che nel frattempo lei badasse ai ragazzi. Del resto a chiunque altro avesse chiesto gli avrebbe risposto che preferiva la comodità di un paesaggio conosciuto, dove con grande agio puoi servirti senza sforzo dei pasti necessari, galleggianti presso la superficie, incollati all’alta parete o nei suoi anfratti, o da raccogliere sul fondale. Purché si stia attenti all’avvicinarsi dei predatori: il sistema migliore tra soci era alternarsi al pasto e di sentinella. Ma è proprio questo che a Piki dava ansia, non si fidava troppo dell’accortezza di chi avrebbe dovuto guardargli le spalle nel suo turno.

– Ok Narao, ho capito che non ti convinco. Credo che andrò da solo. Se non mi vedrete tornare è perché sarò finito in bocca a qualcuno. Pii è in gamba, ci penserà lei ai ragazzi. Tu eventualmente dalle una mano.

– Cosa devo darle?

– È un modo di dire. Aiutala. Ci conto. Ma torno di sicuro. E poi ripartirò con loro per fare quello che ho in mente.

– Fuori dall’acqua, poi in aria?

– Non solo. Se vuoi ti dico. Ma non avere l’aria di quello che gli interessa solo per farmi piacere.

– Certo che mi interessa, siamo o non siamo amici? E poi le tue fantasie mi hanno sempre divertito.

– Se credi che io sia un pagliaccio, lasciami perdere.

– Ma no, non farmi il suscettibile. Mi diverti e mi piace ascoltarti. Forza, continua.

– Allora, adesso ti spiego. Di progetti ne ho tanti. Come ti ho detto prima devo abituarmi a muovermi fuori dall’acqua, e per farlo ho bisogno che sul mio corpo spuntino due zampe. E dopo anche delle protuberanze con cui possa trattenere le cose. Hai presente l’Opabinia, ha cinque occhi e un solo organo di prensione frontale. Ma che può farsene mai di cinque occhi? Sarebbero bastati tre o quattro e avere magari due organi di prensione. Con due organi di prensione puoi fare un casino di cose, non soltanto afferrare uno spuntino e portartelo alla bocca. Per non parlare della Hallucicenia che di paia di zampe ne ha sette, che poi non sono zampe ma spine con cui questa buona a nulla, 50 milioni di anni dopo che noi altri animali abbiamo imparato a spostarci, non sa fare altro che starsene tutto il tempo piantata sul fondo fangoso aspettando che le prede gli passino a portata degli organi di prensione. Mai visto niente di più allucinante. È chiaro perché la chiamano così.

– Scusa ma tu come fai a sapere che noi animali…

– Zitto, non mi interrompere sul più bello. Che te ne importa di come so le cose? Fidati. Quando io avrò i miei di organi di prensione dovrò farmi crescere anche i pollici opponibili.

– Scusa non ti seguo…

– Per riuscire a realizzare i miei progetti, devo poter trattenere le cose. Posso farlo anche adesso con la bocca, ma non è sufficiente. Occorre maneggiarle, come con martello, scalpello e mazzetta.

– Come che?

– Non so esattamente. Non ne ho mai visti.

– Ok, non importa, ho capito, vai avanti.

– Allora appena avrò…

– Piki… appena? Tra quanto tempo?

– Per i pollici opponibili? Ehm, temo almeno 500 milioni di anni, poco più poco meno, purché l’asteroide arrivi davvero a spazzare via i dinosauri.

– Scusa puoi ripetere per cortesia.

– Semplice: Giove tira il corner, Marte devia l’asteroide verso la Terra: Marte 1 – dinosauri 0. [1]pag. 178 de Il calcolo del Cosmo, Ian Stewart, Bollati Boringhieri, settima edizione 2017

– Questa non è farina del tuo sacco.

– Non farci caso… la risposta alla tua domanda è 500 milioni di anni.

– Ah! Va beh! Basta avere un poco di pazienza. Facciamo pure il caso che tu viva tanto a lungo…

– Più vivo e più sarò bravo a sfuggire ai predatori. Ce la posso fare.

– D’accordo. Eravamo rimasti ai cosi oppobilini.

– Pollici. Opponibili. A quel punto cercherò dei sassi grandi, più o meno della stessa forma, altrimenti la forma gliela darò io. Lì metterò uno di fianco all’altro e a strati, uno sull’altro. Ho pensato di seguire la sagoma di quelle senza cervello delle meduse. Chiamiamola cerchio. Ma non proprio un cerchio. Con dei lati. Ho pensato otto lati. Quasi un cerchio. Sì insomma, un cerchio ma con dei lati non tanto lunghi. Deve essere una tana molto robusta, per potersi difendere dai predatori. Gli ho già dato un nome: si chiamerà casteldelmonte.

– Sì carino. Non significa nulla immagino.

– Infatti, ma non trovi che suoni bene? A me piace il suono delle parole.

– Ok, ora se non ti spiace vado a finire di mangiare.

– Narao, guardiamo in faccia la realtà. Non c’è un momento in cui tu finisci di mangiare. Posso raccontarti solo un’altra cosa?

– Dai, forza! Ti ascolto.

– No aspetta, c’è qualche altro rompiscatole in avvicinamento.

– Non sarà mica di nuovo lo strano gambero?

– No, è molto più piccolo. Silenzio, aspetta… aspetta ancora un attimo… Eccolo. Ok, nessun pericolo è un’Aysheaia. È innocua. Mi stupisco che se ne stia andando a spasso. Di solito sta tutto il tempo goffamente abbarbicata su una spugna. È l’unica cosa che mangia. Solo spugne. Che monotonia!

– Come hai detto che si chiama?

Aysheaia.

– E chi glielo ha dato un nome con tutte quella vocali. Roba da pazzi.

– Senti chi parla. Tu dovresti essere l’ultimo a dirlo: non so se ci hai mai fatto caso ma anche il tuo nome, Naraoia, ha quattro vocali tutte assieme.

– Sì ma non c’ho anche una ipsilon e un’acca per complicare le cose. E questa Aysheccetera che tu sappia è stupida come il suo nome? Del resto se mangia solo spugne…

– Stupida? Stai scherzano? Un giorno sarà celebrata come l’eroe della nostra epoca.

– Santiddio, perché mai?

– No santiddio, non inventarti le parole. Si dice Cristosanto. Ti spiego perché: i discendenti dell’Aysheaia diventeranno la specie dominante tra i pluricellulari.

– I tizi coi pollici opponibili immagino.

– Immagini male, quelli coi pollici opponibili si daranno un mucchio di arie, presuntuosi insopportabili. Se ci sarò anch’io pazienza. Ma non mi darò delle arie. Loro crederanno di essere dominanti, ma combineranno solo guai. I veri dominanti saranno gli insetti: tutti discendenti dell’Aysheaia.

– Beh, perlomeno avranno un nome più facile da ricordare. Saranno grandi, grossi e cattivi?

– Neanche per idea, saranno molto piccoli, ma molto ben organizzati e si faranno i fatti loro. E ricordati questo: alla fine di tutto la partita la vinceranno i piccoli, i piccolissimi, tanto piccoli che neppure si vedranno.

– Senti Piki, ma a te tutte queste panzane sul futuro chi te le racconta?

– Te l’ho già detto un mucchio di volte, le sogno, ma anche quando non dormo alle volte ho delle premonizioni. E non credo che siano panzane.

– Non ti sarai mica offeso?

– Ma figurati! Comunque, prima ti dicevo qualcosa… Ah sì, sui suoni delle parole. Hai presente le vibrazioni che si sentono qui tutto attorno? Ti faccio una domanda: ti piacciono? Le trovi belle?

– Mah, non saprei, non particolarmente. Vieni al punto amico mio. Dimmi dove vuoi arrivare.

– Io penso che per migliorare la nostra vita dovremmo produrre delle vibrazioni piacevoli.

– E a che servono? A spaventare i predatori?

– Piacevoli, non spiacevoli: servono a chi le sente. Per emozionarci e vivere meglio. Me ne è già venuta in mente una, ieri nel dormiveglia, un tipo di vibrazione che ho chiamato sinfoniadalnuovomondo.

– Eeeeeeeh?

– sinfonia…

– No, scusa Piki, per favore lascia perdere, per me sono cose troppo complicate, e poi mi sono ricordato che ho una commissione da fare. Ci vediamo più tardi. D’accordo? Così mi spieghi meglio.

Piki partì solo, ma non trovò quello che cercava. E decise di tornare sui suoi passi… sì insomma, indietro nelle acque dove aveva le sue “stanze”, familiari e culturali. Il viaggio, andata e ritorno, nonostante avesse sfruttato due differenti corridoi di correnti favorevoli, lo impegnò per moltissimo tempo; tornò deluso e tremendamente stanco. E l’immagine che gli si presentò davanti gli spezzò il cuore. Accanto alla smisurata parete i banchi di fango accumulatisi e nel tempo divenuti sempre più alti e instabili erano precipitati in basso sollevando granuli finissimi di materiali impastati con acqua. Che travolsero e sigillarono rapidamente per un ampio spazio tutte le creature viventi. Quella di Piki era stata una premonizione fondata. Non c’era nessuna speranza che Narao, Pii, Pik e Pika, né nessun altra di tutte quelle forme di vita che bazzicavano nei paraggi giorno e notte fossero sfuggite al tremendo smottamento; valutò che le vittime dovevano essere migliaia.

In realtà furono almeno 73.000, di 119 generi in 140 specie. Non meno di 30 erano Pikaie. Lo si seppe 508 milioni di anni dopo. Nel 1909 infatti un umano della tribù dei sapiens, i famosi esseri con i pollici opponibili, il celeberrimo paleontologo Charles Doolittle Walcott, si recò in esplorazione sul Mount Burgess. A 2500 metri, su un versante di roccia d’argilla derivata da quella primordiale valanga di fango a tessitura scistosa, cioè caratterizzata da una disposizione regolare su piani approssimativamente paralleli, individuò un giacimento con decine di migliaia di fossili, perfettamente preservati; intatte anche le loro appendici e parti molli, che normalmente non si conservano. La fauna locale era stata trascinata sui bacini stagnanti, privi di ossigeno, che avevano salvaguardato i resti dalla decomposizione. Dopo Walcott per decenni numerosi altri ricercatori continuarono a lavorare instancabilmente, con martelli, scalpelli e mazzette su quel tesoro della paleozoologia e in un’altra dozzina di attigui affioramenti di argilloscisti.

Si era trattato della prima strage resa nota di vite pluricellulari a causa di un catastrofico evento naturale. Ce ne furono altre, nei milioni di anni a seguire, per le più differenti cause, pur sempre naturali. Quella del Permiano, la più devastante, 250 milioni di anni dopo, provocò l’estinzione del 95 percento dell’intera fauna marina. Dunque soltanto un cinque percento di essa ebbe una discendenza fino ai giorni nostri: un phylum, non necessariamente riconoscibile nelle forme e nelle strutture odierne.

La straordinaria scoperta di Walcott, la più clamorosa di sempre nel campo della paleontologia, apportò, soprattutto grazie ai suoi colleghi che proseguirono il lavoro di indagine sui fossili, un contributo inestimabile anche alla ricerca del percorso evoluzionistico. Dimostrando che all’iniziale massima varietà delle forme di vita pluricellulari era seguita una successiva decimazione che lasciò sopravvivere solo alcuni piani anatomici. Dunque un cono rovesciato e non una piccola quantità di specie che si evolve in organismi sempre più numerosi come si era creduto fino a quel momento.

Dopo una manciata di anni da quel 1909, altri appartenenti alla specie umana si dedicarono con ardore a un primo tentativo per estinguere se stessi. Fino ad oggi non ci sono riusciti, ma sono sulla buona strada; non mancarono e non mancheranno loro successive occasioni per fare meglio.

Epilogo

Piki non aveva più una compagna né un amico a cui raccontare sogni, premonizioni e progetti per il futuro. Il colpo fu terribile ed ebbe effetti devastanti soffocando del tutto la sua voglia di vivere. Ebbe ancora tempo per trovare una nuova femmina con cui decidere di figliare, come dovere di entrambi. La trovò, si piacquero e figliarono, ma comprese che la sua personale avventura stava per terminare, comprese che, anche se si scampano tutti gli agguati di un ambiente competitivo, nulla e nessuno può vivere in eterno. E questa consapevolezza spegnendo i suoi sogni accelerò il declino. Infine il primo animale cordato morì. In quanto individuo, ma la sua specie rientrò in quel cinque percento che si salvò dall’estinzione del Permiano. Sopravvisse e fu progenitrice di tutti i vertebrati, e quindi degli anfibi, dei rettili, degli uccelli, dei mammiferi. Insomma un mio e tuo progenitore. Sì proprio di te che stai leggendo.

A mezzo miliardo di anni dalla valanga di fango, uno dei Sapiens, che evidentemente portava dentro di sé traccia dei geni della Pikaia, costruì Il Castel del Monte. Un nome semplice che gli venne in sogno. Si chiamava Federico II di Svevia. Un secondo Sapiens, Antonín Dvořák, scrisse una sinfonia che intitolò Dal Nuovo Mondo.

Vasco Zara, docente di musicologia all’Università della Borgogna, nel suo saggio Il linguaggio simbolico e musicale nell’architettura di Castel del Monte, ha scritto che L’interpretazione musicale degli edifici ha spesso dato luogo a ipotesi discutibili, con metodologie discutibili, e Castel del Monte, in Puglia, è l’epitome di un edificio che eccita l’immaginazione.

Non sapremo mai se il povero Piki, così avanti nel tempo, fu consapevolmente il primo ingegno che sposò la musica con l’architettura.

Note

Note
1 pag. 178 de Il calcolo del Cosmo, Ian Stewart, Bollati Boringhieri, settima edizione 2017